LA SINISTRA E IL CONFLITTO NELLA EX-JUGOSLAVIA. ALCUNI EQUIVOCI DA CHIARIRE


Agosto 1995 a cura della Associazione Cultura Popolare

 

Il conflitto nella ex-Jugoslavia é stato il primo sul suolo europeo dopo la seconda guerra mondiale. I massacri si stanno compiendo a pochi chilometri dall'Italia. La nostra sinistra, in varia misura e con diverse motivazioni, ha mostrato nel corso del conflitto una notevole inerzia. Non solo non sa cosa fare, ma o non riesce nemmeno a coniare parole d'ordine e proposte la cui concretezza vada anche un po' al di là di genericissimi appelli alla concordia e alla pace o confida nei Mirage NATO per sbrogliare la matassa. La mobilitazione é stata di gran lunga inferiore a quella per il Nicaragua, o per Cuba, per non parlare del Vietnam o della Guerra del Golfo. La difficoltà, come vedremo, é tutta ideologica, deriva cioé da una impostazione di pensiero che ha portato gran parte della sinistra a non capire i giganteschi cambiamenti che si sono prodotti ad Est dal 1989 ad oggi. Ci sforzeremo di dare un contributo alla riflessione su una tematica certamente complessa, cercando di contestare puntualmente alcuni luoghi comuni che ritroviamo spesso nella pubblicistica di sinistra.

 

"Nella ex-Jugoslavia tutte le parti in causa sono responsabili"

È il luogo comune più diffuso. Altre variabili: "nella guerra jugoslava non si riesce a distinguere tra aggressore ed aggredito", "tutti sono responsabili di atrocità", "in questa guerra non si sa da che parte stare", ecc. La guerra jugoslava é complessa, ma non tanto da non riuscire a capire chi ci rimette e chi ci guadagna. E la grande vittima di questa guerra é il popolo bosniaco, e più precisamente musulmano-bosniaco. È chiaro che in una guerra civile come quella in atto le sofferenze sono distribuite tra le popolazioni dei diversi contendenti, ma questo non deve oscurare le responsabilità delle direzioni politiche che tutto ciò hanno causato, né impedire di identificare le nazionalità che in quanto tali rischiano di sparire o rimanere oppresse per decenni. Allo stesso modo possiamo dire che il secondo conflitto mondiale ha provocato enormi sofferenze tra tutti i popoli, compreso quello tedesco, ma la responsabilità dello scatenamento della guerra va con sicurezza addebitato al nazismo ed al fascismo e i popoli che hanno rischiato l'annientamento in quanto tali sono stati quelli slavi.
L'andamento di quattro anni di guerra guerreggiata può essere così riassunto: vi sono due direzioni nazionaliste, quella serba di Milosevic e quella croata di Tudjman, assai simili tra loro, che si contendono territorio sulla ex-Jugoslavia. Il conflitto può essere diviso in tre fasi. La prima va dal 1989 al gennaio 1992 e si presenta come la guerra di una nazionalità dominante, quella serba, contro le altre: contro gli albanesi del Kosovo (reprimendone duramente le aspirazioni autonomiste), contro gli sloveni (opponendosi con una breve guerra alla loro indipendenza), contro i croati (attuando la pulizia etnica in Krajina ed in Slavonia). La seconda fase va dal marzo 1992 all'agosto 1995 e vede come teatro la Bosnia dove le direzioni di due nazionalità, quelle serba e croata, si combattono tra loro e tutte e due attuano una feroce pulizia etnica nei confronti dei musulmano-bosniaci. La terza fase, cominciata con l'agosto di quest'anno segna, nella lotta tra le due nazionalità dominanti, uno spostamento dei rapporti di forza a favore dei croati a spese, per il momento, dei serbi di Krajina. Come si vede la nazionalità perdente nel conflitto (oltre a quella albanese del Kosovo) é la musulmano-bosniaca. Del resto in una guerra c'é una misura molto semplice per vedere chi ci sta rimettendo: quella del territorio. Oggi i serbi detengono in Bosnia il 70% del territorio bosniaco, pur costituendo il 31% della popolazione e occupano la Slavonia Orientale che era a maggioranza croata. I croati d'altra parte occupano la Krajina, che era abitata prevalentemente da serbi ed una parte del territorio bosniaco dove erano maggioritari i musulmani. È evidente dunque come l'unica direzione che non abbia responsabilità nello scoppio del conflitto e l'unica nazionalità penalizzata é quella musulmano-bosniaca.
Vi sono anche altri indicatori obiettivi difficilmente confutabili per provare quanto diciamo: quella musulmana é l'unica delle nazionalità ad avere oltre metà della sua popolazione profuga. Fonti totalmente indipendenti (ad esempio Amnesty International in tutti i suoi rapporti annuali) sono unanimi nel riconoscere che sono di gran lunga i musulmani ad aver sofferto in maggior misura pulizia etnica, stupri, uccisioni e deportazioni.
È vero che anche l'esercito bosniaco si é macchiato di alcuni episodi sanguinosi, ma questi non possono farci perdere di vista il quadro generale. È una questione di metodo: facciamo degli esempi. La destra nel nostro Paese ha sempre fatto uso di errori ed episodi non limpidi di cui si resero responsabili alcuni gruppi partigiani per screditare l'intera Resistenza: la sinistra ha sempre giustamente risposto che nessun fatto circoscritto può oscurare il grande valore storico della lotta di massa contro il nazifascismo. Allo stesso modo non sono i delitti di cui pure si macchiarono i bolscevichi durante la guerra civile del '18-'21 a farci condannare la rivoluzione d'ottobre e la sua eroica difesa dall'attacco delle armate bianche. Per venire a tempi più recenti gli attacchi dei terroristi di Hamas contro civili innocenti non hanno mai implicato da parte della sinistra la rinuncia alla solidarietà con il popolo palestinese. E non saranno azioni discutibili come quelle della banda di Basaev a portarci a negare il diritto all'autoderminazione del popolo ceceno. Così dobbiamo dire con chiarezza che in questa guerra l'unica nazionalità che combatte una lotta giusta (anche se a volte con metodi non condivisibili) é quella musulmano-bosniaca. Si tratta dell'unica nazionalità che non mira all'occupazione di terre altrui, ma alla semplice sopravvivenza ed alla riconquista del proprio territorio. È l'unica che non ha, per quanto sia nazionalista la sua direzione, progetti stile Grande Croazia o Grande Serbia. Il conflitto tra le due nazionalità attualmente dominanti (serbi e croati) finirà sicuramente con un compromesso territoriale. E chi rischia di farne le spese sono proprio i musulmano-bosniaci.

"L'abolizione dell'embargo delle armi alla Bosnia provocherebbe un allargamento del conflitto"

L'embargo ha avuto un effetto nefasto per un solo soggetto in guerra: quello musulmano-bosniaco. L'embargo quasi totale contro la Serbia é servito solo ad affamare la popolazione civile, a far crescere la disoccupazione e ad aumentare la mortalità infantile. Non é servito affatto invece a diminuire il consenso intorno alla direzione nazionalista di Milosevic (il suo partito é anzi aumentato: da 101 seggi del 1991 a 123 del 1993 su un totale di 250). L'embargo non é riuscito nemmeno a compromettere la forza militare della Serbia, data la particolarità del conflitto (classificato dai militari "a bassa intensità"). La Serbia infatti ha ereditato gran parte dell'arsenale militare dell'armata federale.
Quanto all'embargo sulle armi nei confronti della Croazia non é mai stato rispettato prima di tutto da coloro che l'hanno imposto: i paesi occidentali. Oggi la Croazia, il cui apparato produttivo era stato devastato dall'armata federale, chissà come mai é riuscita a costruire un esercito di tutto rispetto: é evidente che qualcuno l'ha aiutata, e al primo posto vi é il contributo finanziario della Germania (gli USA hanno "scoperto" la Croazia solo recentemente). Grazie ai soldi tedeschi la Croazia ha potuto comprare al mercato nero (specie dell'Est) fior di armamenti che le hanno consentito la riconquista della Slavonia occidentale ad aprile e della Krajina ad agosto.
Dunque in realtà l'unico soggetto penalizzato dall'embargo dal punto di vista militare é stato quello musulmano-bosniaco. Non é un caso che il suo esercito (che comunque si ritiene interetnico, il generale in capo é tra l'altro un serbo) pur essendo il più determinato e pur contando su un grande numero di uomini in armi, é sicuramente il peggio armato e dunque il più debole. È vero che i bosniaci avevano in tutti i casi scarse possibilità di violare l'embargo, dato che non avevano potenti finanziatori (i paesi islamici hanno sempre espresso una solidarietà di facciata) ed erano completamente circondati da territorio ostile: a Nord, Est e Ovest i serbi e a sud i croati, nessuno sbocco sul mare. L'embargo ha dato però la giustificazione formale a tutte le potenze per non fornire ai bosniaci aggrediti i mezzi per difendersi.
La direzione bosniaca é stata per questa ragione spinta alla associazione con la Croazia. Il 18 marzo 1994 negli USA il governo bosniaco e quello croato-bosniaco hanno firmato un accordo per la creazione di una Federazione croato-musulmana organizzata in cantoni, e allo stesso tempo Izetbegovic e Tudjman ne hanno firmato un altro che li impegna in prospettiva alla formazione di una confederazione tra Bosnia e Croazia. Questo accordo ha segnato l'inizio di una drastica dipendenza dei bosniaci dai loro tutori croati. Quando si dice che anche i bosniaci si sono riarmati si fa riferimento a quei pochi mezzi che i croati hanno permesso che arrivassero loro. L'"alleanza" con la Croazia (responsabile quanto la Serbia di terribili massacri nei confronti dei musulmani) é l'elemento che oggi forse più di ogni altro é in grado di ipotecare il diritto all'autodeterminazione dei bosniaci. È solo dopo aver messo i musulmano-bosniaci sotto la tutela dei croati che gli USA hanno chiesto l'abolizione dell'embargo nei confronti della Bosnia. Misura minacciata, ma mai presa. Ci si dovrà pur domandare come tutto l'Occidente unanime appoggia i raid e i bombardamenti NATO "in difesa dei bosniaci" e impedisce invece che questi si armino e possano dunque difendersi per proprio conto. Teoricamente all'Occidente sarebbe costato meno (in termini miliari, economici, politici) togliere l'embargo ed evitare un coinvolgimento diretto. La risposta é semplice: si vuol impedire che i musulmano-bosniaci possano agire per conto proprio. È solo mantenendoli disarmati (anche a costo di combattere al posto loro) e politicamente sotto la tutela della Croazia che le grandi potenze potranno far ingoiare loro la spartizione della Bosnia tra Croazia e Serbia ed evitare così la costituzione di un Paese indipendente con la maggioranza della popolazione di nazionalità musulmano-bosniaca. Europa ed USA non vogliono certo la costituzione di un avamposto islamico in mezzo all'Europa.Ed in effetti l'embargo occidentale ha avuto solo questo visibile effetto: porre gran parte della Bosnia sotto la tutela della Croazia, lasciando il resto alla Serbia. L'embargo é servito essenzialmente a questo: ad impedire l'armamento necessario all'autodifesa dei bosniaci nel momento in cui erano attaccati dai croati di Bosnia (riarmati dalla Germania) e dai serbo-bosniaci (riforniti dalla Serbia).
Chi non vuol sentir parlare di abolizione dell'embargo nei confronti della Bosnia nega dunque a questa nazionalità l'elementare diritto alla autodifesa. "Ma così si allargherà il conflitto!" strillano pacifisti in buona fede ed altri un po' meno (tra i quali Chirac di Mururoa). Cosa si nasconde dietro questa paura? Il timore del tutto fondato che i bosniaci, posti nella condizione di potersi difendere, lo farebbero. La gran parte dei popoli del resto, quando ne ha i mezzi, si ribella all'oppressione nazionale, anche se ciò costa molto sangue, per la semplice ragione che la violenza di una ribellione é preferibile alla violenza duratura e continuata di un'oppressione secolare. Il pacifismo nostrano trova tutto ciò altamente disdicevole. Noi pensiamo invece che sia diritto di un popolo difendersi dall'aggressione e che solo ad esso spetti la decisione se esercitarlo oppure no, se rischiare molti morti pur di difendere i propri diritti, oppure arrendersi e condannarsi alla sparizione come nazione senza patire alcun morto. Sono decisioni difficili, ma che i bosniaci, con la loro eroica resistenza, hanno già preso. La sinistra va fiera che a suo tempo i partigiani abbiano difeso con le armi il proprio territorio dall'invasione dei tedeschi e dalla dittatura fascista, anche se ciò é costato 55.000 morti: perché vogliamo negare questo diritto ad altri? Cosa avremmo pensato allora se qualche anima bella del pacifismo di un Paese lontano avesse sentenziato: "no per carità, non date le armi ai partigiani italiani o ci sarà altro sangue!" Siamo certi che i partigiani avrebbero risposto: caro mio, stacci tu sotto fascisti e tedeschi!

