DOPO IL QUINDICI SETTEMBRE
LA MANIFESTAZIONE DELLA LEGA LUNGO IL PO


Settembre 1996

 

La manifestazione di Bossi lungo il Po é stato un successo. La parola d'ordine dei media e dei partiti politici é: "minimizzare" e si prende a riferimento le deliranti cifre che Bossi aveva promesso di raggiungere (un milione di partecipanti) per provarne l'esiguità della partecipazione. Ma se prendiamo per buona la cifra di centocinquantamila partecipanti (sommando le varie postazioni lungo il Po) data dai giornali, dobbiamo constatare che si tratta della più grossa manifestazione leghista da quando il movimento é stato fondato, a soli tre mesi di distanza dal raduno della Lega del 2 giugno quando era riuscita a raccoglierne la metà. Quella che sino a un anno fa era considerata una barzelletta, la parola "secessione", oggi é presa sul serio da tutti. Pur stando all'opposizione, pur avendo una rappresentanza parlamentare ininfluente, la Lega é la protagonista indiscussa di questo dopoelezioni.

Per noi comunisti dovrebbe costituire motivo di ulteriore preoccupazione la contemporanea manifestazione di Alleanza Nazionale a Milano, che ha raccolto 150.000 persone su parole d'ordine patriottarde. Si tratta anche in questo caso di un record: né AN né il suo predecessore MSI erano riusciti a portare in piazza tante persone. E a poco vale consolarci il fatto che in Piazza Castello ci fosse anche gente che non vota per Fini, anzi: la cosa dovrebbe ulteriormente preoccupare, significa che la destra classica riesce ad egemonizzare anche al di là dei suoi confini. Insomma: il 15 settembre la destra (anche se diametralmente divisa) ha portato in piazza 300.000 persone. Una quantità che mai si era vista e che comincia pericolosamente ad avvicinarsi al potenziale di mobilitazione della sinistra, che in vari momenti (se unita) ha portato in piazza anche mezzo milione di persone. Non il 15 però, perché la sinistra in piazza non c'era, e neanche in qualche altro luogo. I milioni di italiani che votano a sinistra il 15 avranno pensato che i loro partiti fossero persi da qualche parte, mentre invece erano chiusi a chiave in una piccola stanzetta, da qualcuno chiamata "Governo Prodi".

 

Cos'é la Lega?

Ricordiamo che la Lega ha cominciato il suo recupero in occasione delle elezioni del 21 aprile, quando si é presentata da sola come alternativa al centro destra (Polo) e al centro sinistra (Ulivo più Rifondazione). La Lega aveva ottenuto nelle Regionali del 1985 il 6,4% precipitando dal 9,1% delle Politiche del 1994. Non c'era notista politico che non la desse per spacciata. Nelle Politiche del 21 aprile di quest'anno si é ritrovata al 10,1%, il record tra i suoi risultati elettorali, accumulando al Nord il 20,5%, sfondando in Emilia Romagna con il 7,2% (6,4% nel 1994 e 3,1% nel 1995), raggiungendo il 32,8% nella circoscrizione Veneto 2 (22,9% nel '94 e 16,9% nel '95) e migliorando ovunque rispetto al '94.

Si dice che il successo della Lega sia dovuto al gran numero di industrialotti del Nord-Est. A tal proposito si scomodano anche le categorie alla moda nella sinistra: la "fabbrica diffusa", l'onnipresente "postfordismo", la solita "globalizzazione", ecc. Ora, industriali e industrialotti, e mettiamoci dentro anche borghesi di varia altra natura (manager, banchieri, dirigenti, ecc.) non superano nel Nord-Est, come in qualsiasi altra parte dell'Italia, secondo i dati dell'ISTAT, il 3% della popolazione economicamente attiva. Un po' pochino, si converrà, per spiegare il successo elettorale della Lega. Certo, potremmo dire che la Lega rappresenta gli interessi della piccola industria del Nord-Est, ma questo non spiega affatto la quantità di voti che prende. Anche il Partito Repubblicano rappresentava gli interessi della grande industria, ma non é mai andato al di là del 4%. Si potrebbe dire che a questa cifra dovremmo aggiungere anche gli artigiani e in generale quei lavoratori in proprio che hanno dipendenti pur impiegando anche la propria forza lavoro. Così facendo (ed includendo anche i liberi professionisti) dovremmo aggiungere il 3,5% della popolazione economicamente attiva. Come si vede, anche ammesso (ma non concesso) che la totalità di questi soggetti sociali votasse Lega, non riusciremmo a spiegarci il suo successo, che in alcuni luoghi supera il 30%.

