LA "VITTORIA" DEL 21 APRILE: C'È POCO DA RIDERE


Settembre 1996

 

Nel cosiddetto "popolo di sinistra" si vanno spargendo pericolose allucinazioni. C'é la convinzione diffusa che "la sinistra ha vinto". Seguono frasi del tipo: "finalmente al governo dopo tanti anni", ecc. Chiariamo qualche punto. La sinistra non ha vinto. Non sarà la sinistra a governare. Nascerà invece un governo di centro con la partecipazione della sinistra. Il programma é dichiaratamente un programma moderato, il futuro presidente del consiglio é un democristiano (Prodi), la metà dei seggi conquistati dalla coalizione di centro sinistra é in mano al centro (nonostante l'esiguità elettorale del centro del centrosinistra). Il governo nasce fortissimamente voluto dal grande capitale (come confermano le testate della borghesia).

I risultati: occhio ai numeri

Non é vero che la sinistra é avanzata. Ecco i dati:
elezioni 1994
sinistra (PDS+PRC) 10.189.639 + Rete e verdi = 11.950.538
elezioni 1996
sinistra (PDS+PRC) 11.113.004 + verdi = 12.050.688
Il PDS riceve tra '94 e '96 lo stesso numero di voti in valore assoluto, ma diminuisce rispetto alle provinciali del 95 (dal 22,8% al 21,1%).

Il centro:
elezioni 1994
centro (AD, PPI, Patto Segni) 6.516.606
elezioni 1996
centro (PPI, Lista Dini) 4.182.273
Si potrebbe dire che la secca diminuzione é dovuta alla scissione del PPI operata da Buttiglione, che ha dato vita al CDU. Nelle regionali del 1995 il CCD da solo però arrivava al 4,2 (il CDU si presentava insieme a Forza Italia), oggi CCD e CDU insieme sono arrivati al 5,8%. La differenza spiega lo spostamento verso destra di 600.000 voti e gli altri 2 milioni?

Ecco la risposta:
elezioni 1994
destra(FI+CCD+AN+PR)14.677.000 +Lega Nord = 17.914.750
elezioni 1996
destra(FI+CCD+CDU+AN+PR)16.481.785 + Lega Nord = 20.259.571
La destra in una situazione in cui vi é stato tra l'altro il record dell'astensionismo elettorale, é cresciuta di quasi 2 milioni e mezzo di voti. Al risultato bisognerebbe tra l'altro sommare anche i voti dell'estrema destra di Rauti: 338.721 voti. E allora perché la destra ha perso le elezioni? Semplice: si é presentata divisa. È solo grazie al fatto che la Lega Nord é andata da sola che la destra ha perso. Ma dal punto di vista di noi lavoratori c'é poco da stare allegri: come sempre quando la sinistra sostiene governi borghesi, é la destra ad avanzare. Non osiamo pensare che accadrà dopo qualche anno di governo Prodi, che tutti sono convinti essere un governo di sinistra.

Queste elezioni, data la somiglianza dei due poli (si sono persino accusati di essersi copiati i rispettivi programmi!) hanno causato una disaffezione senza precedenti, che noi avevamo previsto come conseguenza del sistema maggioritario. L'astensione sarebbe stata ancora maggiore se la Lega non avesse catalizzato la protesta dei settori popolari politicamente più arretrati. L'astensione é la più alta nella storia repubblicana: 82,7% (86,1% nel '94) e 3.200.000 bianche e nulle, quasi l'8% dei voti espressi. In Calabria ha votato il 67,3% ('94: 72,5%) al quale si aggiunge l'11% dei voti espressi di schede bianche e nulle, anche in distretti industriali come Crotone. A Napoli ha votato il 72,7 %.

 

Una destra che avanza ,ma che ha perso
Un centro sinistra che indietreggia, ma che governa

La destra ha fatto una campagna anti grande capitale. Ha mobilitato i ceti sociali non proletari contrari alla razionalizzazione capitalista (con le manifestazioni antifisco delle organizzazioni del commercio a Torino e a Milano). La cosa non poteva che ulteriormente infastidire la grande borghesia, che se solo potesse farebbe sparire tutti i bottegai con un sol colpo di bacchetta magica. La tattica elettorale della destra é stata per la grande borghesia una conferma del carattere poco liberista di Alleanza Nazionale, con una Forza Italia troppo dipendente da Fini e dagli interessi personali di Berlusconi. La grande borghesia ha fatto a meno anche della gerarchia ecclesiastica che, seppur timidamente, sosteneva i cattolici del centro destra e nelle ultime settimane si é pure trangugiata la desistenza di Rifondazione. E tutto ciò nell'assenza di un partito forte che garantisse pienamente i suoi interessi. Come mai tanto azzardo? La risposta sta in Asia.

Maastricht, con tutte le sue conseguenze in termini di demolizione dello stato sociale, rappresenta il tentativo da parte dell'Europa di adeguarsi all'assalto del capitalismo asiatico, la cui velocità di sviluppo non conosce soste. Gli USA sono ben piazzati per affrontarlo, ma l'Europa ancora no. Il post '89 ha segnato una straordinaria recrudescenza della concorrenza intercapitalista. È anche al suo ritmo che si muovono le attuali vicende mondiali. È pensabile che la borghesia italiana affronti queste scadenze trascinandosi dietro milioni di bottegai? O giocandosi delle possibilità per "difendere il diritto alla vita dell'embrione"? Ha deciso invece di scommettere su un PDS che ha dimostrato, con il sostegno a Ciampi e a Dini, di potersi ingoiare intere colonie di rospi. È però una soluzione provvisoria. La borghesia tenterà con ogni mezzo di dotarsi di una propria autonoma rappresentanza politica (o due: una per il centro destra e l'altra per il centro sinistra) che permetta di tenere in posizione subalterna da un lato il PDS e dall'altro AN. È questo il senso di tutti i discorsi e tutte le manovre per "rafforzare il centro".