"Come facciamo a sostenere i bosniaci, se il loro governo ha una maggioranza nazionalista e fondamentalista?"

Una delle scuse per non attivare la solidarietà nei confronti della Bosnia é che la direzione di questa é nazionalista. Altre volte si sottolinea che sia fondamentalista islamica. Prima di tutto: non vi é nessuna tra le direzioni degli stati usciti dalla disgregazione jugoslava che non sia nazionalista e non si appoggi sul fattore religioso. Con due eccezioni: la Slovenia e la Macedonia. Ma la ragione é semplice: le rispettive direzioni non avendo dovuto (ancora) affrontare una guerra, non hanno sentito la necessità di appoggiarsi in funzione di unità nazionale alle rispettive gerarchie. Tudjman riceve un sostegno sfacciato dalla gerarchia cattolica (il suo vice nell'HDZ era un sacerdote: Ante Bakovic) e dallo stesso Vaticano. Quanto a Milosevic prima della guerra infiammava i serbi che accorrevano alle sue adunate inneggiando al destino storico del popolo serbo, con a fianco le massime autorità cristiano-ortodosse del Paese delle quali esaltava i meriti "nazionali". Immaginiamo cosa accadrebbe se Izetbegovic si trascinasse dietro ad ogni comizio un mullah? Quella della paura del fondamentalismo islamico é una scusa agitata prima dai serbi (che l'hanno usata contro i Kosovari), poi dai croati e poi ripetuta da tutti i politicanti occidentali per giustificare la loro oggettiva complicità nella disintegrazione della Bosnia. Dalle nostre parti islamico é sinonimo di fondamentalista e fondamentalista di terrorista. Il grado di isteria anti-islam raggiunto dagli occidentali supera ormai quello che imperava nel Medioevo ai tempi delle crociate. In Bosnia la vista da parte di un cronista di una donna col velo (sono pochissime sul totale della popolazione femminile) é sufficiente per parlare del preoccupante avanzare del fondamentalismo in Bosnia. In realtà, per paradossale che possa sembrare, quella musulmana, tra le tre nazionalità attualmente in lotta, é quella più laica. Ciò é dovuto a varie ragioni, non ultima il carattere urbano dell'insediamento musulmano-bosniaco.
Non ci si può lamentare del fatto che la Bosnia abbia chiesto aiuto ai paesi islamici (ottenendone ben poco se non vaghe promesse dato che più o meno tutti sono legati al carro dell'Occidente ed in tutti i casi gli aiuti passano attraverso il filtro croato) o che crescano le simpatie nei loro confronti: nessun altro ha mostrato una solidarietà che andasse un po' oltre le parole e le lacrime. La Bosnia comunque (o meglio il pezzetto che ha per capitale Sarajevo) rimane uno stato sicuramente più democratico di Croazia e Serbia, dove il potere è concentrato nelle mani di due personaggi dai tratti sempre più autoritari. Ci si dimentica spesso che in Bosnia esistono ancora realtà come Tuzla, governata da un partito di sinistra in polemica con Izetbegovic, ma d'accordo ovviamente a difendere la Bosnia dagli attacchi serbi e croati e a mantenerne il carattere multietnico.
Si deve inoltre tener presente che, per quanto detestabile, la direzione Izetbegovic é stata l'ultima a cedere ai progetti di suddivisione su base etnica della Bosnia e lo ha fatto soltanto perché obbligata dalle "alleanze" che, a causa dell'embargo, é stata costretta ad allacciare.
Ma ammettiamo pure che la direzione bosniaca ci sia insopportabile. Quando però c'é una guerra tra una nazionalità oppressa ed un'altra che opprime non vi possono essere dubbi da che parte stare, e ciò indipendentemente dalle direzioni politiche che queste nazionalità esprimono. La sinistra ha spesso manifestato grandi simpatie per le lotte nazionali dei baschi e dei nordirlandesi, dei vietnamiti e dei cubani, perché direzioni "di sinistra" e guardato in cagnesco le altre perché a egemonia di destra. Ma il problema é che le masse seguono le direzioni che con maggior forza difendono i propri diritti nazionali. Se la sinistra resta in un angolino ad aspettare diffidente gli eventi é chiaro che l'iniziativa la prenderanno altri. Lo sloveno Kucan é stato uno dei pochi leader "comunisti" ad essere rieletto in un paese dell'est, pur essendo a capo di un partito di sinistra: la ragione sta nel fatto che le masse gli hanno riconosciuto il merito di aver portato avanti e con determinazione la lotta per l'indipendenza. È fondamentale che la sinistra contenda alla destra l'egemonia delle lotte nazionali, ma questo potrà avvenire solo se la sinistra si mostrerà la più decisa proprio sul piano delle rivendicazioni democratiche. Non possiamo lamentarci del fatto che i sudtirolesi abbiano come riferimento la Sudtiroler Volkspartei o altri gruppuscoli di estrema destra: tutta la sinistra italiana si é dimostrata sempre sciovinista nei confronti delle rivendicazioni democratiche dei tedeschi. Altri esempi. Il fatto che in Argentina vi fosse una dittatura di destra tra le più feroci mai apparse sul continente latinoamericano non ha impedito alla sinistra latinoamerica (compresa l'intera sinistra argentina che aveva sofferto con più di 30.000 desaparecidos la violenza della dittatura) di schierarsi contro l'Inghilterra durante la guerra delle Malvinas/Falkland e a richiedere a tutti gli stati che aiutassero l'Argentina, quindi il suo governo, a fronteggiare militarmente i colonialisti. L'intera sinistra si é schierata contro l'intervento militare degli USA a Panama, nonostante che il dittatore Noriega, trafficante di droga ed ex agente della CIA, non fosse un gran bel compagno di viaggio. Le citazioni potrebbero continuare. Non sono forse giuste le lotte degli abitanti del Kashmir, di Timor Est, dei sarahui, dei ceceni, dei curdi, anche se molte delle direzioni politiche di questi popoli in lotta non ci convincono? E allora perché tanta ipocrisia nel caso della Bosnia? Per quanto riguarda tanti occidentali é chiaro: vi é il riflesso razzista della lotta della "civiltà" contro l'Islam, che nasconde il disegno di pacificare l'area a danno dei musulmani. Ma la sinistra?

"La guerra nella ex-Jugoslavia é una guerra di religione. I musulmani potevano benissimo esercitare il loro credo all'interno della Federazione"

È ovvio che nella costituzione della nazionalità musulmano-bosniaca il dato religioso ha un ruolo notevole. Ma perché dovremmo considerare la componente religiosa (come elemento dell'identità nazionale) peggiore di una componente linguistica o culturale? L'identità nazionale di un popolo ha sempre ragioni molto complesse, si tratta di una sovrapposizione di strati di tipo culturale, linguistico, religioso, ecc. miscelati in varia misura a seconda dei casi. Le identità di per sé non sono né buone né cattive, semplicemente: sono. Le si devono rispettare fino al momento in cui queste non vengono utilizzate per sopraffarne altre (come il caso dell'identità serba contro quella albanese dei kosovari).
Il caso dei musulmani é stato paragonato a quello dei palestinesi (palestinesi d'Europa, sono stati chiamati) e questo paragone sarà particolarmente calzante se a questo popolo verrà negato il diritto all'autodeterminazione. In realtà però sul piano dell'identità nazionale il loro caso assomiglia a quello degli ebrei: il tratto dominante della propria identità é costituito dalla religione; anche in questo caso però religione vuol dire qualcosa di più e di diverso: tradizioni, cultura, senso di appartenenza, ricordi, vicende storiche. Abbiamo infatti ebrei che si dichiarano atei: non é una contraddizione, é semplicemente la dimostrazione che l'essere ebreo non ha a che fare semplicemente con la religione, ma con un senso di identità più ampio. La stessa cosa riguarda i musulmano-bosniaci, tra i quali troviamo tanti che si disinteressano totalmente della religione, ma che si sentono parte di questa nazionalità. Negarlo significa dar ragione ai nazionalisti serbi e croati per i quali i musulmani sono semplicemente croati o serbi di religione musulmana e con questa scusa si apprestano a negare loro il diritto all'autodeterminazione.
Portiamo anche un altro esempio. La sinistra ha sempre mostrato una certa simpatia per la causa nordirlandese. Più precisamente é sempre stata dalla parte, con varie sfumature, dei cattolici e delle formazioni politiche (IRA, Sinn Fein, ecc.) che ne difendevano gli interessi. Eppure anche in quel caso si tratta apparentemente di una guerra di religione, dato che si fronteggiano nell'Ulster due gruppi che non sono divisi dalla lingua (il gaelico fa fatica a risorgere persino nell'Eire, dove é lingua ufficiale) e le cui differenti provenienze geografiche risalgono a quattro secoli fa. Ma giustamente si sono individuati i cattolici come nazionalità oppressa. Una nazionalità in cui la componente religiosa é un elemento importante di identificazione, ma non l'unico. Il Sinn Fein non é certamente un'organizzazione confessionale, eppure é espressione dei cattolici nordirlandesi.
Anche gli albanesi del Kosovo sono in maggioranza musulmani, ma la loro identità nazionale é condizionata dalla lingua, non dalla religione. Se quella jugoslava fosse una guerra di religione albanesi e bosniaci sarebbero coinvolti in un solo fronte. Del resto il primo che ha riconosciuto il carattere di nazionalità ai musulmano-bosniaci fu proprio Tito. Nel 1961 i musulmani vennero riconosciuti da Tito come gruppo etnico distinto e dieci anni dopo venne loro attribuito lo status di nazione costitutiva della Federazione Jugoslava. I musulmani come nazionalità dunque sono quasi tutti concentrati nella Bosnia-Erzegovina, anche se la religione musulmana é diffusa anche in altre regioni (Kosovo, Montenegro). Quando nei censimenti jugoslavi la popolazione era chiamata a dichiarare la propria nazionalità (non la propria religione) i musulmano-bosniaci si dichiaravano come tali, a fianco di croati, serbi, albanesi, ecc.

