Comitato politico per l'astensione ai referendum
Chi si astiene? Non solo CO.P.A.R.
 

DOCUMENTO DI ANOMALIA SUI REFERENDUM
 

ROMA 12-2-2000

D'Alema ritiene che i referendum radicali sono controproducenti perché scoraggiano la flessibilità, essi "spaventano i lavoratori, i quali riterranno che solo il tradizionale contratto a tempo indeterminato li tutela".

Il nocciolo della questione sarebbe dunque ridotto al metodo (referendario) ma non alla sostanza, dato che gli obiettivi sono gli stessi per entrambi gli schieramenti, ovvero la "modernizzazione".

Eppure, al di là dello specifico di ogni singolo quesito, i referendum radicali hanno messo in evidenza le ambiguità del governo D'Alema (e dei sindacati) in materia di politiche sociali da una parte, e la fragilitià politica della coalizione di destra dall'altra.

Da questo punto di vista, i referendum radicali sono un tentativo, non tanto di instaurare dall'oggi al domani un regime di liberismo selvaggio, quanto di spaccare gli schieramenti politici contrapposti costringendo i contendenti a prendere posizione su un progetto di società su cui di fatto entrambi gli schieramenti concordano.

Gli effetti a medio termine sono sotto gli occhi di tutti: nessuno sa che pesci pigliare. Da una parte la costituzione dei "comitati cel no" ha reso più agevole il rientro nell'area di governo di Rifondazione, e contemporaneamente ha dato l'opportunità alla sinistra di governo di ergersi in "difesa" dei lavoratori, recuperando Rifondazione e autoassolvendosi dalle scelte liberiste del governo D'Alema. Quest'ultimo, con la scusa dei referendum, potrà più agevolmente realizzare i suoi progetti di "modernizzazione" in sostanziale sintonia con gli obbiettivi referendari.

Ad ulteriore conferma del carattere truffaldino, populista e autoritario sia di questi referendum che delle prese di posizione di partiti, parti sociali e istituzioni, è la selezione operata dalla Corte Costituzionale. È interessare notare che i 7 referendum ammessi (licenziamenti, trattenute sindacali e associative, abolizione della quota proporzionale, rimborsi elettorali, separazione delle carriere giudiziarie, elezione del CSM, e incarichi extragiudiziari dei magistrati) hanno dei tratti fortemente simbolici e si prestano dunque a prese di posizione demagogiche. Infatti, ad esclusione del quesiti sul licenziamento senza giusta causa, sulla quota proporzionale, e ai rimborsi elettorali - che meritano un discorso a parte - gli altri quesiti, qualora venissero approvati, produrrebbero effetti ambigui e incerti. L'oggetto del contendere di questi referendum non è più o meno diritti alle persone né maggiore autodeterminazione ma la legittimazione di una frazione della classe dirigente di questo paese a predominare sull'altra. Una lotta intestina che ha ben poco a che spartire con la democrazia diretta di cui l'attuale istituto referendario è una pur limitata epressione.

Tutto sommato, il pregio di questi referendum è quello di rivelare quanto poco di sinistra sia questo centro-sinistra e quanto poco sia distinguibile dalla destra. Da questo punto di vista il conflitto sui referendum è tutto interno a partiti e gruppi di potere in disperata ricerca di legittimazione nei confronti di una crescente indifferenza delle persone nei confronti della politica istituzionale.

Che i DS e il governo D'Alema non propongano niente di radicalmente diverso da quanto è implicitamente proposto dal referendum sui licenziamenti, è stato confermato dalle dichiarazioni concilianti del signor D'Alema e dai tentennamenti del suo partito di questi giorni. Sia l'uno che l'altro hanno hanno pubblicamente annunciato la loro disponibilità a progetti di legge che facilitino ulteriormente la flessibilità e i licenziamenti.

Il carattere manipolatorio di questa prossima tornata referendaria diventa plateale nel caso del referendum che vorrebbe abolire la quota proporzionale.

Come tutti sanno, e come la stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto, è lo stesso quesito che dell'anno scorso e che la maggior parte dei cittadini ha rifiutato, sia votando no che astenendosi. E allora, perché riproporlo? Fino ad ora era comunemente accettato che l'astensione in questo caso si poteva equiparare a un no. Ora non più. Siamo convinti che questa nuova interpretazione sia riconducibile a due ragioni.

La prima è che di fronte a una crescente astensione dovuta al rifiuto generalizzato della politica istituzionale nel suo complesso e dei partiti in particolare, la riammissione di questo quesito significa il rifiuto dell'astensionismo stesso come espressione di dissenso politico. Il che implica una concezione autoritaria della democrazia: "Se vuoi partecipare lo fai alle mie condizioni." Tra l'altro rispetto al maggioritario il criterio proporzionale è quello che permette all'astensionismo una maggiore visibilità.

Una seconda ragione è che "la stabilità" politica che un sistema elettorale pienamente maggioritario garantirebbe è ritenuta una condizione fondamentale per realizzare quelle riforme strutturali che governo, opposizione e industriali auspicano (privatizzazioni, flessibilità, lavoro precario) e che i sindacati non contrastano (si veda la recente intesa di Cisl e Uil col comune di Milano e l'esaltazione della concertazione che accomuna Cgil Cisl e Uil).

Per queste ragioni, l'astensione che qui si propone è un'astensione del tutto cosciente, manifestazione della precisa consapevolezza che lo schieramento del SI e quello del NO sono soltato divisi da divergenze su tempi e modi della "modernizzazione" non da visioni tra loro antagoniste.

Un NO chiaro e cosciente sia alla demagogia referendaria che al tentativo della sinistra governativa di riconquistarsi un credito sociale che ha perso per le sue politiche liberiste.


 
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