Non sarà semplice. Nel campo del centro-destra é Buttiglione quello che ha le idee più chiare: punta a costituire un solo organismo con Forza Italia, che mantenga AN (che pure vuole le spoglie del partito di Berlusconi) in posizione subalterna. Buttiglione ha una strategia, il sostegno di Khol e della gerarchia ecclesiastica, ma, ahilui, gli mancano le truppe. Non sempre i progetti lucidi hanno gambe sulle quali camminare. Ne sappiamo qualcosa. Nel centro-sinistra il disegno appare più semplice: si tratterebbe di unificare i frammenti sparsi della rappresentanza borghese (i notabili di Dini, il PPI, i laici, quelli di Segni...), ma il compito si scontra con l'inerzia delle vecchie microstrutture e dei loro interessi particolari.


Rifondazione nei guai

Un governo di centro sinistra che farà la politica della borghesia potrà permettere alla destra di trasformare l'accresciuto peso elettorale in radicamento sociale. La dinamica della Lega lo sta a dimostrare. In questa campagna ha rinsaldato ed accresciuto il proprio radicamento sul territorio, quando era data tre mesi fa per spacciata.

Le illusioni del popolo di sinistra non hanno nulla del sano entusiasmo che segue una vera vittoria della sinistra (i laburisti in Gran Bretagna, la sinistra unita in Francia...), un entusiasmo che ha caratteristiche progressive: le masse sentono di aver avuto accesso al potere, anche se indirettamente ed in maniera deformata. Ma ora al potere in Italia non c'é andata la sinistra e le illusioni che sono state alimentate riguardano personaggi come il manager Prodi, il banchiere Dini, i borghesi illuminati... si tratta di un salto indietro della coscienza, della mancanza di fiducia nelle proprie forze, della speranza che i dominatori (quelli buoni) ci tirino fuori dai guai.

Si fa un gran parlare del potere di ricatto di Rifondazione. È vero il contrario. Data la scelta del nostro partito a favore della desistenza con una impostazione di campagna tutta centrata nella lotta contro la destra (e sorvolando invece sul fatto che i guai maggiori sono venuti ai lavoratori dall'accoppiata Ciampi-Dini), Rifondazione sarà sottoposta al ricatto permanente di tener su il governo (con l'astensione, l'uscita dall'aula, ecc.) per non favorire la destra, mentre le misure più antipopolari verranno votate anche dal centro destra. Insomma, lo stesso scenario preelettorale.

Si dice: "ma che visione statica! Dobbiamo creare movimenti che siano in grado di condizionare il governo". Ma come si fa a costruire un movimento di opposizione se l'intera sinistra é parte del o sostiene il governo? È ovvio che qualsiasi persona semplicemente dotata di buon senso, quando gli proporremo di muoversi contro la prossima manovra antipopolare del governo Prodi ci dirà: scusate tanto, ma perché cavolo lo mantenete in piedi? Ci sono compagni che aggettivano questa posizione (del tipo "al governo e all'opposizione" di berlingueriana memoria) come "dialettica". In realtà si tratta solo di "confusione". E tale é percepita solitamente dalle grandi masse. In realtà situazioni di questo tipo paralizzano i movimenti.

Il nostro partito ha attraversato varie fasi. Una prima fase ascendente che va dalla fondazione al 1993, quando la sua stessa nascita creò aspettative e speranze in tanta militanza non solo di provenienza PCI. Una seconda fase, di moderazione, che portò all'accordo "progressista" (PRC+ PDS+ Verdi+ Rete+ partitini borghesi come AD, PSI, ecc.): il risultato elettorale del '94 si assestò sulle percentuali già guadagnate: 6% contro il 5,6% del 1992. Questa fase di passività durò fino al "no a Dini" all'inizio del 1995 (quando per il rifiuto di sostenere quel governo metà dei nostri parlamentari se ne andarono) e la lotta contro la sua riforma pensionistica (quasi identica a quella tentata da Berlusconi e fermata da un'imponente mobilitazione popolare nell'autunno del '94). Risultati: nel '95 il partito é balzato all'8,6% nelle provinciali. È stato un momento d'oro: il partito si é guadagnato enormi simpatie a livello di massa e per la prima volta i giovani hanno cominciato ad avvicinarsi ai circoli. Le trattative con il centro sinistra e la rinuncia nel dicembre 1995 a buttare fuori Dini, ha segnato l'inizio di una nuova fase di passività. Il risultato delle politiche di oggi é lo stesso che avevamo conseguito l'anno scorso, viviamo di rendita della dura opposizione che avevamo fatto a Dini: 8,6%. La fase di passività che si é aperta rischia di essere fatale per il nostro partito. Ben difficilmente operai e giovani si avvicineranno, con la diffidenza verso la politica che c'é in tutti, ad un partito che non ha una politica chiara e cerca di mantenere il piede in due scarpe. Coloro che ci avevano votato l'anno scorso e che per fiducia ci hanno rivotato si allontaneranno se daremo prove concrete di moderazione.

C'é chi giustificava l'accordo di desistenza sostenendo che Rifondazione era ancora troppo debole per dare una battaglia tutta in solitudine contro i due poli. Due argomenti che avversano questa tesi. Primo: le battaglie si danno esattamente per rafforzarsi, senza battaglie nessun partito di sinistra si é radicato ed ha accresciuto la propria militanza. Del resto guardiamo la Lega: era più debole che mai, é stata proprio la battaglia contro tutti che l'ha rafforzata. Secondo: se Rifondazione non era pronta per l'opposizione ai due poli lo é forse oggi ad affrontare una situazione in cui le si chiederà di sostenere un governo che prenderà da subito misure antipopolari?