"Croazia, Slovenia, Bosnia e Macedonia hanno sbagliato a voler essere indipendenti e ad affossare la Federazione Jugoslava. Sotto Tito per lo meno non si massacravano"

Non sono state Slovenia e Croazia ad affossare la Federazione Jugoslava, ma la direzione Milosevic. La Federazione si reggeva su una regola formale: e cioé che ogni entità, indipendentemente dalla forza numerica della nazionalità che rappresentava, contava allo stesso modo. Nei fatti non era così perché l'elemento serbo era quello politicamente dominante (anche se non economicamente): serbi erano gran parte degli ufficiali, dei soldati (più del 50% dei permanenti) e dell'apparato statale centrale. Il fatto però che tutte le repubbliche avessero almeno nominalmente pari poteri contribuiva a rendere meno forte la disparità. Ebbene questo quadro giuridico é stato minato da Milosevic. Suo cavallo di battaglia divenne alla fine degli anni '80 la pretesa che ogni nazionalità contasse nella Federazione quanto il numero dei suoi abitanti. La qual cosa era ovviamente inaccettabile per le altre nazionalità, numericamente inferiori, e con ragione. Una federazione di popoli diversi può solo reggersi se vige la regola della rotazione degli incarichi e della pari dignità delle varie nazionalità al momento delle decisioni, altrimenti é ovvio che la nazionalità numericamente maggioritaria prevarrà sistematicamente su quelle più piccole. Che interesse avrebbero queste ultime a restare dentro un organismo nel quale già in partenza sanno di non contare nulla? Ad esempio nel 1921, quando il parlamento di quella che si chiamerà poi Jugoslavia, approvò una costituzione centralista che andava bene solo alla Serbia, a nulla servì il voto contrario dei deputati sloveni e croati, poiché erano numericamente inferiori.
L'architettura federale titina subì colpi ben più decisi e concreti ad opera di Milosevic (che dell'attacco nei confronti di Tito, colpevole a suo dire di aver diviso i serbi, aveva fatto uno dei "numeri" dei suoi comizi) con l'affossamento dell'autonomia del Kosovo e della Vojvodina e la repressione delle proteste. All'epoca però nessun paese occidentale, né l'ONU, né alcuna forza di sinistra si mosse per esprimere solidarietà ai kosovari. È chiaro che lo sciovinismo grande-serbo di Milosevic non ha fatto altro che incoraggiare le altre repubbliche a scegliere la strada dell'indipendenza.
Ma poniamo pure che Slovenia, Croazia, Bosnia e Macedonia siano i soli responsabili dell'affossamento della Federazione Jugoslava. Perché mai si deve vedere negativamente questo fatto? Perché si deve considerare responsabile chi chiede di separarsi e non chi impedisce la separazione? La separazione tra Cechia e Slovacchia dimostra come sia perfettamente possibile un distacco pacifico e consensuale. La condizione ovviamente é che la nazionalità dominante non voglia a tutti i costi continuare ad esserlo. L'attaccamento serbo alla Federazione non significava certo amore per la convivenza multietnica, ma una ancor più forte ed esplicita dominazione della direzione serba sulla Federazione con l'attuazione di un forte centralismo, inaccettabile alle nazionalità più deboli numericamente.
Si dice che sotto la Federazione Jugoslava non vi erano conflitti e si andava tutti d'amore e d'accordo. Beh, certo: quando il dissenso é represso sul nascere, di guerre civili non ne scoppiano (vengono solo rimandate). Una dittatura é già di per sé una guerra civile permanente esercitata dall'apparato statale contro la massa della popolazione. Anche sotto i turchi ottomani i Balcani hanno vissuto lunghi periodi di pace: i dominatori soffocavano prontamente ogni tipo di ribellione. Anche sotto Stalin e sotto Breznev non vi erano problemi tra le nazionalità. Regnava una splendida pace tra le etnie. Ed erano tutte trattate allo stesso modo: i gulag erano pieni di milioni di individui presi da un po' tutte le nazionalità. La Federazione Jugoslava era sicuramente più liberale dell'URSS di Stalin, ma anche qui ogni moto che potesse anche lontanamente far sospettare una maggior autonomia di giudizio da parte di una direzione locale del PC, era immediatamente risolto con destituzioni, o nei peggiori dei casi imprigionamenti ed uccisioni. Pensiamo al Kosovo (1968, 1981), alla Croazia (1971).
Insomma se tutti i componenti della ex Federazione Jugoslava hanno deciso di andarsene con l'eccezione del Montenegro una qualche ragione ci sarà. I referendum organizzati a suo tempo nelle varie repubbliche hanno dato risultati schiaccianti a favore dell'indipendenza: in Slovenia (dicembre 1990) l'88,5% (i votanti furono il 93% del corpo elettorale), in Croazia (maggio 1991) 94% favorevoli (83% votanti), in Bosnia (febbraio 1992) 99,4% favorevoli (63% di votanti), in Macedonia (settembre 1991) 95% favorevoli (votanti 75%).
Molti a sinistra spiegavano le spinte indipendentiste con l'ansia delle "ricche" Slovenia e Croazia di vendersi alla Germania ed al capitalismo (da qualcuno le loro intenzioni venivano paragonate a quelle di Bossi), ma come spiegare la dipartita di Bosnia e Macedonia, più povere della Serbia? Come spiegare che la lotta più antica e insistente per l'autodeterminazione é stata portata avanti dalla nazionalità più povera, quella albanese del Kosovo? La ragione é semplice: quella serba era la nazionalità dominante e si apprestava a diventarlo ancora di più. Le altre nazionalità hanno reagito esercitando il diritto all'autodeterminazione, un diritto che troppo spesso a sinistra si difende solo in teoria.

"La rottura della Federazione é stata sobillata dall' Occidente e soprattutto dalla Germania per poter egemonizzare economicamente l'area."

L'ipotesi del complotto occidentale per spiegare la crisi nella ex Jugoslavia é di un semplicismo tale che ricorda da vicino le autodifese, tra il dogmatico e il patetico, della burocrazia sovietica quando doveva giustificare la presenza dei dissidenti: venivano tutti liquidati come pagati da qualche potenza straniera. La realtà é un po' più complessa. È chiaro che la politica dell'FMI e dei maggiori stati imperialisti ha favorito l'esplodere della crisi economica in Jugoslavia, come negli altri paesi dell'Est. Ma il crollo di quei regimi é dovuto a cause interne. Quel tipo di organizzazione sociale (mancanza di democrazia, burocratizzazione, corruzione, ecc.) non ha resistito alla forza del capitale semplicemente perché incapace di farlo per deficienze strutturali. Incolpare i capitalisti di fare il loro mestiere é come incolpare la volpe di essersi pappato le galline: meglio concentrare l'attenzione sulle debolezze del recinto o sul perché non c'era nessuno a difenderlo.
Gli stati occidentali poi hanno fatto di tutto per mantenere non solo la Federazione Jugoslava, ma anche la stessa URSS come contenitori delle nazionalità. Il referente degli USA nell'area era Milosevic: il segretario James Baker era a Belgrado alla vigilia dell'intervento dell'armata federale in Slovenia; Warren Zimmermann, l'ambasciatore di Washington, appoggiava la linea serba e si era scontrato duramente con Zagabria; George Bush era entrato in collisione con l'Europa rifiutandosi di riconoscere Slovenia e Croazia. Per quanto riguarda la Comunità Europea questa esercitò ogni genere di pressione (inutilmente) per evitare che nel giugno del 1991 Slovenia e Croazia proclamassero la loro indipendenza; la CE rivolse forti appelli alle sei repubbliche perché ricomponessero i dissidi promettendo anche un consistente piano di aiuti perché la Jugoslavia rimanesse in qualche modo unita; quando nel giugno 1991, a seguito dell'interventio dell'armata federale, scoppiò la breve guerra in Slovenia Andreotti, per l'Italia che ancora per qualche giorno guidava la Comunità Europea, delineò un piano che prevedeva il congelemanto dell'indipendenza di Slovenia e Croazia. La troika della CE che si formò (con De Michelis, l'olandese Van Den Broek e il belga Poos) riuscì alla fine ad ottenere il congelamento dell'indipendenza per tre mesi anche dalla recalcitrante Slovenia.
Perché il grande capitale voleva mantenere la forma federativa (in Jugoslavia come in URSS)? La ragione é semplice: l'interesse dell'imperialismo non é disintegrare grandi prigioni di popoli, ma difenderne la stabilità. Il grande capitale non ama le masse in movimento. Non le ama ovviamente quando difendono i loro interessi economici, ma neppure quando esercitano i propri diritti nazionali. Preferisce tenere le turbolenti nazionalità oppresse sotto la tutela di una nazionalità forte in grado, appunto, di assicurare stabilità, e dunque affari. Gli USA hanno visto con favore la nascita della CSI dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica e non salterebbe mai loro in testa di voler disintegrare la Cina investendo magari nell'indipendentismo del Tibet: la burocrazia cinese assicura già così bene una rapida transizione al capitalismo in tutto il suo territorio!
Non é vero che il capitalismo vuole sempre e comunque guerra. La vuole quando ciò serve a raggiungere obiettivi specifici e concreti. Ma cosa può ricavarne dalla prospettiva di anni di guerra civile a bassa intensità in un'area di forte commercio?
Non é riducendo la grandezza degli stati, o dividendoli in tanti pezzetti che l'imperialismo riuscirà a mangiarseli meglio. Non é questa la sua tattica. L'Albania é più piccola della Croazia, ma alla Germania interessa ben poco, per non parlare della Macedonia. Gli USA investono in Cina che é gigantesca e non nei paesi baltici o in Russia, perché instabili politicamente. Agli imperialisti non interessa piccolo o grande, ma redditizio o meno.