Si dice che la Lega sia un partito "piccolo borghese", nel senso che riceve il consenso dell'insieme dei lavoratori autonomi (dobbiamo poi vedere se ne rappresenta gli interessi). Questa é un'ipotesi un po' più sostanziosa. Ma non conclusiva. L'argomento si basa su una qualche analogia con il fascismo (che aveva appunto attratto a sé vasti settori di piccola borghesia frustrata e insoddisfatta), ma non calza. La piccola borghesia é una classe sociale strutturalmente in declino dall'inizio del capitalismo. Nel senso che i lavoratori autonomi sono sempre di meno. È vero che tra i paesi industrializzati l'Italia mantiene insieme al Giappone un record nel numero di piccolo borghesi: negli USA essi costituiscono una percentuale irrisoria. Da noi invece imprenditori, professionisti e lavoratori in proprio che non hanno dipendenti arrivano al 17%. Nel Veneto la piccola borghesia é numerosa, ma la percentuale sulla popolazione economicamente attiva é inferiore a quella dell'Emilia, della Toscana, ecc. dove la Lega non gode ancora di consensi plebiscitari. La Lombardia poi, patria della Lega Nord, ha una delle percentuali più basse di piccola borghesia in Italia.

Si é letto, purtroppo anche su Liberazione, che la Lega sarebbe sostenuta dalla Germania. La teoria, che dovrebbe spiegare il successo della Lega, é un po' bislacca e nessuno ha mai avuto il coraggio di esporla compiutamente, forse per paura di cadere nel ridicolo; appare a livello di insinuazione, battuta. Si basa sul convincimento che la Germania starebbe tramando la disgregazione dell'Italia per annettersi la Padania nella sua sfera d'influenza. Un po' di germanofobia compare a tratti sul nostro giornale, Liberazione, quando si tratta di contrastare Maastricht: dovendo trovare un capro espiatorio che non sia la propria borghesia, si preferisce accusare la Germania (fino a qualche tempo fa la parte spettava agli USA) di voler "colonizzare" l'Italia. Il tutto rischia di ridursi a un po' di nazionalismo a buon mercato con i comunisti che vorrebbero dimostrare di saper difendere gli interessi "nazionali" (cosa sono? Boh!) meglio dei borghesi. In realtà se la borghesia italiana vuole entrare nel nocciolo duro dell'Unione Europea é perché così pensa di curare meglio i propri autonomi interessi. Insomma: la borghesia italiana, come quella europea in generale con la parziale eccezione di quella inglese, si rende conto che non può affrontare la concorrenza mondiale (USA, ma soprattutto l'Asia) da sola, ma con una stretta alleanza dei vari paesi europei intorno alla Germania. Di solito i portatori della teoria di cui sopra sono anche coloro che interpretano la disgregazione della Jugoslavia come frutto di un "complotto imperialista" (tedesco, soprattutto), ma ciò significa non avere ben chiara la cronologia degli eventi: la Germania ha sempre difeso l'unità della Jugoslavia e si é decisa a riconoscere l'indipendenza di Slovenia e Croazia solo nel momento in cui la secessione appariva inevitabile. La Germania, come anche gli altri paesi, hanno interesse a che l'intera Italia entri nell'UE monetaria (anche se "con i conti in ordine") e non ha alcun interesse a soffiare sul fuoco del regionalismo, perché al riguardo ha problemi in casa propria (la Baviera). Inoltre sono evidenti gli sforzi della Germania nel mantenere un basso profilo: data la sua evidente potenza economica gli altri partners (in primis la Francia) farebbero il diavolo a quattro se si accorgessero che sostiene di soppiatto lo spezzettamento di uno di loro.