Il realtà il razzista, destroide, rozzo Bossi ci ha dato una grande lezione di politica. Ha fatto la politica che anche noi avremmo dovuto seguire. La Lega aveva ottenuto soltanto un anno fa (regionali 1985) il 6,4% precipitando dal 9,1% delle politiche del 1994. Non c'era notista politico che non la desse per finita. Oggi si ritrova al 10,1%, il record tra i suoi risultati elettorali, accumulando al Nord il 20,5%, sfodando in Emilia Romagna con il 7,2% (6,4% nel 1994 e 3,1% nel 1995), raggiungendo il 32,8% nella circoscrizione Veneto 2 (22,9% nel '94 e 16,9% nel '95) e ovunque migliora rispetto al '94.

Coloro che sostengono che questo voto a favore della Lega é dovuto ai piccoli imprenditori dicono una sciocchezza. Un conto é ciò che la Lega esprime in termini di interessi di classe. È ovvio che si tratta della piccola imprenditoria del nord. Un altro é chi la vota. E noi comunisti non possiamo nasconderci che ha ricevuto un plebiscito di massa proprio nelle regioni a più alta e recente concentrazione operaia. Quando parliamo di borghesia non dobbiamo mai dimenticarci che questa classe sociale arriva al 3% della popolazione economicamente attiva, un po' poco per arrivare al 33% del consenso che in alcune zone é andato alla Lega. È evidente che ci troviamo di fronte ad un massiccio voto di protesta, anche popolare che ha trovato nella Lega un veicolo.

Chi si meraviglia che i voti degli operai del Nord possano allegramente viaggiare da Rifondazione alla Lega e viceversa, non conosce bene le realtà odierna della fabbrica. La spoliticizzazione si mischia alla diffusa rabbia sociale. Controprova? In tutte le circoscrizioni del Nord dove la Lega stavince, Rifondazione é al palo e viceversa. Piemonte 2: la Lega passa dal 12,6% del '95 al 23,0% del '96, Rifondazione passa invece dal 8,1% al 7,7%; Veneto 1: Lega dal 16,7% al 26,9%, PRC dal 4,3% al 4,6% (nel Veneto 2 dal 6,0% al 6,2%). Lombardia 3: PRC dal 9% delle regionali al 7,8% di adesso e la Lega da 13,6% al 21,1%, lo stesso in Lombardia 2 e 1. Viceversa nel Friuli la Lega scende dal 26,7% del 1995 al 23,2%, ma Rifondazione passa dal 5,5% al 7,4%, la stessa cosa accade in Liguria con una Lega che avanza rispetto al risultato del '95, ma scende rispetto a quello del '94, mentre Rifondazione aumenta di 2,3 punti. L'unica eccezione riguarda la circoscrizione Piemonte 1 (Torino), dove comunque la Lega ha una presenza modesta (rispetto al resto del Nord).

La Lega ha convogliato un larghissimo voto di protesta che poteva essere canalizzato da Rifondazione se questa avesse adottato una tattica di autonomia dai due poli. Anche nel 95 la Lega si presentava da sola, ma é stata sconfitta proprio perché sosteneva Dini, Rifondazione aveva un'immagine di opposizione e per questo, anche al Nord, anche nelle regioni bianche, era stata premiata. Bossi ha contato sulle uniche cose sulle quali deve contare un partito che non ha l'appoggio dell'establishment: parlare chiaro, parlare duro, parlare alla gente. Anche nelle zone dell'alluvione in Piemonte é la Lega ad essere stata premiata e non Rifondazione. Bisogna farla finita di considerare le zone del nord est come "perse" per la sinistra e pensare che ci sia una sorta di ineluttabilità a che la gente in quei posti, se deve protestare, lo faccia a destra. La sinistra deve disputare alla destra la rappresentanza della protesta di quei territori: si tratta della più alta concentrazione industriale in Italia, per i comunisti non dovrebbe essere di secondaria importanza...

Una parte minuscola del voto di protesta é andato alla Fiamma. Questo partito non é da sottovalutare. Non ha complessi nei confronti di AN, che non ha esitato a sgambettare elettoralmente i queste elezioni. È dotato della testa più lucida della destra italiana, Pino Rauti. Si é fortificata in alcune regioni centro meridionali dove ha superato il 2% (Lazio2, Abruzzi, Molise, Basilicata). È un voto di protesta, che potrà ricevere in futuro, a mano a mano che procederà la democristianizzazione di AN, il consenso di larghi strati popolari. La destra populista ha presa su settori poveri del Meridione. Rifondazione deve contenderle l'egemonia: vi é questa possibilità e lo dimostrano alcuni positivi risultati ottenuti in queste elezioni.

Che fare per tirarsi fuori dai pasticci?

Non votare il governo Prodi. Per rendere chiaro a livello di massa il nostro no si possono fare una serie di richieste impossibili: ripristino della scala mobile, abolizione della controriforma pensionistica, riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario. Prodi dirà di no? Ovviamente, ma sarà chiaro a tutti perché non lo votiamo. Ci accuseranno di non essere stati coerenti alleandoci con il centro sinistra durante la campagna elettorale? È vero, e dunque c'é poco da fare, se non una radicale autocritica. Prima lo facciamo e meglio sarà perché gli scenari possono essere soltanto tre: 1) il centro sinistra porta avanti una politica antipopolare col sostegno indiretto di Rifondazione (che non voterebbe i singoli provvedimenti, votati da parte della destra, ma non affosserebbe il governo tutte le volte che si chiedesse la fiducia) 2) il centro sinistra trova dei rinforzi staccando pezzi del centro destra o della Lega e può quindi fare a meno di Rifondazione 3) la grande coalizione centro destra più centro sinistra che escluda Rifondazione. Di tutti gli scenari il più probabile é il primo, visto l'orientamento del partito, ed é sicuramente il peggiore, perché lascia alla destra il monopolio dell'opposizione.