"L'errore é stato riconoscere subito la Slovenia e la Croazia da parte dei paesi occidentali. Ciò ha favorito l'inizio della guerra"

Si tratta di un altro luogo comune frutto della teoria del complotto occidentale. Questo genere di teorie dà un gran vantaggio a chi le formula: servono a non fare i conti in casa propria. Dare la colpa dei guai del socialismo reale agli americani é qualcosa di terribilmente consolante ed evita di ragionare seriamente sul perché di tante sconfitte. Come si fa a pensare che una guerra di questa complessità sia stata causata o anche solo favorita da un atto diplomatico? Affermarlo non é solo una sciocchezza, ma anche una falsità. Tre anni prima del riconoscimento occidentale di Slovenia e Croazia (avvenuto nel gennaio 1992) i serbi avevano militarizzato l'intero Kosovo (il primo vero atto di guerra della crisi jugoslava), otto mesi prima l'esercito federale (cioé serbo) aveva già occupato un terzo della Croazia, sei mesi prima la Slovenia con una breve e quasi incruenta guerra si rendeva indipendente da Belgrado, tre mesi prima i serbi radevano al suolo la croata Vukovar, due settimane prima veniva firmata la quindicesima tregua. Come si vede al momento del riconoscimento occidentale la guerra non solo era già cominciata da un pezzo, ma era già finita la sua prima, importante e decisiva fase. Il riconoscimento cioé é intervenuto quando i giochi erano già fatti: in quell'area le cose sono cambiate solo dopo due anni e mezzo di relativa pace!
Come si fa ad affermare che quel riconoscimento era "affrettato"? Al contrario é stato assolutamente tardivo (e gli USA riconosceranno le nuove repubbliche con un ulteriore ritardo di 4 mesi, nell'aprile 1992) e ciò si spiega con la pervicace volontà degli occidentali (a parziale esclusione della Germania) di mantenere a tutti i costi la Federazione e scoraggiare i processi indipendentisti. Successivamente con la guerra in Bosnia comincerà la seconda fase, ma su questa non ha certo influito il riconoscimento di Croazia e Slovenia. L'attacco alla Bosnia era necessario da parte di Milosevic perché altrimenti non avrebbe mai potuto collegare il territorio croato occupato dal suo esercito (Krajina e Slavonia) con la Serbia. Il riconoscimento internazionale della Bosnia gli ha creato degli ostacoli facendogli mancare la copertura "legale" per far intervenire direttamente l'armata federale, che a quel punto sarebbe stata considerata occupante straniero di uno stato sovrano.

"Croazia e Slovenia sono volute diventare indipendenti perché filocapitaliste ed allineate con Germania e USA, la Serbia invece mantiene alcuni ideali dell'era di Tito"

Si tratta di un gigantesco equivoco. Milosevic non é "di sinistra". È semplicemente un fratello gemello di Tudjman. I due si assomigliano come gocce d'acqua ed in effetti si stimano ed apprezzano vicendevolmente (come confermano le famose indiscrezioni del Times di Londra pubblicate in agosto). Non ci si può far ingannare dal fatto che il partito cui fa riferimento Milosevic si chiama socialista e rivendica l'eredità della Jugoslavia di Tito, mentre Tudjman invece si dichiara di destra. I due si sono mossi con le stesse tattiche compatibilmente con la diversità delle situazioni di partenza dalle quali hanno preso le mosse. Tutti e due perseguono un disegno di assogettamento di altri popoli ed utilizzano consapevolmente tecniche di pulizia etnica. Tutti e due in patria limitano il pluralismo politico utilizzando apparati dello stato o gruppi paramilitari per terrorizzare i dissidenti, mantenendo però formalmente in vita gli organismi parlamentari. Tutti e due controllano totalmente i mass media. Tutti e due ricorrono alla storia per giustificare le proprie scelte nazionaliste (entrambi con una certa predilezione per il Medioevo). Tutti e due si servono di gruppi paramilitari di estrema destra, salvo dar loro il benservito quando hanno esaurito il compito (é il caso del cetnico Vojislav Seselj e del neoustascia Dobroslav Paraga).
Con queste premesse come si fa a sostenere che la direzione serba é di sinistra? All'ultimo congresso della Lega dei Comunisti non vi erano abissi ideologici tra "comunisti" croati, serbi, bosniaci o sloveni. Tutti erano assolutamente favorevoli al libero mercato, alle privatizzazioni, all'entrare in Europa, al pluripartitismo, ecc. Ciò che li divideva era la questione delle nazionalità. Tudjman é stato eletto dopo la proclamazione di sovranità voluta e preparata dai comunisti croati, così come la guerra dei dieci giorni della Slovenia é stata diretta dal presidente Kucan, dirigente comunista. Alcuni si fanno ingannare dal fatto che Milosevic usa coprire i suoi avversari con aggettivi quali fascista, ecc. ma questi sono epiteti che, vista la storia della Jugoslavia, tutti usano contro tutti. Non c'é nessuno dei contendenti che non giuri di stare combattendo anche contro il fascismo.
Oggi Milosevic si accredita come personaggio misurato, ragionevole, dedito alla mediazione. Ciò é avvenuto perché, visto l'isolamento da quell'Occidente del quale vuole assolutamente far parte, é stato costretto a moderare le spinte oltranziste dei serbi di Krajina e di Bosnia. Voleva far accettare ai primi l'autonomia all'interno della Croazia ed ai secondi la rinuncia a un po' del territorio conquistato. Ma Babic e Karadzic erano a loro volta costretti a fare i conti con il nazionalismo grande-serbo dei propri combattenti. Ad un certo punto si é cioé ritorto contro Milosevic lo sciovinismo che ha sempre profuso a piene mani e che é all'origine della guerra.
Ma allora perché Milosevic ha acceso la miccia? La burocrazia serba con a capo Milosevic durante la seconda metà degli anni '80 ha trovato nel nazionalismo l'unica maniera per raccogliere un consenso di massa in presenza di una crisi economica senza precedenti e allo stesso tempo per rilanciarsi come classe dominante di uno stato di una qualche rilevanza geopolitica, inserito nel mercato occidentale (ricordiamo che le simpatie, ricambiate, di Milosevic all'inizio andavano agli USA, non certo alla Russia). Per questo Milosevic aveva intrapreso una forsennata campagna nazionalista in cui non c'era assolutamente nulla di sinistra e neppure di centro, ma era semplicemente di destra, perché é di destra chi fa appello al destino storico di un popolo per opprimerne un altro (come é stato il caso dei kosovari). Una parte del partito comunista serbo ad onor del vero non era favorevole a questa svolta, ma il dissenso é stato rapidamente ed energicamente purgato da Milosevic nel corso del 1987. È solo grazie a questa decisa campagna di destra che la direzione Milosevic é riuscita a passare indenne attraverso il 1989, unico caso tra tutti i Paesi del cosiddetto blocco socialista. Anche le burocrazie croata e slovena hanno tentato la stessa operazione, ma con una differenza sostanziale: la loro era una lotta che faceva appello al nazionalismo, ma un nazionalismo che non implicava l'oppressione di altri (nel caso della Croazia il discorso cambierà con l'avvento di Tudjman), ma semplicemente la lotta per la propria autodeterminazione.

"Le potenze occidentali hanno dimostrato la loro viltà rinunciando ad intervenire nel conflitto"

Gli interessi tra le diverse borghesie occidentali sono differenti. Quella tedesca é l'unica che abbia mostrato lungo tutta la crisi una linea di intervento chiara e coerente, anche se discreta (fatta di poche parole e moltissimi fatti). La Germania é già oggi il maggior partner commerciale di Slovenia (il cui tallero é strutturalmente legato al marco) e Croazia, e difende gli interessi di questi due stati a scapito di tutti gli altri. La Francia e l'Inghilterra hanno avuto un atteggiamento ondivago: il loro interesse é contrastare la concorrenza della Germania e dunque sostenere la Serbia ed ostacolare il più possibile la Croazia, ma le impresentabili e indisciplinate direzioni facenti capo a Babic e Karadzic le hanno ostacolate parecchio (come hanno ostacolato Milosevic) in questo disegno, costringendole a giocare di rimessa, pur avendo messo in campo un impegno militare considerevole. Gli USA hanno rincorso gli avvenimenti schierandosi prima contro la Germania (e le sue protette) simpatizzando con gli sforzi di Milosevic di tenere in piedi la Federazione, poi si sono sempre più sbilanciati dalla parte opposta, probabilmente in funzione antirussa. L'unica costante della loro azione é stata quella tesa a salvaguardare gli interessi dell'Albania e della Macedonia (in questo alleati con la Turchia). L'atteggiamento dell'Italia si é diviso tra la difesa dell'asse con la Germania (riconoscimento di Slovenia e Croazia) e i sogni grande-italici (ostacoli posti a Slovenia e Croazia per il loro ingresso nella CE): la risultante é zero, quanto a influenza nella crisi. Il sostegno della Russia alla Serbia corrisponde agli interessi commerciali e geopolitici di Mosca, ma a causa della debolezza in cui questa versa é stato condotto con molte incertezze.
Da questa diversità di interessi dipendono molte incertezze di linea di organismi quali CE, ONU, NATO, ecc. Ma l'unico punto sul quale le diverse opzioni geopolitiche che oggi si confrontano nella ex-Jugoslavia concordano é: il conflitto deve terminare il prima possibile, sui Balcani deve tornare la stabilità. Il rafforzamento croato ha offerto la possibilità agli occhi occidentali di concludere rapidamente il conflitto. I bombardamenti di agosto-settembre hanno avuto questa funzione: spingere i serbo-bosniaci al tavolo delle trattative evitando che i bosniaci possano difendersi da soli (cosa che secondo l'opinione degli occidentali produrrebbe un allungamento delle ostilità). La pace che si prepara dunque é la pax capitalista tra Croazia e Serbia, tutta a scapito dei bosniaci. Chi chiede l'intervento occidentale dunque si rende corresponsabile non solo di stragi di innocenti (sappiamo dalla guerra del Golfo quanto poco "intelligenti" siano i bombardamenti), ma si rendono complici della spartizione della Bosnia e della messa sotto tutela della sua nazionalità principale, quella musulmano-bosniaca. È solo per la disperata resistenza di questo popolo e lo sdegno che ha suscitato il suo massacro, che ancora oggi parliamo di questione bosniaca.
Le potenze occidentali non sono state "vili" (in due secoli di esistenza gli stati capitalisti più forti hanno dimostrato molte cose, ma certo non la titubanza nel promuovere guerre e massacri). Non sono intervenute sino ad agosto per aiutare i bosniaci semplicemente perché non é loro interesse farlo. E dire che non sono intervenute non é esatto. C'é stato un decisivo intervento occidentale: l'embargo, servito esclusivamente ad impedire l'autodifesa dei bosniaci.