Altri interpretano il tema secessionista intonato dalla Lega come cavallo di Troia dei nemici dello stato sociale. L'analisi assomiglia a quella di coloro che interpretavano l'antisemitismo nazista come un "trucco" per deviare la frustrazione sociale verso falsi obiettivi. Questa interpretazione però non spiega perché i nazisti hanno continuato a sterminare ebrei anche molto tempo dopo che avevano già conquistato il potere e persino fino a pochi giorni prima di essere definitivamente sconfitti. Se era un "trucco" che bisogno avevano di portarlo avanti dopo che avevano già vinto la partita? Il modo di ragionare di cui sopra corrisponde ad un materialismo un po' volgare che fa corrispondere in maniera meccanica ogni espressione del "politico" con l'"economico". Non é così: i partiti politici rispondono complessivamente ad interessi di classe, ma ognuno lo fa seguendo una propria logica, "inerziale" e che può andare anche contro o essere di ostacolo alla classe i cui interessi oggettivamente rappresenta. Alla fine degli anni ottanta ad esempio era assai evidente, anche perché lo dicevano, che la DC, pur essendo un partito che rappresentava gli interessi delle classi alte, non trovava più il consenso di queste, che hanno fatto di tutto per sbarazzarsene. AN, é certamente un partito borghese, nel senso che non si sognerebbe mai di abbattere il capitalismo, ma, almeno per ora, non gode affatto dei consensi della borgesia. La stessa cosa riguarda la Lega. La Lega é un partito borghese, ma non é sostenuta dalla borghesia del Nord e nemmeno da una sua parte consistente. Quello che molti padroni del Nord vorrebbero é ricontrattare con lo stato una diversa distribuzione delle risorse, nulla a che vedere con lo "spirito padano". La Lega ha una sua autonoma strategia, delle proprie tradizioni e propri obiettivi politici, autonomi dal pensiero maggioritario della borghesia così come li avevano i fascisti ed i nazisti. Insomma: Bossi non é un agente camuffato della borghesia: il suo fine é realmente la secessione del Nord, e in base a questo obiettivo articola la propria strategia. Certo, la sua linea ad un certo punto potrebbe incontrare quella della borghesia, così come avvenne con il fascismo e con il nazismo (che prima di essere sostenuto dai borghesi ha dovuto attendere più di dieci anni), non siamo però al momento in questa situazione.

In conclusione la Lega é un partito borghese di destra che non gode attualmente del consenso della borghesia, ma di larghi strati della piccola borghesia e crescenti settori di lavoratori, specialmente operai.

 

Il consenso operaio alla Lega

Il dato imbarazzante per la sinistra e soprattutto per noi comunisti é che la Lega é il primo partito tra gli operai del Nord. Questa crescita tra gli operai é recente e data dalle ultime elezioni politiche. Una parte infatti del voto borghese e piccolo borghese é stato intercettato negli ultimi tre anni da Forza Italia. La risalita della Lega dunque non ha riacquistato la stessa forza che aveva prima, ma una forza diversa: meno borghese e piccola borghese e più popolare e operaia.

Del consenso operaio a Bossi a sinistra si parla malvolentieri, ma ormai nessuno può metterlo in dubbio. Bossi é forte là dove più forte é l'industrializzazione. Vi sono eccezioni di carattere per così dire "etnico": nelle zone di antica immigrazione meridionale (gli hinterland torinese e milanese) Bossi non sfonda. La ragione é ovvia: anche se non mancano gli operai meridionali che votano Lega (e soprattutto i loro figli), l'ostentato antimeridionalismo della sua propaganda infastidisce la maggior parte degli operai meridionali (che non sono certo pochi, per fortuna). Ne dobbiamo dedurre che se non operasse questo fattore il consenso alla Lega tra gli operai sarebbe ancora più alto.

Un'inchiesta commissionata dalla CGIL della Lombardia all'Abacus su come avevano votato gli operai della Lombardia alle elezioni del 21 aprile presentava dati estremamente significativi. Tra gli operai della regione risulta che la Lega é il primo partito col 33%, segue Forza Italia col 18,4%, il PDS col 14,5% e Rifondazione ha il 10,4% (AN l'8,4%). Tra gli impiegati pari merito Lega e PDS con il 20,4% seguiti da Forza Italia, AN e poi Rifondazione.