Assomiglia a qualche scenario passato l'attuale situazione? Mica tanto. Si avvicina forse un po' a quello del centro sinistra degli anni sessanta. Come quello questo é un governo di coalizione che nasce in un periodo di riflusso del movimento operaio (contrariamente alle esperienze di inizio secolo, del 45-47, dell'unità nazionale, che nacquerò per frenare i movimenti di massa), come allora la borghesia vi fa ricorso perché da sola non riesce più a governare (il consenso alla DC si era eroso col tempo). Le differenze: oggi la borghesia vive una crisi di rappresentanza molto più grave e inoltre, allora, c'era un PCI che stava all'opposizione.

Ma al governo la sinistra non ci deve andare mai? Come no, ma sarebbe meglio non entrarci per la porta di servizio e non stare tutto il tempo in punta di piedi con le orecchie tese agli ordini del padrone di casa. Rifondazione deve da subito passare all'opposizione e da lì chiamare il PDS alle stesse scelte. La nostra tattica deve essere quella di lottare per un'alternativa di sinistra e per un governo delle sinistre, le cui condizioni devono costruirsi nelle lotte sociali. Forse non convinceremo i dirigenti del PDS, ma sarà chiaro alla sua enorme base elettorale che noi al governo ci vogliamo andare, ma per difendere gli interessi degli oppressi.

 

Belle speranze e ossa rotte

La sinistra é sempre uscita dalle esperienze di cogoverno con la borghesia con le ossa rotte. La tattica della borghesia é sempre la stessa: quando non ne può fare a meno si allea con la sinistra, la utilizza per brevi periodi per farle compiere il lavoro sporco (misure economiche antipopolari, freno alle mobilitazioni, ecc.), la sinistra perde l'appoggio popolare (le masse mica votano a sinistra per farsi spennare!), la borghesia la molla (a meno che la forza di sinistra coinvolta non si trasformi in partito della borghesia come accaduto al PSI a partire dalla seconda metà degli anni settanta) e ricomincia a governare da sola.

L'appoggio del PSI al governo liberale Zanardelli-Giolitti nel 1901 comportò una secca sconfitta socialista alle elezioni del 1904. Nel 1903 Giolitti aveva già dato il benservito a Turati (a capo del PSI) costituendo un governo di centro-destra. Ma la lezione non bastò, sicché ci furono altri e vari sostegni del PSI a governi borghesi (uno breve nel 1906 al governo Sonnino per "mettere il nuovo governo alla prova dei fatti", nel 1910 a Luzzatti, nel 1911 al quarto ministero Giolitti). Fino a che al XIII congresso nel 1912 (il partito era passato ad avere 23500 iscritti dai 51.000 del 1902) l'ala sinistra del PSI guadagnò la maggioranza. Con una politica di opposizione il partito raddoppiò i suoi iscritti nel giro di due anni, nelle elezioni del 1913 raddoppiò i deputati, l'anno dopo conquistò alle amministrative 300 comuni e arrivò nel 1919 a triplicare i suoi deputati ed a raggiungere gli 87.000 iscritti.

PCI e PSI parteciparono dal giugno 1945 a governi insieme ai partiti borghesi (DC, PLI, ecc.) : quello Parri e i primi De Gasperi. La sinistra aveva ottenuto propri ministeri. La DC le fece fare il lavoro sporco e la scaricò nel 1947, varando a maggio un governo (il quarto De Gasperi del maggio 1947) che faceva a meno di PCI e PSI. I risultati: nelle elezioni del 2 giugno 1946 PCI e PSI insieme arrivavano al 39, 6%, in quelle del 18 aprile 1948 crollarono al 31,0%.

Il PSI diede il via al primo governo di centro sinistra nel febbraio 1962 concordando l'astensione nei confronti del quarto ministero Fanfani. Il primo governo con alcuni ministri socialisti ("centro sinistra organico": DC+PSI+PRI+PSDI) si ebbe nel dicembre 1963 con Moro come presidente del consiglio. Nenni, a capo del PSI, divenne quello che sarà Veltroni: vicepresidente del consiglio. Da allora in poi il PSI ha sempre votato a favore o si é astenuto (salvo il governo Andreotti del giugno 1972) nei confronti di governi a prevalenza DC. Il PSI partiva nel 1958, partito d'opposizione, con il 14,2%, nel 1972 dopo vari sali scendi era al 9,6%. All'antica percentuale tornò solo con le elezioni del 1987 quando il PSI non era più un partito operaio. In tutto questo periodo invece il PCI, che era all'opposizione, si rafforzava passando dal 25,3% del 1963 al 34,4 del 1976.

Il PCI e il PSI si astennero in occasione del varo nell'agosto 1976 del terzo ministero Andreotti, monocolore democristiano. Nel marzo 1978 votarono a favore del quarto governo Andreotti, pur non chiedendo ministeri. Si trattava dei governi di unità nazionale. Quando nel marzo 1979 il PCI chiese propri ministri, la DC (dopo averlo utilizzato per varare le varie politiche di austerità) lo scaricò e si andò così alle elezioni anticipate. Il risultato per il PCI non poteva essere più disastroso: passò dal 34,4% del 1976 al 30,4% del 1979, il governo Cossiga che seguì lo vedeva di nuovo all'opposizione. Da allora ebbe inizio anche il lungo declino del PCI sul piano degli iscritti.