"Bisogna rinforzare il contingente dell'ONU"

Se si deve essere contrari all'intervento occidentale in Bosnia si deve essere anche contro l'intervento dell'ONU. L'ONU infatti difende ed ha sempre difeso gli interessi occidentali. Diamo un'occhiata ai nomi dei generali delle truppe ONU che si sono succeduti: ne troveremo pochini dei paesi del terzo mondo. Qualcuno pensa davvero che l'ONU abbia un esercito indipendente dalle grandi potenze? È una sciocchezza. Ovviamente l'ONU utilizza reparti, personale ed armamenti degli stati militarmente, economicamente, politicamente più forti.
Non é vero che l'ONU (cioé le grandi potenze) non si sia impegnato. Oltre all'imposizione dell'embargo in pratica ad una sola parte in causa, quasi 50.000 uomini sul terreno sono una presenza notevolissima, tenendo conto della dimensione degli eserciti in campo. Semplicemente l'azione dell'ONU non poteva che rispecchiare e mediare l'insieme delle diverse opzioni geopolitiche che le grandi potenze perseguono, dunque paralisi su tutto e coincidenza solo su un punto: la Bosnia non ci sarà più, che i musulmani si rassegnino rapidamente a sparire in quanto nazionalità per il bene della pace, un po' di realismo, che diamine! L'ONU in Bosnia con le sue azioni "umanitarie" e di interposizione, con il suo amore per la difesa dello status quo, ha oggettivamente coperto e contribuito all'inizio al successo dell'iniziativa serba. In nessuna maniera le forze dell'ONU hanno impedito la perdita di territorio da parte dei musulmani. Oggi, dopo il rafforzamento croato e la messa sotto tutela dei musulmano-bosniaci, l'ONU fa la voce grossa coi serbo-bosniaci per ridurne le pretese e por fine al conflitto. Rafforzare l'ONU vuol dire rafforzare l'unico punto sul quale gli occidentali concordano: imporre la pace tra serbi e croati facendone pagare le spese ai musulmani.

"La soluzione in prospettiva non é nella formazione di piccoli staterelli, ma in nuove forme di associazione tra questi popoli, che devono imparare a convivere"

Denunciare che si creino nuove frontiere sostenendo la parte del progressista che non vuole "porre confini tra i popoli" é ipocrita: serve a coprire il fatto che si ritengono valide solo le frontiere che già ci sono e illegittime le nuove. Questo spiega il generale silenzio verso le rivendicazioni dei kosovari (perché si trovano dentro la Serbia) o la "comprensione" di Germania, USA e Italia per l'offensiva croata che ha portato alla riconquista della Krajina, solo perché attuata entro i suoi confini (che importa poi se la sua popolazione ha fatto le valigie?). La sacralità con cui vengono investiti i confini prestabiliti dai potenti della Terra é una delle grandi barbarie ideologiche di questo secolo. Tutto é "lecito" purché avvenga dentro i propri confini! Nessuno si sognerebbe mai di chiedere l'intervento dell'ONU in Turchia dove si perpetra il genocidio del popolo curdo: la Turchia é uno stato "sovrano"!
Coloro che si lamentano perché gli sloveni (o i macedoni o da un'altra parte gli ucraini, i ceceni e così via) hanno innalzato dei confini, fingono di non sapere che gli sloveni in realtà hanno distrutto quelli jugoslavi che illegittimamente li conglobavano in una entità che non accettavano più. Lo stabilimento dei confini é una delle misure elementari che questi popoli hanno adottato per potersi difendere dalla nazionalità che li dominava. Finché ci saranno al mondo stati con propri confini e proprie frontiere, non si può negare a nessuna nazione, tanto più se storicamente oppressa, il diritto a crearseli. Altrimenti utilizzeremmo due pesi e due misure a tutto vantaggio delle nazionalità forti.
Non é certo la limitata estensione territoriale di uno stato a comprometterne le potenzialità economiche. L'India é un gigantesco paese eppure é infinitamente più povero del Lussemburgo, migliaia di volte più piccolo. Di esempi di questo tipo ne potremmo trovare in gran numero (Hong Kong, Singapore...). Non é l'entità della superficie che determina la ricchezza di un paese, né il numero dei suoi abitanti (quest'ultimo fattore influisce positivamente, ma solo nei paesi imperialisti).
La convivenza é una scelta libera che deve essere fatta dalle nazioni in totale libertà. Solo nazioni sovrane possono decidere di far parte di entità sovranazionali; queste ultime saranno democratiche solo se alle singole componenti verrà garantito il diritto in qualsiasi momento di separarsene. Non c'é nulla che impedisca poi ad una nazionalità divenuta sovrana di stringere accordi economici, commerciali o di altro tipo con chiunque voglia. Sovranità non vuol dire isolamento, vuol dire rivendicare la parità con le altre nazioni.

"L'esplosione del nazionalismo é un segno di regressione e contribuisce a mettere in secondo piano la contraddizione principale che é tra capitale e lavoro"

Siamo al nocciolo del problema e delle difficoltà della sinistra ad inquadrare la questione delle nazionalità. Sia chiaro: queste difficoltà non hanno assolutamente a che fare con il marxismo: Marx, Engels, Lenin, Trotskij hanno scritto sulla questione parole chiarissime. Il problema è che la pratica dei marxisti o dei presunti tali é andata in tutt'altra direzione. Tra i padri del marxismo e noi c'é stata purtroppo l'influenza nefasta e pluridecennale dello stalinismo.
Le rivendicazioni nazionali dei popoli oppressi sono rivendicazioni di carattere democratico, e tra le più sentite. In quanto rivendicazioni democratiche la sinistra ha il dovere di sostenerle fino in fondo senza ma e senza compromessi. È vero che non hanno direttamente a che fare con la lotta di classe: vengono infatti prima. Non si può chiedere ai lavoratori appartenenti a nazionalità oppresse di soprassedere alle rivendicazioni democratiche, quando quei lavoratori non hanno gli stessi diritti di quelli delle nazionalità dominanti. Così nessun militante di sinistra si sognerebbe di chiedere agli extracomunitari di lasciar perdere di occuparsi dei propri problemi specifici di minoranze discriminate e di aderire invece alla lotta più generale dei lavoratori "che non hanno frontiere". I lavoratori immigrati vivono sulla propria pelle la negazione di diritti democratici assicurati invece ai lavoratori italiani. Dovere di questi ultimi é di battersi perché gli extracomunitari acquisiscano la stessa dignità. E ciò indipendentemente dalle idee maggiormente in voga nella nazionalità oppressa o dalla direzione politica che questa esprime. Scriveva Lenin: "Siamo per l'unione più stretta degli operai di tutti i paesi contro i capitalisti [...]. Ma proprio affinché quest'uinone sia volontaria, l'operaio russo, non fidandosi per niente e neppure per un momento né della borghesia russa né della borghesia ucraina, é favorevole al diritto di separazione degli ucraini, non impone loro la sua amicizia, ma la conquista trattandoli come eguali, come alleati e fratelli nella lotta per il socialismo". Un popolo che non é in grado di lottare per i propri diritti nazionali (lo affermava già Engels a proposito della Polonia) non arriverà mai al socialismo.
Sulla stampa appaiono interessate confusioni nelle analisi di quelli che vengono catalogati, senza maggiori distinzioni, come "conflitti etnici". L'intento é quello di fare apparire l'insieme di questi fenomeni come un incomprensibile, sinistro, irrazionale e sanguinario polverone, in cui una sola cosa deve risultare chiara: le lotte delle nazionalità oppresse sono solo fonte di barbarie; meglio mettere questi popoli turbolenti sotto la tutela di qualche nazionalità più grande e quindi più civile. Alla demonizzazione di questi conflitti fa infatti da contraltare l'esaltazione dei grandi nazionalismi: quelli delle sagge, antiche, pacifiche (!) potenze che da secoli dominano il mondo. Dobbiamo invece distinguere tra il nazionalismo delle nazioni dominanti e nazionalismo delle nazionalità oppresse. Il primo deve essere combattuto frontalmente da chi si ritiene di sinistra, il secondo difeso e sostenuto senza porre condizioni. La caratteristica del nazionalismo delle nazioni dominanti é caratterizzato dalla volontà di assogettare o di mantenere assogettate a sé altre nazioni. È il caso del nazionalismo di Tudjman (che si é espresso contro i serbi di Krajina e più in generale di Croazia), di Milosevic (contro albanesi kosovari, ungheresi, croati, bosniaci), di Bossi (del Nord ricco e dominante contro immigrati e meridionali), italiano (contro i sudtirolesi), francese (contro i corsi, i baschi), spagnolo (contro i baschi, i catalani), russo (contro i ceceni e molti altri), ecc. A questo nazionalismo si contrappone quello delle nazionalità oppresse con le loro rivendicazioni democratiche, tese cioé all'uguaglianza.
Si dice che spesso le rivendicazioni nazionali si trasformano in nuove forme di oppressione verso le nazionalità. È accaduto con gli ucraini staccatisi dall'URSS nei confronti della Crimea, con i moldavi nei confrontoi dei gaugazi, coi lituani nei confronti dei russi, coi croati nei confronti dei serbi, coi macedoni nei confronti della minoranza albanese, e così via. Ma ciò non dipende dalla malvagità delle rivendicazioni democratiche, ma dal fatto che questa bandiera sia stata raccolta dalla destra. Allo stesso modo non possiamo dire che siccome l'Ottobre é degenerato allora i bolscevichi hanno sbagliato a fare la rivoluzione. La rivoluzione era giustissima, gli stalinisti che hanno preso in mano il processo no. Così le lotte dei croati per staccarsi dalla Jugoslavia andavano difese a spada stratta e allo stesso modo si deve combattere contro Tudjman perché opprime altre nazionalità. Il principio ispiratore dunque che ci deve guidare nel prendere posizione nei confronti di un conflitto tra nazionalità é: stare sempre con la nazionalità oppressa e contro quella dominante, avendo coscienza che una nazionalità oppressa può essere dominante nei confronti di una minoranza interna. Dovremo quindi batterci allo stesso tempo per i suoi diritti nel primo caso e a favore della sua minoranza nel secondo.
Ma la difficoltà della sinistra sta tutta da un'altra parte. Non si hanno grandi problemi a simpatizzare con le lotte nazionali (di destra, centro o sinistra) di qualche paese del Terzo Mondo. Le difficoltà nascoscono in due casi: quando la nazionalità oppressa é in casa propria (é il caso in Italia del Sud Tirolo), perché ci si deve scontrare con il proprio nascosto nazionalismo. E il secondo quando le nazionalità oppresse sono uscite dalla sconfitta del socialismo reale. In gran parte della sinistra, anche quella che con più determinazione ha combattuto contro le burocrazie staliniste, alberga il retropensiero che quelli comunque erano paesi "più a sinistra" dei nostri. Vedere masse in strada che chiedevano elezioni, pluripartitismo e diritti nazionali ha spiazzato ed amareggiato molti. È stato un errore di valutazione che noi tutti abbiamo compiuto sottostimando la pesantezza e la violenza (e dunque il disgusto che suscita a livello di massa) di un regime totalitario. Le rivendicazioni che hanno mosso le masse hanno dunque avuto all'inizio un contenuto democratico. La soddisfazione di queste rivendicazioni é la condizione perché ora si sviluppino rivendicazioni di segno classista. Possiamo star certi che é solo in quei Paesi dove le masse sentiranno di aver soddisfatto le proprie aspettative sul piano dei diritti democratici e di cittadinanza, che ci sarà la possibilità (non la certezza ovviamente, perché la certezza non c'é nemmeno da noi) che crescano aspirazioni di carattere socialista.