Visto il consenso operaio di cui gode Bossi(e del quale é perfettamente consapevole), appare davvero ridicola l'interpretazione della Lega come espressione dell'"egoismo" di quelli del Nord ricco che vorrebbero ulteriormente arricchirsi fregandosene della "solidarietà" verso il Sud. I magri salari operai infatti ci pare si adattino poco a questo moralistico quadretto.

Sia chiaro: non stiamo dicendo che la Lega é un partito che non può essere considerato di destra perché gode di consenso operaio. Semplicemente si tratta di un partito di destra che gode del consenso operaio. È la stessa cosa che accade in Francia con Le Pen, il cui partito é in testa alle preferenze operaie. Dato il reddito in discesa degli operai (per cui non possiamo permetterci spiegazioni tipo "gli operai si sono imborghesiti") sia in un caso che nell'altro non possiamo che concludere che il disagio operaio trova espressione a destra. E a meno che non pensiamo che gli operai siano strutturalmente stronzi, dovremo pur concludere che in qualcosa la sinistra ha sbagliato.

Alcuni trovano consolatorio che la Lega incontri i maggiori consensi là dove questi andavano prima alla Democrazia Cristiana. In parte é vero, ma come dimostrano alcuni studi in materia, la DC era il primo partito anche tra gli operai, incluso l'immediato secondo dopoguerra. Solo nel 1976 il PCI divenne tra gli operai il primo partito. Il nostro problema é dunque questo: la sinistra ha perso un'egemonia che aveva conquistato negli anni settanta. Non solo: essa é assente nei luoghi di più recente e moderna e intensa industrializzazione. Appare cioé grave che nelle zone tradizionalmente bianche (ma che vent'anni fa non erano particolarmente industrializzate) il voto in libertà sia stato intercettato dalla Lega e non dalla sinistra.

La Lega attrae sicuramente strati di piccola borghesia in decadenza che non trovano alcuno spazio ora e non ne troveranno nell'Europa liberista domani. A noi però interessa di capire le ragioni del consenso operaio (e più in generale dei lavoratori dipendenti, abbiamo visto anche una forte simpatia tra gli impiegati). Se diamo un'occhiata alla curva degli scioperi in questi ultimi anni vediamo che la conflittualità nelle fabbriche ha raggiunto i livelli più bassi del dopoguerra e ciò in un momento in cui i salari cadono, lo sfruttamento e la precarietà aumentano. La rabbia sociale che ne deriva non trova espressione sul piano della conflittualità di classe. La Lega appare come il canale politico privilegiato dagli operai del Nord per "rappresentare" politicamente la propria frustrazione sociale.

Gli operai sono certamente attratti dalle semplici parole d'ordine leghiste e che hanno (per lo meno così pare loro) una immediata attinenza con i propri salari: la promessa dell'abbattimento del prelievo fiscale, visto solo come tributo pagato per "l'assistenza" del Sud ad esempio. È una via che a tanti operai appare più semplice e immediata di lotte che nessuno vuole fare né sostenere sia a livello politico che sindacale. In realtà però ciò che gli operai amano della Lega é il suo deciso carattere antisistema. Oggi più che mai la Lega appare come l'unica opposizione contro lo Stato, il Palazzo, l'establishment. Appare il mezzo più rapido e sicuro per dare uno scossone brutale al sistema.

L'attrazione dei lavoratori per Bossi si situa tutta nel "politico". Coloro che pensano che gli operai votano Bossi perché ammirano i propri operosi padroni "padani" prendono un bel granchio. Gli operai ad esempio non si sognerebbero mai di aderire in massa ad un un sindacato leghista, per la semplice ragione che sarebbe un sindacato giallo. I vari tentativi fatti da Bossi in questo senso sono regolarmente falliti. A Brescia quando il Sal, il sindacato leghista, si é presentato alle elezioni delle RSU, le rappresentanze di fabbrica, non é andato in media al di là del 2% dei consensi. Per guadagnarne infatti il SAL dovrebbe attaccare in forze il moderatismo sindacale, cosa che ovviamente non può fare. Gli operai dunque rimangono legati ai propri sindacati, che assicurano un minimo di contrattazione con i padroni, ma poi votano per Bossi. In provincia di Pordenone, dove é alta la sindacalizzazione, il 24% degli iscritti alla CGIL ha votato Lega. È chiaro dunque che Bossi risponde sul piano del "politico" a preoccupazioni che albergano tutte nel "sociale", dà risposte "etniche" a bisogni che invece sono di classe. Non c'é tra gli operai del Nord nemmeno un po' di motivazioni "nazionali". Se la Padania fosse una nazione, sarebbe da considerarsi una nazione che opprime (il Meridione), ma é vero che gli operai sono oppressi (un'oppressione di classe): Bossi ha operato oggettivamente la sovrapposizione di un contenuto falso su un'oppressione vera. Gli operai si identificano in un falso Nord sfruttato, perché vi proiettano la realtà vera del proprio sfruttamento di classe.