Perché la partecipazione ai governi borghesi ha sempre comportato sconfitte per i partiti operai (o la loro trasformazione come nel caso del PSI)? Semplice. Perché questi partiti hanno deluso il loro referente sociale, come vedremo meglio nel punto successivo.

 

Millerand Millerand per piccino che tu sia...

Non é vero che la sinistra non va al governo dal 1947. In Italia al governo la sinistra, da sola, non ci é mai andata. Ha sostenuto e partecipato in maniera subalterna invece a molti governi borghesi (oggi li chiamano di centro o centro sinistra). Su queste esperienze, chiamiamole così, la gente di sinistra é abituata a stendere pietosi veli, quella che gli psicologi chiamano "rimozione", da cui deriva la convinzione diffusa che la sinistra al governo non ci sia mai stata. Teniamo inoltre presente che il governo che si insedierà sarà in perfetta continuità (anche perché lo dichiara apertamente) con quello Dini (e prima ancora con Amato e Ciampi), governo sostenuto dal PDS. È la prima volta che si hanno ministri di sinistra? No: ci sono stati nel secondo dopoguerra e durante il centro sinistra a partire dagli anni sessanta. Del resto avere o non avere ministri non é determinante (i governi che la sinistra ha semplicemente sostenuto non hanno mai differito sostanzialmente da quelli ai quali ha partecipato con ministri): i ministri devono comunque seguire gli orientamenti della maggioranza parlamentare che sostiene il governo. Il governo Prodi sarà identico, come orientamento, a quello Dini, come tutti del resto si sbracciano ad affermare.

Le argomentazioni della sinistra che accompagnano le esperienze di cogoverno con la borghesia sono sempre le stesse. La prima: "é la maniera per entrare nella stanza dei bottoni", espressione coniata dal PSI quando andò al governo negli anni sessanta. Si basa sull'idea che le riforme siano possibili se si hanno in mano dei ministeri. Idea questa ancora più antica: l'irrefrenabile spinta ministerialista dei deputati di sinistra una volta veniva chiamata "millerandismo", dal nome di Alexandre Millerand, deputato socialista francese che fu il primo rappresentante di un partito operaio nella storia a entrare in un governo borghese, in qualità di Ministro del Commercio, nel 1899. Più tardi divenne un forsennato guerrafondaio, espulso dal PS ed eletto alla fine Presidente della Repubblica (nel 1920). Ovviamente a partire dai ministeri di governi di coalizione con la borghesia la sinistra non ha mai ottenuto alcuna riforma. Anzi.

L'illusione é sempre stata quella di poter "condizionare" il governo di coalizione. È sempre avvenuto il contrario. Ed é ovvio che sia così: perché mai i borghesi dovrebbero accettare di allearsi con partiti operai se non per garantire meglio i propri interessi? Così durante il governo Zanardelli-Giolitti, il primo governo appoggiato da una forza di sinistra, il PSI rinunciò alla lotta contro le spese militari, alla lotta per la riforma tributaria e alle riforme politiche (poteva votare solo il 6% delle persone). In compenso vi furono numerosi eccidi di contadini ed operai. Durante un altro governo sostenuto dai socialisti (il quarto ministero Giolitti) si fece addirittura guerra alla Turchia e si invase la Libia. Nel secondo dopoguerra ai governi unitari si fece disarmare i partigiani, liberare i fascisti, far ritornare i padroni nelle fabbriche, calmierare i salari, dare il via libera ai licenziamenti, posticipare la riforma agraria, ecc. in cambio, dice la retorica della sinistra, si ebbe però la Costituzione! I borghesi, come qualunque persona dotata di buon senso, ben volentieri concede un pezzo di carta in cambio della pelle. Il pezzo di carta si può sempre stracciare (é mai stata rispettata la Costituzione?). Il PSI di Nenni all'inizio degli anni sessanta giustificò con roboanti progetti a favore di "riforme di struttura" la sua entrata nei governi a guida DC. Ma l'unica riforma fu quella della nazionalizzazione dell'energia elettrica (per la quale parteggiava anche la grande borghesia), con lauti indennizzi per gli espropriati. I governi di unità nazionale DC-PSI-PCI della seconda metà degli anni settanta produssero una quantità impressionante di decreti liberticidi (era l'epoca dell'"emergenza terrorismo") oltre a segnare l'inizio della politica dei sacrifici.

Letteralmente nessuna riforma di rilievo che andasse a favore delle classi subalterne é mai stata varata in Italia da un governo di coalizione tra movimento operaio e borghesia. Le riforme sono sempre state ottenute con le lotte dall'opposizione. Il suffragio universale maschile ottenuto nel 1912 vedeva i socialisti all'opposizione; la scala mobile, lo statuto dei lavoratori, ecc. il PCI all'opposizione. Significa che la sinistra é meglio che non governi? No: significa che é meglio che governi da sola senza compromettersi con partiti della borghesia e che lotti per le riforme a partire dalla società.

 

Al lupo al lupo...

Seconda argomentazione usata solitamente per giustificare il sostegno o la partecipazione a governi di coalizione con la borghesia: "per battere la destra". L'argomentazione non é priva di una qualche destrezza. Visto che non si riuscirebbe a spiegare in termini ragionevoli a positivo perché ci si allea con certa gente, si accentua il carattere spregevole degli altri, di fronte ai quali i primi diventano così "dei meno peggio". Ovviamente al peggio non c'é mai fine ed é evidente che una simile argomentazione può servire potenzialmente a giustificare qualsiasi alleanza.