CRONOLOGIA

1986
In Jugoslavia é cominciata una grossa crisi economica che la porta ad avere l'inflazione più alta di Europa (90%). Negli ultimi tre anni il potere d'acquisto dei salari é sceso del 18%.

1987
Aggravamento della crisi economica (inflazione al 150%). Nei primi otto mesi del 1987 sono entrate in sciopero più di 1000 imprese con 150.000 partecipanti. Alla classe operaia in lotta con il regime si uniscono anche gli studenti.

1988
L'inflazione supera il 200% mentre continuano le proteste operaie che assumono sempre più la connotazione politica di contestazione della burocrazia e di richiesta di riforme democratiche. Ascesa dell'astro di Milosevic, capo del partito in Serbia. La sua ricetta: più centralismo, meno autonomie alle repubbliche, riassorbimento nella Serbia delle regioni autonome di Vojvodina e Kosovo.

1989
L'inflazione tocca il 1000%. Si trattta della più grave crisi economica della storia jugoslava. A marzo scoppiano nel Kosovo gli incidenti più gravi dall'aprile 1981: in due giorni 24 morti. Altri scontri con morti in ottobre e dicembre. Il governo impone il coprifuoco ed invia le truppe. Milosevic mobilita in chiave nazionalista le masse serbe gridando alla "persecuzione" della minoranza serba del Kosovo. La dirigenza slovena, preoccupata della deriva nazionalista serba, a settembre approva una costituzione che sancisce il diritto della repubblica alla secessione, rivendica a sé il controllo della giustizia e della polizia ed apre al multipartitismo. A dicembre anche la Lega dei Comunisti della Croazia si pronuncia a favore del multipartitismo.

1990
A gennaio il congresso della Lega dei Comunisti é paralizzato dai dissensi tra serbi e sloveni; questi ultimi chiedono la trasformazione della Lega in una confederazione di partiti liberamente associati. Il congresso si interrompe senza riuscire a riconvocarsi.
Si riaccende contemporaneamente la crisi del Kosovo: gli albanesi chiedono la revoca delle misure d'emergenza con scioperi (minatori di Trepca) e manifestazioni che però vengono represse nel sangue. Nuove rivolte in primavera e in estate per la decisione serba di sopprimere quel che resta dell'autonomia regionale. A luglio i deputati albanesi reagiscono proclamando l'indipendenza del Kosovo dalla Serbia, e Belgrado replica esautorando il governo e il parlamento locali.
Le prime elezioni multipartitiche in Slovenia (aprile) vedono la vittoria di Milan Kucan alla presidenza anche se il suo partito (Partito del rinnovamento democratico, nuova denominazione della Lega dei comunisti sloveni) non guadagna la maggioranza dei seggi in parlamento. Nelle elezioni croate di maggio vincono i nazionalisti di destra di Franjo Tudjman a capo dell'Unione Democratica (HDZ). In Bosnia vince Izetbegovic a capo di un partito che esprime gli interessi dei musulmano-bosniaci. A dicembre le elezioni in Serbia confermano Milosevic (a capo del Partito Socialista Serbo, nuova denominazione della Lega dei Comunisti di Serbia).
A dicembre in Slovenia una maggioranza schiacciante si esprime con un referendum a favore dell'indipendenza.

1991
In gennaio la Serbia decide autonomamente di stampare moneta per ripianare i propri debiti: una decisione che sottrae al governo federale la politica monetaria. A marzo grandi manifestazioni a Belgrado contro l'autoritarismo di regime impongono la destituzione della tv di regime, la liberazione di prigionieri politici e le dimissioni del Ministro dell'Interno.
In marzo sanguinosi scontri in Slavonia tra polizia croata e bande paramilitari della minoranza serba. Si estendono gli scontri anche in Krajina i cui abitanti serbi chiedono a maggio con un referendum l'annessione alla Serbia. La Krajina a dicembre si proclama repubblica indipendente.
A maggio referendum favorevole all'indipendenza in Croazia e in settembre in Macedonia. Il 25 giugno Croazia e Slovenia proclamano l'indipendenza. La reazione dell'armata federale si concentra sulla Slovenia, le cui autorità avevano cercato di assumere il controllo delle frontiere. Si sviluppa una piccola guerra di dieci giorni durante i quali l'armata federale tenta di bloccare la Slovenia, ma é paralizzata dalla pronta reazione delle milizie slovene e della popolazione e dalle defezioni di massa dal suo esercito. Tramite la mediazione CEE si firma l'accordo di Brioni in base al quale l'indipendenza di Slovenia e Croazia é congelata per tre mesi, si sblocca l'elezione del croato Stipe Mesic alla presidenza della Federazione (era stata impedita dai serbi) e si riapre il dialogo per salvare il salvabile dell'unità jugoslava. Le truppe federali si ritirano dalla Slovenia.
Il conflitto divampa però in Croazia dove nel corso dell'estate gruppi paramilitari e armata federale conquistano Krajina e parte della Slavonia (un terzo del territorio croato) attuando una feroce pulizia etnica nei confronti dei croati. Gli abitanti di Krajina si proclamano repubblica indipendente. In Dalmazia sono pesantemente bombardate dai serbi Spalato e Dubrovnik. Bloccati i porti croati.
Il 25 settembre 1991 l'ONU decreta il blocco del rifornimento di armi per tutte le repubbliche uscite dalla crisi jugoslava.

1992
Croati e serbi sotto auspici internazionali firmano il primo gennaio una tregua che segna l'inizio di una netta diminuzione delle ostilità in territorio croato e il dispiegamento dei caschi blu tra i due belligeranti. I serbi di Bosnia proclamano una repubblica autonoma con a capo Karadzic contestata dalle autorità di Sarajevo. La CEE riconosce Croazia e Slovenia, rimandando il riconoscimento della Bosnia e della Macedonia.
Il 29/2 la maggioranza dei bosniaci si dichiara favorevole all'indipendenza. In aprile giunge il riconoscimento internazionale, ma la guerra civile é già scoppiata. Comincia l'assedio di Sarajevo che viene dai serbi duramente bombardata e ridotta alla fame. Nel giro di poche settimane i serbi bosniaci, sostenuti dall'armata federale, arrivano a controllare il 70% del territorio. Anche i croati di Bosnia aprono le ostilità contro i serbi, ma soprattutto contro i musulmani ed arrivano a controllare il 20% del territorio. L'ONU decreta le sanzioni economiche contro la Serbia e il Montenegro.
In aprile viene proclamata a Belgrado la nuova repubblica federale di Jugoslavia che comprende Serbia (con Vojvodina e Kosovo) e Montenegro. Il nuovo stato non viene riconosciuto internazionalmente.

1993
A gennaio con un'offensiva lampo i croati strappano ai serbi di Krajina il controllo della baia di Maslenica (unica via di comunicazione tra costa e continente) e l'aeroporto di Zara. Piano Vance-Owen. In aprile comincia il pattugliamento dell'Adriatico e del Danubio da parte della UEO per far rispettare l'embargo. continuano le offensive serbe contro i musulmani e la relativa pulizia etnica (a febbraio un rapporto CEE calcola in più di 20.000 gli stupri su donne musulmane). Si formano le cosiddette enclaves, città musulmane assediate dai serbi e che cadono una dopo l'altra. Ad aprile i serbi di Bosnia respingono il piano Vance-Owen, nonostante le pressioni di Milosevic (che a ottobre rompe con l'ultranazionalista Seselj) che comincia a sentire il peso delle sanzioni (il 90% delle persone si trova sotto la soglia della povertà). Milosevic scioglie il parlamento serbo ed alle elezioni che ne seguono guadagna 123 seggi su 250.
A luglio Mate Boban proclama la Repubblica croata di Erzeg-Bosna con capitale Mostar, sottratta ai musulmani dopo intensi bombardamenti e relativa pulizia etnica.

1994
Febbraio, prima strage del mercato a Sarajevo: muoino 68 persone e 200 rimangono ferite (dal 1992 la città ha sofferto più di 10.000 morti). L'ONU impone il ritiro ad una certa distanza dei mezzi pesanti serbi. La città può respirare dopo mesi di terrore. A marzo accordo in USA tra croati bosniaci e musulmani. A ottobre l'armata bosniaca ristabilisce il controllo su Bihac, enclave musulmana che aveva però deciso di allearsi con i serbi.

1995
I croati riconquistano in aprile la Slavonia occidentale.
I serbi di Bosnia ignorando le minacce occidentali occupano Zepa e Srebrenica (in quest'ultima mancheranno all'appello circa 5.000 uomini in età di leva, probabilmente uccisi a sangue freddo dopo la resa).
Con una rapida offensiva in agosto i croati riconquistano l'intera Krajina e con l'aiuto dei bosniaci rompono l'assedio di Bihac. 250.000 serbi di Krajina sono costretti ad andarsene. Gli USA lanciano un proprio piano di pace che ricalca quello del Gruppo di contatto.
La seconda strage serba sul mercato di Sarajevo provoca una serie di bombardamenti ONU-NATO sulle postazioni serbe.