 

Rifondazione e la Lega sull'altalena a bilico

Rifondazione nelle elezioni del 21 aprile non é riuscita a captare, a causa della scelta della desistenza, il voto operaio del Nord.

Nelle ultime elezioni i risultati di Rifondazione e Lega stavano su un'altalena a bilico: dove uno scendeva, l'altro saliva. Chi si meraviglia che i voti degli operai del Nord possano allegramente viaggiare da Rifondazione alla Lega e viceversa, non conosce bene le realtà odierna della fabbrica. La spoliticizzazione si mischia alla diffusa rabbia sociale. In tutte le circoscrizioni del Nord dove la Lega stavince, Rifondazione é al palo e viceversa. Piemonte 2: la Lega passa dal 12,6% del '95 al 23,0% del '96, Rifondazione passa invece dal 8,1% al 7,7%; Veneto 1: Lega dal 16,7% al 26,9%, PRC dal 4,3% al 4,6% (nel Veneto 2 dal 6,0% al 6,2%). Lombardia 3: PRC dal 9% delle regionali al 7,8% di adesso e la Lega da 13,6% al 21,1%, lo stesso in Lombardia 2 e 1. Viceversa nel Friuli la Lega scende dal 26,7% del 1995 al 23,2%, ma Rifondazione passa dal 5,5% al 7,4%, la stessa cosa accade in Liguria con una Lega che avanza rispetto al risultato del '95, ma scende rispetto a quello del '94, mentre Rifondazione aumenta di 2,3 punti. L'unica eccezione riguarda la circoscrizione Piemonte 1 (Torino), dove comunque la Lega ha una presenza modesta (rispetto al resto del Nord).

Gli operai hanno scelto la Lega perché questa ha canalizzato i loro sentimenti antisistema. Rifondazione oggi appare come un partito che fa parte del mucchio. Ha sovradimensionato il pericolo di vittoria delle "destre", senza preoccuparsi che stava sostenendo partiti che, pur non dichiarandosi di destra, portavano avanti politiche di destra. Con un ragionamento tutto istituzionale ha pensato di fermare le destre sul terreno elettorale, rimanendo paralizzata su quello sociale.

Bossi ha capito una cosa molto semplice, e che la sinistra si ostina ad ignorare: i voti sono la risultante di rapporti di forza che le classi hanno determinato nel sociale. Bossi proprio contando sulla mobilitazione non ha avuto timore di essere "isolato" nelle istituzioni, ed ha fatto anzi di ciò uno strumento di crescita. Rifondazione viceversa ha aumentato le sue capacità contrattuali e di manovra parlamentare (con le conferenze stampa piene di giornalisti, testimonianza secondo il nostro giornale, del "crescente interesse intorno alle proposte del partito"...) ma é completamente bloccata a livello di movimento.

Che dovrebbe fare allora Rifondazione per battere la Lega e strapparle il consenso operaio? Certo non quello che fa il PDS. D'Alema, segretario del PDS, si dice ben disposto a parlare e "interloquire" con la Lega perché ha una composizione sociale assai simile a quella della sinistra (ammettendo con questo il consenso operaio di cui gode). Si tratta di un vecchio vizio del PCI. Ricordiamo che con questo argomento Togliatti giustificò il sostegno a Milazzo, in Sicilia, insieme al MSI, perché questo partito riceveva consensi dal proletariato locale. L'operazione da fare é un'altra. La sinistra deve capire a quali bisogni profondi la Lega risponde con le sue parole d'ordine di destra e venire incontro a quei bisogni con altre parole d'ordine.