Del resto di destre in Italia non ne sono mai mancate, e per tutti i gusti. Turati per giustificare l'appoggio al liberale Giolitti all'inizio del secolo, affermava di non voler arrecare "vantaggio alla reazione in agguato". Togliatti ammoniva nel secondo dopoguerra i perplessi dell'unità ciellenista adducendo che il fascismo, sconfitto, "poteva rialzare la testa"; nel 1964 a Nenni venne un accidente quando gli parlarono di possibili golpe (De Lorenzo) e si affrettò a dare il via al secondo governo Moro, che affossava programmaticamente i già deboli intenti riformatori del centro sinistra: "la sola alternativa che si é delineata nei confronti del vuoto di potere conseguente ad una rinuncia del centro-sinistra é stata quella di un governo di emergenza...che nella realtà del paese qual é, sarebbe stato il governo della destra, con un contenuto fascistico-agrario-industriale, nei cui cofronti il ricordo del luglio 1960 sarebbe impallidito". La tattica del compromesso storico, cioé della necessità di arrivare ad un governo DC-PSI-PCI, era giustificato da Berlinguer "per non spaccare in due il paese (...) sappiamo, come mostra ancora una volta la tragica esperienza cilena, che questa reazione antidemocratica tende a farsi più violenta e feroce quando le forze popolari cominciano a conquistare le leve fondamentali del potere nello stato e nella società". Oggi la parte del lupo viene sostenuta da Berlusconi.

 

Buoni e cattivi

Terza argomentazione: "la borghesia non é monolitica, esiste una borghesia illuminata ed una più retrograda". Corollario: "per questo possiamo allearci con una combattendo l'altra". Si sono sentite ultimamente anche considerazioni del tipo: "questa borghesia la conosciamo, ma quella là..." L'abitudine da parte della sinistra a dividere i borghesi in buoni e cattivi é antica. Turati affermò che la tesi che le "classi possidenti" formassero "un'unica massa reazionaria (...) si era dimostrata falsa" poiché esse si distinguevano "per un cumulo di contrasti più o meno latenti". Bisognava operare dentro queste divisioni per combattere la reazione usando "la tattica accorta delle alleanze". Giocare con le contraddizioni della borghesia é sempre stato un sogno dei furbi teorici della nostra sinistra, solo che hanno sempre trovato dall'altra parte giocatori un po' più sagaci, meno ingenui, ed assai disposti a truccare le carte.

La grande borghesia é monolitica? Sì, sulle cose che contano. Ovviamente i borghesi si differenziano (come accade anche agli operai) sui modi per raggiungere i propri fini: è evidente che quelli alleati con il centro sinistra pensano di raggiungerli con la complicità dei gruppi dirigenti politici e sindacali del movimento operaio, gli altri facendone a meno. Esiste anche una distinzione di interessi tra borghesi di diverso orientamento politico? Spesso sì, ma oggi faticheremmo non poco ad associare ad un certo interesse economico l'adesione ad un certo schieramento. Ciò che conta é sotto gli occhi di tutti: la borghesia che comanda (e che ha dettato anche l'ultima elezione alla presidenza della Confindustria) ha appoggiato il centro-sinistra. Secondo un sondaggio compiuto dall'Espresso tra 60 membri della giunta di Confindustria, il 40%, contro il 28%, pensa che a seguito della vittoria dell'Ulivo si verificherà un aumento della produzione industriale. Del resto l'ottimo andamento della lira all'indomani delle elezioni sta chiaramente ad indicare il gradimento borghese.

 

Fine primo tempo: mai

Quarta argomentazione: "adesso battiamo la destra, così avremo tempo di costruire la resistenza nella società", con la variante: "sconfiggiamo la destra per mantenere aperti gli spazi di democrazia che ci consentiranno in un secondo tempo di...". Questa del guadagnare tempo é una vecchia cantilena che si basa sul presupposto che la sinistra possa crescere al calduccio, nella calma e nella contemplazione. La qual cosa non si é mai data. La sinistra si é sempre e soltanto sviluppata nei momenti di effervescenza sociale, cioé di scontro tra le classi. È andata avanti alla fine del secolo scorso sull'onda delle rivolte contro il carovita, nell'immediato primo dopoguerra sull'onda degli scioperi e delle rivolte contadine ed operaie, nel secondo dopoguerra con la Resistenza, negli anni settanta grazie al radicalismo sociale scoppiato nel '68. Pensare che sia possibile crescere restandosene "in un primo tempo" in disparte é come un contadino che aspetti che finisca il temporale per coprire i covoni: lui avrà anche evitato di bagnarsi, ma il raccolto sarà andato in malora.

Nessuna di queste esperienze di cogoverno del resto é servita ad arrestare la destra, al contrario l'ha indirettamente favorita: al giolittismo é seguito il fascismo (e prima di quello l'invasione della Libia), ai governi unitari del '45-'47 seguì la valanga democristiana delle elezioni del '48 (e la DC allora era qualcosa di ben peggiore di Forza Italia), al primo governo di centro sinistra (quello Fanfani del febbraio 1962 che vedeva l'astensione del PSI) seguì nelle elezioni dell'aprile '63 una grande avanzata dei liberali (allora su posizioni di destra, arrivarono a superare il 7%) e un incremento del MSI. In quelle elezioni crebbe di parecchio il PCI (dal 22,7 al 25,3) e per una ragione molto semplice: stava all'opposizione (anche se non di sua volontà). Del resto i governi di centro sinistra non fermarono affatto i tentativi golpisti e nemmeno il terrorismo nero. Ed é sotto i governi Amato-Ciampi-Dini, in varia misura sostenuti dal PDS, che la destra ha covato ed é esplosa. La destra rialza la testa, nel senso che riceve un sostegno di massa, sempre e soltanto nel momento in cui la sinistra ha deluso i suoi referenti sociali.