 

scheda n.1
CHI SONO MILOSEVIC E TUDJMAN

Slobodan Milosevic é nato nel 1941. Laureatosi in legge, preferisce alla carriera interna al partito quella nelle imprese pubbliche e diventa dirigente di aziende importanti. Questa posizione gli permette di intessere legami con ambienti economici e politici statunitensi e francesi e di accreditarsi in Occidente come rinnovatore liberale. Nel 1983 ritorna agli impegni di partito e l'anno successivo é eletto segretario cittadino a Belgrado. Nel 1986 diviene segretario della Lega dei Comunisti di Serbia. Dal 1987 comincia la sua campagna contro l'autonomia della Vojvodina e del Kosovo e soffoca la resistenza di quest'ultimo combinando manifestazioni nazionaliste di massa ed uso delle forze repressive. Nei suoi discorsi i serbi vengono dipinti come vittime secolari dei soprusi delle altre nazionalità. Nel 1989 diviene presidente della Serbia. Promuove nel 1990 la trasformazione della Lega dei Comunisti di Serbia in Partito Socialista Serbo che si presenta alle elezioni del 9/12 guadagnando 194 seggi su 250. Milosevic é confermato presidente.
Franjo Tudjman é nato nel 1923. Giovanissimo combatte come partigiano al fianco di Tito contro il governo ustascia di Ante Pavelic, nel ruolo di commissario politico. Tito, a guerra terminata, lo nomina responsabile della formazione politica dei quadri dell'armata jugoslava, custode dell'ortodossia "marxista". Diviene il più giovane generale dell'esercito, ma lascia la carriera militare per quella universitaria, nella facoltà di scienze politiche di Zagabria. Nel 1971 é tra i protagonisti della "primavera croata", un movimento rinnovatore considerato dalla dirigenza jugoslava separatista e quindi severamente represso. Tudjman venne radiato dal partito e incarcerato. Da qui comincia a spostarsi ideologicamente sempre più a destra. Oggi si colloca tra gli storici revisionisti che mettono in dubbio le cifre dell'Olocausto e delle stragi ustascia durante la seconda guerra mondiale. Si presenta alle elezioni dell'aprile del 1990 con l'Unione Democratica Croata, partito di destra da lui fondato e che ha giocato tutta la campagna contro "i nemici di sempre: i serbi". Vince le elezioni presidenziali con il 57% dei voti contro il 39% del comunista Ivan Racan e si aggiudica i 2/3 dei seggi parlamentari.

 

scheda n.2
LA JUGOSLAVIA: COSA ERA

Jugoslavia significa "stato degli slavi del sud". Le regioni e i popoli che vi vivevano sono quasi tutti di ceppo linguistico slavo (sloveni, serbi, croati, macedoni, montenegrini) ad esclusione degli albanesi e degli ungheresi. Le lingue slave sono: sloveno, macedone e serbo-croato (parlato anche dai montenegrini e dai musulmano-bosniaci). Non vi sono differenze sostanziali tra serbo e croato se non che il primo si scrive con alfabeto cirillico e il secondo con caratteri latini. L'albanese si parla nel Kosovo (dove é maggioritario) e in Macedonia (minoritario); l'ungherese in Vojvodina. La religione é cattolica in Slovenia e Croazia, ortodossa tra i serbi e in Montenegro e in Macedonia (ad esclusione della minoranza albanese), musulmana tra i musulmano-bosniaci e gli albanesi.
Queste diverse nazionalità sono sempre state divise per secoli tra varie entità che le sottomettevano (Austria, Ungheria, Impero ottomano...). Solo la Serbia e il Montenegro mantennero l'indipendenza in certi periodi storici.
Dopo la caduta dei grandi imperi, nel 1918, nacque il Regno degli sloveni, croati e serbi, chiamato poi Jugoslavia. Nel 1921 fu approvata una costituzione centralista e quindi favorevole ai serbi, l'etnia più numerosa. Gli scontri interetnici che ne seguirono spinsero il re Alessandro all'instaurazione di un regime dittatoriale ad egemonia serba. Dopo varie vicende nell'aprile 1941 la Jugoslavia fu invasa da Germania e Italia nel giro di soli 11 giorni. Seguì una rapida spartizione. L'Italia si annesse gran parte della Slovenia e della Dalmazia assicurandosi il controllo dell'Albania (alla quale fu annesso il Kosovo), la Macedonia andò alla Bulgaria fascista, la Croazia fu costituita in regno nominalmente affidato al Duca di Spoleto (che venne denominato in sprezzo del ridicolo Tomislav II), ma questi ritenne opportuno non farsi mai neppure vedere nei suoi turbolenti possedimenti. Il potere fu dunque esercitato in realtà dagli ustascia, i fascisti locali, sotto la guida del loro duce Ante Pavelic. Gli ustascia si distinsero per la repressione nei confronti di serbi, zingari, ebrei (ne fecero fuori a centinaia di migliaia). "Ustascia" é un termine che ricorre spesso anche nell'attuale conflitto dato che il partito di Tudjman presenta non poche caratteristiche in comune coi seguaci di Pavelic. Anche "cetnici" é un nome spesso usato anche oggi. Era il termine con cui venivano chiamati i combattenti filomonarchici ed anticroati di Mihajlovic che durante la seconda guerra mondiale si erano costituiti formalmente per difendere il territorio dalle truppe tedesche. In realtà i cetnici evitavano accuratamente lo scontro con gli invasori, arrivando con questi a taciti accordi di spartizione territoriale, e concentrando invece i propri sforzi bellici contro i partigiani comunisti. Gli stessi alleati decisero di non riconoscerli più come referente antitedesco nell'area, passando ad un certo punto ad appoggiare politicamente Tito. Dopo la vittoria dell'armata partigiana contro i tedeschi Mihajlovic fu preso e mandato davanti ad un plotone di esecuzione. Oggi hanno ripreso la sua tradizione le bande paramilitari legate a Vojislav Seselj.
La resistenza contro italiani e tedeschi fu dunque portata avanti totalmente dai partigiani comunisti con a capo Tito. La lotta, cominciata in Serbia e Montenegro, si estese gradatamente a tutta la Jugoslavia. A differenza della resistenza italiana, quella jugoslava non era condizionata dagli alleati, che non aiutarono mai seriamente la loro lotta, né da forze politiche borghesi. Nel 1945 l'esercito partigiano controllava l'intero Paese senza aiuti stranieri.
Subito dopo il conflitto i comunisti instaurarono una federazione formata da sei repubbliche (Serbia, Croazia, Montenegro, Slovenia, Bosnia-Erzegovina e Macedonia) e due regioni autonome (Vojvodina e Kosovo) e vararono drastici provvedimenti economici tesi alla riforma agraria e alla nazionalizzazione dei mezzi di produzione. La nuova Jugoslavia inoltre si mostrava indipendente anche sul piano della politica estera. Ciò era intollerabile per Stalin e nel 1947 si arrivò alla rottura con l'Unione Sovietica.
A sua volta però Tito aveva delle mire sull'Albania: là i partigiani comunisti albanesi (con a capo Enver Hoxha) avevano liberato da soli il territorio contribuendo anche in maniera determinante alla liberazione del Kosovo. Dal Kosovo però i partigiani albanesi furono costretti dagli jugoslavi a sloggiare dato che questi ultimi erano intenzionati ad annettersi (come avrebbero fatto) la regione. Da qui ha origine la rottura di Hoxha (che si schiererà con Stalin) con Tito.
Il regime che si instaurò in Jugoslavia era monopartitico, anche se più liberale di quello sovietico. La liberalità non arrivava comunque a permettere la minima espressione di indipendenza da parte di sindacati, partiti, organizzazioni di varia natura. Dal punto di vista economico si distingueva dall'URSS per la cosiddetta autogestione. In realtà gli operai gestivano assai poco. Si trattava di un sistema che lasciava parecchia autonomia alle imprese (dirette comunque da una burocrazia). Formalmente tutte le repubbliche della Federazione (e le due regioni autonome all'interno della Repubblica Serba) contavano allo stesso modo, anche se in realtà c'era una prevalenza dell'elemento serbo, specie nell'esercito. Questo era costituito dall'Armata Federale coadiuvata da milizie (la Difesa Territoriale) che dipendevano dalle singole repubbliche. Nel 1980 moriva Tito e la presidenza da allora fu attribuita a rotazione tra le varie repubbliche.

 

scheda n.3
LA BOSNIA

La Bosnia era una delle repubbliche della Federazione Jugoslava (capitale: Sarajevo). Questa regione ha sempre avuto, a partire dal Medioevo, una propria caratterizzazione autonoma, una stessa lingua, quella serbo-croata, ed una difficile convivenza di tre religioni: cattolica (professata dai croati), ortodossa (professata dai serbi) e musulmana. L'origine di questi musulmano-bosniaci é particolare. Essi sono i discendenti di una setta cristiana medievale : i bogomili, che contestavano il potere di Roma da un lato e di Bisanzio dall'altro (capitali rispettivamente del cattolicesimo e dell'ortodossia) poiché predicavano e sostenevano la più totale povertà evangelica, non consideravano testo sacro l'Antico Testamento e respingevano gran parte dei sacramenti, erano avversi alle gerarchie religiose ed al culto delle immagini, non riconoscevano alcuna autorità terrena. Tra i secoli XI e XV furono duramente perseguitati dai sovrani bizantini e bulgari, subirono condanne da vescovi e concili, furono combattuti aspramente dai missionari cattolici. Quando i Balcani furono invasi dagli ottomani, i bogomili accolsero con favore degli invasori che si mostravano molto più tolleranti con loro dei "civili" cristiani. Trovando evidentemente più punti di contatto con l'Islam che con il cristianesimo i bogomili si convertitrono in massa all'Islam. Prima del 1991 i musulmani costituivano il 43,7% della popolazione, i serbi il 31,3% e i croati il 17,3%. La distribuzione delle tre etnie era in generale a macchia di leopardo. Grosso modo si può dire comunque che i musulmani erano maggioritari nei distretti centro-orientali e all'estremità occidentale (Bihac), i serbi in quelli centro-occidentali, i croati in quelli a sud-est, a ridosso della Croazia. Nelle elezioni bosniache del 1990 l'86% dei seggi era andato a partiti a base etnica: il Partito per l'azione democratica (SDA) (rappresentante dei musulmani e con a capo Alija Izetbegovic, attuale presidente della Bosnia) con il 37,8% dei voti, il Partito Democratico Serbo (SDS) (di Radovan Karadzic, attuale presidente dell'autoproclamata Repubblica del Popolo Serbo della Bosnia Erzegovina) con il 26,5%, e la Comunità Democratica Croata (HDZ) con il 14,7% dei voti. I due partiti interetnici avevano ottenuto il 6% (Lega dei comunisti-Partito per il cambiamento Sociale) e il 5,6% (Alleanza delle Forze Riformiste di Jugoslavia).