Sarebbe dunque sbagliato (come invece sostengono tanti nel PDS e qualche voce nel PRC) scegliere lo stesso terreno di Bossi: opporre al suo piccolo nazionalismo nordista, il patriottismo italiano. Quello é un terreno sul quale può crescere e trovarsi legittimata solo la destra, anche se non quella della Lega. Noi dobbiamo avere la capacità di spostare il terreno dell'attenzione delle grandi masse. E qui nascono i nostri problemi.

La nostra collocazione all'interno di una maggioranza pro Confindustria infatti ha impedito al partito di dare un segnale forte, percepibile a livello di massa, di espressione della rabbia sociale. È evidente infatti che tale segnale non potrebbe che andare contro questo governo che invece la maggioranza del nostro partito sostiene.

Ogni giorno assistiamo a lenti ma continui passi indietro sul piano della radicalità. Prima delle elezioni l'appoggio a Prodi doveva essere solo tattico, per battere le destre, poi si é entrati a far parte integrante della maggioranza, oggi si insiste perché tutte le misure del governo siano concordate in riunioni di maggioranza. È chiaro che domani il passo successivo sarà quello di andare al governo.

Un'altra "idea forte" (in realtà assai bizzarra) pre-elezioni era che si sarebbe consentito il varo del governo e allo stesso tempo si sarebbe fatta pressione attraverso i "movimenti" per ottenere misure a favore dei lavoratori. E oggi si giustifica la tattica anche con la "grande aspettativa suscitata dalla vittoria elettorale del 21 aprile". In realtà le due cose collidono a vicenda: se c'é aspettativa nelle masse, perché mai queste dovrebbero muoversi (cioé dar vita a movimenti) per ottenere ciò che si aspettano che il governo gli dia? La realtà é che i movimenti, specie in periodi di riflusso, non si creano dal nulla senza un chiaro quadro politico di riferimento (dovrebbero essere pro o contro il governo? come si fa a dar vita a un movimento non di protesta, ma "di pressione"?). Ci si mobilita per opporsi a qualcosa. I movimenti di opposizione infatti ci sono, ma sono quelli della destra, che sta politicamente all'opposizione.

Il nostro partito sta adottando, a partire dal dibattito parlamentare sulla fiducia a Dini alla fine dell'anno scorso, uno spiacevole modo di dare battaglia politica. La dinamica é la seguente: primo atto, si proclama ai quattro venti che non si accetterà una certa cosa (la fiducia a Dini, anche se su mozione della destra, la privatizzazione della STET, il documento di indirizzo economico, ecc.); secondo atto, tafferugli e grida della stampa; terzo atto, si ottiene una cosa piccola piccola (la promessa di Dini di dimettersi a fine dicembre, la conferenza per il lavoro, "garanzie" per una privatizzazione che salvaguardi "gli interessi nazionali", e così via); quarto atto, si canta vittoria. Domanda: ma chi crede a queste "vittorie"? Risposta: un sempre minor numero di iscritti a Rifondazione. Queste grida di gioia per le presunte "vittorie" suonano un po' insultanti a masse che vedono ogni giorno di più peggiorare le proprie condizioni di vita. Le "vittorie" per un partito di sinistra sono tali solo quando vegono così percepite dalle larghe masse. Come si fa a spacciare per grande vittoria ad esempio una conferenza per il lavoro che sarà, come non potrebbe non essere, una parata di belle promesse, gran parte delle quali a danno dei lavoratori? Come si fa a pensare che gli operai, i precari, i disoccupati possano considerare una vittoria la convocazione di una passerella di politicanti? Queste "vittorie" potranno inorgoglire qualche militante che segue la politica di partito, ma passano come acqua su masse di lavoratori che di ben altre vittorie avrebbero bisogno.