 

Un senso che annulla tutti gli altri: quello di responsabilità

Quinto argomento: "in questo momento difficile bisogna mostrare senso di responsabilità". Il concetto (anche se di concetto ha assai poco) non é stato fortunatamente utilizzato molto durante la campagna elettorale. Viene tenuto di riserva generalmente in occasione delle crisi economiche, quando si richiedono duri sacrifici ai lavoratori e senso di responsabilità, appunto, ai dirigenti sindacali (che ne hanno in abbondanza: costa poco). I quotidiani borghesi e l'Unità lo stanno ritirando fuori ora e, ci possiamo giurare, lo faranno sempre di più in futuro, per convincere Rifondazione alla mansuetudine: non a caso gli si ricorda il luminoso esempio del PCI, quando grazie al suo "senso di responsabilità" accettò la politica dei sacrifici nei tardi settanta.

Ma anche in questo caso abbiamo antecedenti illustri. Un editoriale di Critica Sociale organo del PSI nel 1901, alla vigilia dell'appoggio al governo Zanardelli-Giolitti: "l'avvento dell'estrema sinistra alla responsabilità e ai doveri di una politica non più soltanto negativa, ma positiva e di governo". E Togliatti mentre partecipava nel 1945 al governo di ricostruzione nazionale: "Il PCI fa appello agli operai, agli impiegati, ai tecnici, ai contadini, nerbo della ricostruzione, perché aumentino il rendimento del lavoro, lottino contro la negligenza e gli sprechi, difendano la disciplina nelle fabbriche, nei campi, negli uffici. È questa una delle condizioni per creare in Italia un vero regime democratico."

Quando una carica istituzionale o un qualche rappresentante autorevole della borghesia fa appello al "senso di responsabilità" della sinistra, i suoi dirigenti non capiscono più niente. È una specie di richiamo della foresta: devono andare. Da parte di questi strati dirigenti vi é una sorta di regressione infantile. Così come per i bambini educati troppo severamente, il maggior godimento non sta nel vivere il proprio piacere, ma nel sentirsi apprezzati dagli adulti, così per i burocrati non c'é nulla di meglio delle lodi dei potenti. Riportano sempre sulla propria stampa a caratteri cubitali un qualsiasi complimento elargito da industriali, commentatori di destra e banchieri. Quante volte abbiamo dovuto leggere frasi compiaciute del tipo: "anche la Confindustria ha dovuto riconoscere il nostro grande senso di responsabilità", "anche la DC ha dovuto ammettere il vivo senso dello stato che emana dalla nostra azione politica", ecc. ecc.

Ma che vuol dire "senso di responsabilità"? Verso chi? Verso che cosa? Quando si scava un po' sotto tanta serietà, salta fuori, guarda un po', il nazionalismo. La responsabilità é verso la "patria" (come si diceva una volta) o verso il "paese", che é la stessa cosa, ma sa un po' più di sinistra. Da qui si capisce perché le burocrazie sindacali appena qualcuno nomina la frase smettono di giocare e scattano sull'attenti. L'amore per il "paese" sta ad indicare la fortissima propensione a pensare che i lavoratori italiani hanno molto di più in comune con i padroni italiani che con gli operai di altri paesi, significa speranza che nei momenti difficili ( per i padroni) ci si possa tutti unire in una solidale alleanza sociale.

 

Anche i ricchi hanno dei dilemmi

Ma perché ci ritroviamo questa tradizione tutta italiana dei governi di alleanza tra centro e sinistra? Sarà un "carattere nazionale"? Sarà la nostra endemica mancanza di serietà? Sarà l'arretratezza della nostra formazione sociale?

Partiamo da un fatto: in Italia la borghesia non é mai riuscita a governare da sola, cioé con una sua diretta rappresentanza politica. Lo stesso fascismo non ha mai entusiasmato il grande capitale. Anche i borghesi sognano e a loro sarebbe da sempre tanto piaciuto avere a disposizione un bel partito conservatore o liberale o gollista o anche qualcosa di vagamente simile. Partiti di questo genere li hanno anche avuti (il partito liberale, quello repubblicano), il problema é che nessuno se li votava. Così si sono dovuti, diciamo così, accontentare di quel che passava il convento. Nel senso letterale del termine. In Italia il dilemma dei borghesi é sempre stato: per raggiungere i nostri fini coinvolgiamo le burocrazie operaie o la gerarchia ecclesiastica? In altri paesi tali angoscianti domande i borghesi non devono porsele. Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna hanno borghesie che possono permettersi di fare da sole, salvo qualche eccezionale parentesi. Hanno proprie autonome rappresentanze politiche, riescono a fare a meno di annusare incenso e di annoiarsi con la vacua retorica dei burocrati sindacali. In Italia no. Perché?