 

scheda n.4
LA GUERRA IN BOSNIA

Sin dall'inizio della crisi jugoslava segnali di guerra civile si facevano sentire ad opera di milizie serbe che non intendevano accettare il processo che ormai si andava delineando di distacco della Bosnia dalla Federazione Jugoslava. Ma l'inizio vero della guerra civile in Bosnia é da far risalire ai giorni in cui si realizzava il referendum dove la schiacciante maggioranza dei votanti (ma la minoranza serba in gran parte non era andata a votare) si dichiarava per l'indipendenza. Il primo marzo 1992 Sarajevo veniva paralizzata dall'azione delle milizie serbo-bosniache, già armate da tempo e capitanate da Karadzic, seguace di Milosevic. Izetbegovic, presidente della Bosnia, che aveva passato vari anni nelle galere jugoslave per le sue teorie politiche islamiste, non si era minimamente preparato all'autodifesa (contrariamente a sloveni e croati), nonostante il prevedibilissimo attacco serbo. Per molto tempo la direzione Izetbegovic, confidando nell'aiuto occidentale e soprattutto USA, ha mostrato una notevole incapacità e debolezza a far fronte politicamente e militarmente alle iniziative avversarie. Nel 1992 cominciava così il lungo assedio serbo a Sarajevo, mentre in pochi mesi i serbo-bosniaci, appoggiati dall'armata federale, conquistavano il 704% del territorio bosniaco portando avanti una spaventosa pulizia etnica (stupri, stragi, internamenti in veri e propri lager, ecc.). Si calcola che in soli tre mesi il conflitto in Bosnia abbia provocato 40.000 morti, la maggior parte musulmani. Nel maggio 1992 la neoanata Federazione Jugoslava, per non incorrere nell'accusa di aggressione ad uno stato sovrano, richiamava in patria serbi e montenegrini impegnati nell'esercito federale di stanza in Bosnia. In realtà i 100.000 militari di tali unità erano per oltre il 90% serbi della Bosnia e da quel momento entrarono così a far parte del'esercito di Karadzic. La Serbia ha continuato comunque, anche se in forma meno aperta, a rifornire e sostenere i serbi di Bosnia. Anche la Croazia era entrata quasi da subito pesantemente nel conflitto sostenendo i croato-bosniaci, il cui leader, Mate Boban, proclamava il 4 luglio 1992 la creazione della Comunità Croata dell'Herzeg-Bosna unificando i territori controllati dalle sue milizie. La sua guerra si rivolse soprattutto contro i musulmani verso i quali applicò le stesse tecniche di pulizia etnica usate dai serbi. La guerra croato-musulmana é terminata con gli accordi del marzo 1994. La neonata federazione croato-musulmana controlla il 30% del territorio, pur rappresentando quasi il 70% della popolazione.

 

scheda n.5
COSA É IL KOSOVO

Il Kosovo era una regione autonoma all'interno della Repubblica di Serbia, a sua volta facente parte della Federazione Jugoslava. Secondo il censimento del 1991 la popolazione del Kosovo era costituita prima della guerra da un 90% di albanesi. Gli albanesi (5,5 milioni nei Balcani) sono dunque oggi divisi in tre stati (Albania, Macedonia, Serbia-Montenegro) anche se popolano territori contigui. Nella Federazione di Tito il Kosovo, la regione più povera della ex-Jugoslavia, godeva di una certa autonomia poi ridotta praticamente a zero da Milosevic (con modifiche costituzionali intercorse nel 1989 e nel 1990). Questi ha tra l'altro promosso un processo di "colonizzazione serba" (ad esempio trasferendo là una parte dei rifugiati) con intento di variare la composizione etnica del territorio. La stessa operazione é stata condotta anche in Vojvodina (dove risiede una fortissima minoranza ungherese). Tra il '91 e il '92 tutte le istituzioni dirette da albanesi (dalle corti di giustizia ai distretti di polizia, dalle scuole alle associazioni culturali) sono state sciolte o in alternativa i dirigenti albanesi sostituiti con serbi. L'albanese é stato bandito come lingua ufficiale, televisione e radio sono passate in mani serbe, chiusi gli organi di informazione albanesi. L'opera di colonizzazione e la discriminazione economica nonché le decine di migliaia di licenziamenti di albanesi dal settore pubblico sta costringendo gli albanesi del Kosovo ad una forte emigrazione. Le rivendicazioni dei partiti albanesi così si sono oggi radicalizzate passando dalle posizioni autonomiste a quelle indipendentiste. Sulla base di un referendum clandestino (26-30 settembre 1991) l'Assemblea Regionale di Pristina (sciolta da Belgrado il 5 luglio 1990) ha proclamato la Repubblica del Kosovo ed ha eletto un governo provvisorio subito riconosciuto dall'Albania. Nel maggio 1992 gli albanesi del Kosovo hanno organizzato elezioni politiche clandestine e dato vita al primo parlamento dell'autoproclamata Repubblica del Kosovo. Lo scrittore Ibrahim Rugova é stato designato Presidente della Repubblica. Gli albanesi del Kosovo rifiutano di partecipare alle elezioni serbe e a quelle federali. ONU, CE, USA si rifiutano di riconoscere il diritto all'autodeterminazione degli albanesi del Kosovo, dato che, formalmente, il Paese si ritrova entro i confini della Repubblica di Serbia. La ragione per cui in Kosovo non é scoppiata una rivolta armata é semplice: gli albanesi kosovari sono senza armi. Nel 1981 infatti il governo federale disarmò totalmente la locale Difesa Territoriale.

 

scheda n.6
KRAJINA E SLAVONIA

La Slavonia é la regione croata che sta tra l'Ungheria e la Bosnia e confina ad est con la Serbia. Per Slavonia Orientale si intende quella a ridosso del confine serbo con capoluogo Vukovar, per Slavonia Occidentale quella che comprende la cittadina di Okucani riconquistata dai croati nell'aprile 1995. Questa regione era abitata prima della guerra da una maggioranza di croati con la presenza di una forte minoranza serba. Dal marzo 1991 (con la rivolta di Pakrac) la minoranza serba, armata da Belgrado, cominciava una serie di azioni di guerriglia e di atti terroristici che portarono una parte della popolazione croata ad allontanarsi. Da quel momento il copione, destinato a ripetersi fino alla fine dell'anno, fu: le bande paramilitari serbe attaccavano la polizia croata (dalla quale Tudjman aveva fatto escludere gli elementi serbi), l'esercito federale (ma in realtà filoserbo) interveniva, ufficialmente per dividere i contendenti, in realtà per sancire l'avanzata dei serbi. L'esercito federale attaccava direttamente in prima persona solo per conquistare le grosse città. Tra queste Vukovar che, lungo una resistenza di tre mesi, venne praticamente rasa al suolo e solo così conquistata dai serbi nel novembre 1991.
La Kraijna é una regione della Croazia che confina con la Bosnia, e che era abitata, sino all'agosto di quest'anno, in gran parte da serbi. Costoro erano insediati nella regione da secoli, separati dai serbi di Serbia. L'origine di questo stanziamento risale alla fine del 1500 quando l'Austria si trovò a difendere dai turchi il proprio territorio, che comprendeva la Croazia. La striscia di territorio (l'attuale Krajina e la parte meridionale della Slavonia) che separava la Croazia dall'impero ottomano (che arrivava fino in Bosnia) era spopolata a causa delle incursioni turche. L'Austria trovò dunque conveniente insediarvi quei prufughi serbi che erano fuggiti a nord e che furono allettati a rimanere in quei posti attraverso la concessione di speciali diritti di possesso della terra in cambio della difesa del territorio dai turchi. I serbi di Krajina sono rimasti maggioritari sino all'agosto 1995. In Slavonia invece col tempo i serbi divennero una minoranza (da qui l'isolamento della Krajina rispetto alla Serbia). L'origine e la dinamica del conflitto nella Krajina sono gli stessi della Slavonia e portarono al controllo da parte dei serbi della regione e alla cacciata della minoranza croata. Nel 1991, con un referendum che le autorità federali non riconobbero, la Krajina si pronunciava per il distacco dalla Croazia e per la fusione con la Serbia ancor prima che si producesse effettivamente l'indipendenza croata. Dopo più di due anni di relativa calma i croati hanno riconquistato nell'agosto 1995 con un'offensiva lampo l'intera Kraijna senza che la Serbia intervenisse. 250.000 serbi furono costretti ad un esodo forzato, mentre le truppe croate si abbandonano ad atti di pulizia etnica e vendetta nei confronti dei serbi in fuga.

 

scheda n.7
LE PROPOSTE DI MEDIAZIONE

Nel gennaio 1993 Cyrus Vance (ONU) e David Owen (CEE) presentano un piano per la suddivisione della Bosnia in 10 province semiautonome, basate sulle etnie e sotto la tutela ONU e la smilitarizzazione di Sarajevo. La proposta é respinta dai musulmani e dai serbi (che avrebbero controllato solo il 38% del territorio quando già ne avevano conquistato il 70%). Nell'agosto 1993 i mediatori David Owen (Unione Europea) e Thorval Stoltenberg (ONU) proponevano un piano di suddivisione della Bosnia-Erzegovina in tre repubbliche con il 52% del territorio ai serbi, il 30% ai musulmani e il 18% ai croati; Sarajevo e Mostar sarebbero state affidate ad organismi internazionali per due anni. Il parlamento di Sarajevo respinse il piano perché non contemplava la restituzione delle zone a maggioranza musulmana che croati e serbi avevano preso con le armi. Nel maggio del 1994 tutte le parti in causa respingevano la proposta del Gruppo di contatto (USA, Russia, Unione Europea) che contemplava il 51% di territorio a musulmani e croati e il 49% ai serbi (i serbi avevano in mano il 70% del territorio pur rappresentando il 31% della popolazione). Nell'agosto 1995 gli USA proponevano un piano che prevedeva le stesse percentuali di quello del Gruppo di contatto, Goradze (enclave musulmana) ai serbi di Bosnia, e la possibilità che questi si federassero alla Repubblica di Serbia.

 

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