Molti compagni si consolano vedendo gli attacchi che vengono a Rifondazione e al governo dalla Confindustria. Ma i padroni, si sa, son gente difficile e soprattutto incontentabile. I padroni criticavano anche la DC, il PSI ... Criticheranno sempre ogni governo, perché parrà loro sempre troppo morbido con gli operai. I "successi" di Rifondazione, inoltre, per quanto immaginari, danno comunque loro fastidio perché temono che al momento di stangare forte i lavoratori Rifondazione potrebbe costituire un serio ostacolo. I padroni, come il ceto politico e sindacale, non é padrone degli umori delle masse, che solo chi ci vive in mezzo conosce. Nel dopoguerra ad esempio pensavano di fare del Partito Liberale il partito di massa al servizio della borghesia, ma dovettero accontentarsi della Democrazia Cristiana. Avrebbero fatto negli ultimi anni volentieri a meno di Forza Italia e avrebbero tanto amato invece un bel partito capitanato da Segni. E anche loro non prevedevano certo la rimonta della Lega. Anche i padroni dunque devono adeguare le loro mosse ai ritmi instabili degli umori delle masse. I "successi" virtuali di Rifondazione non serviranno a lenire i dispiaceri che le masse ci infliggeranno a partire già dalle prossime elezioni, se non ci smarcheremo dal governo di Maastricht. Speriamo solo che in quell'infausto caso non appaia un qualche dirigente che a spiegazione dell'insuccesso tirasse fuori lo stesso argomento dei dirigenti del PCI in occasione delle sconfitte elettorali successive ai governi di unità nazionale: "le masse non ci hanno capito..."

Anche le nostre classiche parole d'ordine subiscono una lenta e continua relativizzazione. La nostra proposta contro la disoccupazione é sempre stata "riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario". Poi un bel giorno hanno fatto capolino i più realistici (all'apparenza, perché in realtà nessuno ha capito bene di cosa si tratti e chi li dovrebbe finanziare) "lavori socialmente utili". Piano piano quest'ultima parola d'ordine, evidentemente considerata più compatibile, ha messo in secondo piano la prima. Così della riduzione d'orario si parla in qualche articolo o comizio, ma ci si guarda bene di porla come condizione per il proseguimento dell'appoggio a Prodi.

Ci sarebbe bisogno di una dura lotta contro i disegni concertativi a favore della flessibilità. Si tratta di questione di vitale importanza per i lavoratori, molto più della problematica salariale. Se passa la flessibilità verrà intaccata la forza strutturale stessa della classe operaia e dunque anche la sua capacità di incidere sui salari. Su questo sì dovremmo dar vita a una mobilitazione nazionale ed entrare in rotta di collisione con il governo Prodi. Invece vediamo che "la marcia per il lavoro", intrapresa dal partito, si caratterizza per parole d'ordine bene attente a non dispiacere alla coalizione di centro sinistra, gli organizzatori appaiono molto più interessati a raccogliere adesioni di sindacalisti, sindaci, ecc.

Se continua il nostro appoggio a Prodi, la frustrazione sociale troverà canali di destra e motivazioni irrazionali. E non parliamo solo della Lega. La Lega sta suscitando a livello di massa, specie al Sud, sentimenti ostili che si pongono sul suo stesso piano di irrazionalità e non sono meno pericolosi. La frustrazione sociale cioé, al Sud e in qualche parte del Nord (negli Hinterland ad esempio), può trovare espressione nell'antileghismo viscerale e nel nazionalismo becero, come dimostrano il grande successo della manifestazione di Fini e i tanti segnali per ora isolati che giungono dal Meridione.

Il nostro partito deve rompere al più presto con il governo Prodi e un'occasione é offerta dai disegni sulla flessibilità. Altrimenti ci ritroveremo da qui a breve con un Paese diviso tra Bossi e Fini con noi comunisti nella parte di spettatori. Rifondazione deve rapidamente divenire il canale politico privilegiato dalle grandi masse per esprimere la propria rabbia sociale. Se non lo faremo noi lo faranno le diverse destre. C'é bisogno di un atto politico forte, un segnale che arrivi potente alle orecchie delle grandi masse giustamente poco inclini a dar credito a sottili giochi parlamentari e ad ancor più tenui differenziazioni politiche. O altrimenti nell'altalena a bilico della politica italiana Rifondazione, appesantita dal fardello del governo Prodi, proietterà verso l'alto le fortune della destra.

 

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