Semplice: perché da noi c'é un movimento operaio dalle tradizioni troppo sovversive. L'Italia é l'unico paese capitalista avanzato ad aver avuto in questo secolo almeno tre crisi prerivoluzionarie, l'unico ad aver conosciuto decine di scioperi generali, l'unico ad aver accumulato un gigantesco numero di ore perse per scioperi rivendicativi, il paese con il più alto numero di militanti politici e sindacali, l'unico dove formazioni armate degli anni settanta avessero un radicamento nelle fabbriche (e non solo tra gli universitari), e così via. La borghesia italiana tradizionalmente assai poco cattolica e molto massonica, ha così dovuto massicciamente far ricorso ad altari e campanili. Giolitti dovette chiedere nelle elezioni del 1904 e del 1909 l'aiuto della gerarchia ecclesiastica, che ritenne opportuno sospendere nell'occasione il "non expedit" che impediva ai cattolici di partecipare alla vita politica; nel 1913 lo stesso Giolitti arrivò a stabilire con il presidente dell'Azione Cattolica, Gentiloni, un patto segreto che prevedeva l'appoggio dei cattolici ai candidati liberali nei collegi nei quali questi ultimi non potevano da soli sperare in una vittoria. In compenso i deputati liberali eletti si impegnavano a non approvare leggi contrarie alla Chiesa (divorzio, abolizione insegnamento religioso nelle scuole, ecc.). Giolitti non riuscì ad utilizzare a suo piacimento le forze del Partito Popolare fondato da Don Sturzo nel 1919. Ma il problema risorse alla caduta del fascismo e la borghesia dovette rinunciare a puntare su un partito liberale che non aveva alcun sostegno di massa e ricorrere di nuovo alla gerarchia scommettendo sulla Democrazia Cristiana per fronteggiare la sinistra e gli operai armati che uscivano dalla Resistenza. La borghesia ha dovuto accontentarsi di questa rappresentanza fino a tre anni fa, quando con tangentopoli ha cercato di scrollarsela di dosso per darsi un'espressione politica ed un sistema di dominio più moderno e razionale.

Dover ricorrere alla gerarchia ha significato per la borghesia ricorrere anche ad un blocco sociale e di potere assai poco moderno, che ha contribuito a mantenere l'Italia in una situazione di arretratezza tra i paesi imperialisti. Piccoli proprietari terrieri, negozianti, piccoli commercianti, burocrati, mafiosi, ecc. L'Italia mantiene a tutt'oggi un numero enorme di lavoratori autonomi: il 26% della popolazione economicamente attiva contro il 10% della Gran Bretagna, il 7% della Germania, con un conseguente, clamoroso ritardo nella diffusione della grande e moderna distribuzione commerciale. Vi sono intere regioni sotto controllo mafioso. L'appoggiarsi sul familismo con tutta l'annessa retorica vaticana sul "valore" della famiglia ha comportato uno dei più bassi tassi d'attività della popolazione del mondo industrializzato: 39% contro il 47% tedesco e inglese. Il capitalismo italiano é così cresciuto con un regime di bassi salari dovuto al fatto che i lavoratori dipendenti dovevano pagare le spese per il mantenimento artificiale di ceti sociali destinati alla sparizione e che non contribuivano alla fiscalità generale (quasi interamente a carico dei proletari), pur godendone dei benefici (salute, scuola, ecc.). Il reddito operaio ha dovuto sostenere in larga misura anche la pensione di questi ceti.

Ma persino il ricorso all'aiuto della gerarchia ecclesiastica é stata insufficiente in questo secolo a contenere le spinte operaie e così a più riprese la borghesia ha dovuto far ricorso anche agli strati dirigenti dei sindacati e dei partiti operai. Anche in questo Giolitti é stato il grande precursore: per giustificare agli occhi dei moderati il ricorso ai deputati socialisti in un periodo di grandi sommovimenti sociali disse: "Io non temo mai le forze organizzate, temo assai più le forze inorganiche, perché su quelle l'azione del governo si può esercitare legittimamente ed utilmente, contro i moti inorganici non vi può essere che l'uso della forza."

Si può comprendere la ragione per cui la borghesia ricorre alla sinistra quando non ce la fa a governare, ma la sinistra perché ci casca? Per la stessa identica ragione della borghesia. La sinistra italiana é l'unica nel mondo industrializzato a non riuscirsi a pensare alternativa ai partiti della borghesia e ciò avviene dall'inizio del secolo. In ciò si distingue da quella tedesca, francese, spagnola, inglese... Il problema é che i dirigenti dei partiti di massa della sinistra e dei sindacati hanno sempre dovuto tener conto dellla fortissima pressione che é sempre venuta dalle masse subalterne. Governare da soli vorrebbe dire trovarsi a tu per tu con aspettative enormi da parte degli oppressi che non si saprebbero governare, i dirigenti della sinistra sono stati sempre terrorizzati all'idea di una borghesia che potrebbe boicottare, combattere, usare la forza contro la pressione popolare e per sconfiggere la quale si dovrebbe far ricorso alla mobilitazione di massa. Insomma uno scenario che spaventerebbe qualsiasi burocrate pieno di equilibrio e di buona educazione. È uno scenario inaccettabile per chi pensa che i lavoratori possano poco a poco conquistarsi degli spazi nella società, con la calma, la ragionevolezza, aborrendo la violenza, convincendo i borghesi che va bene così, in fondo anche per loro é meglio, insomma, come diceva Zinovev per prendere in giro i riformisti, arrostendo il coniglio a fuoco lento senza che questo se ne accorga. La chiave della comprensione del comportamento della sinistra moderata sta nella frase di Berlinguer: "per non spaccare in due il paese", cioé per evitare la guerra civile, il precipitare in una situazione prerivoluzionaria, dove le alternative sarebbero solo andare avanti verso la presa del potere o scappare riconsegnandolo alla borghesia. Possiamo imputare a questi tranquilli, rispettabili e pipeschi signori in giacca e cravatta che conversano tutti i giorni piacevolmente con i nostri avversari facendo finta di rappresentarci, di non essere arditi rivoluzionari? Poveretti, no. Si tratta semplicemente di evitare che continuino a rappresentarci.

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