Comitato politico per l'astensione ai referendum
Chi si astiene? Non solo CO.P.A.R.
 

Controcorrente


 
Invito alla diserzione
 

 Saremo in molti, il 21 maggio a disertare le urne. Di motivi ne abbiamo più d’uno e provo a elencare i principali. Così come è regolato in Italia, il ricorso al referendum andrebbe usato con responsabile moderazione, evitando di confondere i votanti con la proliferazione dei quesiti e di avanzare proposte le cui conseguenze sono a volte difficilmente prevedibili per gli esperti e spesso quasi indecifrabili per la maggioranza dei cittadini. L’uso perverso che i radicali stanno da tempo facendo di quest'importante istituto di democrazia diretta merita quindi di essere respinto con un netto rifiuto della pratica che lo sta delegittimando. Se poi si va al concreto contenuto delle questioni poste, esiste nella sinistra un generale consenso sulla natura retriva e reazionaria dei quesiti "sociali" e sul cararettere pericolosamente velleitario degli altri, la cui approvazione, più che l'inizio di una seria riforma, rappresenterebbe un ostacolo quasi insormontabile ad una più efficace organizzazione della giustizia e dello Stato. Tutti d'accordo, dunque? Tranne in un caso. Ed è per tanto di questo che bisogna discutere. Con calma e senza preconcetti.

        La questione riguarda l’abolizione della quota proporzionale, un esito al quale i DS sono appassionatamente favorevoli. Concordiamo con loro nel dire che quella vigente è una pessima legge elettorale e che, quale che sia l’esito del referendum, il parlamento dovrà provvedere a vararne entro tempi ragionevoli una migliore. Il fatto è che l’esito del referendum influenzerà in maniera determinante, come  è giusto che sia, la scelta delle Camere. Allora il problema è se si deve procedere verso un bipartitismo coatto o se, al contrario, si debba rispettare per quanto possibile la volontà del corpo elettorale. Per sostenere la prima tesi, si invoca la frammentazione politica, che, essendo, si dice, la vera causa dell’instabilità dei governi, metterebbe in pericolo la stessa democrazia. Ammesso e non concesso che sia così e che il maggioritario secco possa porvi rimedio, dobbiamo constatare innanzi tutto che meno la varietà delle opinioni dei cittadini è rappresentata nelle istituzioni, meno un paese può dirsi democratico. E nessuna dotta elucubrazione è in grado di dimostrare il contrario. Falso è infatti che, dovendosi comunque giungere ad una coalizione in grado di ottenere la maggioranza, meglio sarebbe che ciò avvenisse prima delle elezioni, perché in tal modo si consentirebbe agli elettori di compiere la loro scelta con maggiore cognizione di causa. La ragione per cui questa tesi va respinta è tanto evidente che ci si meraviglia del credito che ottiene. Infatti, se si procedesse nel senso auspicato dai DS, i partiti minori sarebbero costretti a decidere sotto coazione, restando loro soltanto la possibilità di annullarsi nella coalizione alla quale aderiscono o, a parte il risibile "diritto di tribuna", di sparire dalle istituzioni rappresentative. Ma Parigi val bene una messa e una democrazia dimidiata è sempre meglio di nessuna democrazia. Sulla frammentazione politica, però, occorrerebbe riflettere. E se si accoglie quest’invito, si scopre che il suo mancato superamento discende in linea diretta dalla scarsa credibilità dei partiti, che è una delle conseguenze dall’interruzione del loro rapporto con la società civile, una conseguenza, per altro, che l’ideologia individualistica e competitiva di cui anche  la “sinistra di governo” si è fatta portatrice conduce all'esaperazione. Tentare di trovare un rimedio nell’ingegneria costituzionale significa manifestare una proterva volontà di persistere nell’errore e cercare un’impossibile soluzione in una svolta autoritaria, destinata a diventare tanto più grave quanto più il presunto rimedio si dimostrerà inefficace. Quale, dunque, la vera soluzione? Siamo convinti, e riteniamo di non sbagliare, che se la sinistra fosse in grado di esprimere gli interessi e gli ideali di un vasto schieramento sociale, chiaramente definito e antagonistico rispetto alla destra, la frammentazione politica verrebbe meno o riguarderebbe soltanto quest’ultima.

 Si sostiene che il proporzionale alimenta il trasformismo, consentendo al centro di esercitare una sostanziale egemonia mediante mobili alleanze, e non si vede che anche questo è conseguenza della nevrotica paura che impedisce alla “sinistra di governo” di darsi una caratterizzazione precisa. Ma soprattutto non si vede che il maggioritario farà di peggio, portando a compimento la trasformazione di quella sinistra in un partito di centro e tendenzialmente di destra. Poiché, a torto sicura di ottenere i voti degli elettori di sinistra, o ritenendo trascurabili le eventuali defezioni, cercherà affannosamente il consenso degli elettori moderati, assecondando un'inclinazione della quale ha già dato ampie prove. E così facendo, come dimostrano anche le recenti elezioni, firmerà la sua definitiva condanna, cosa della quale, a questo punto, non sapremmo rammaricarci più del dovuto.

 Queste, le principali ragioni per le quali ci sembra essenziale che il referendum proposto dai radicali fallisca di nuovo. E il miglior modo di farlo fallire ci sembra, a sua volta, la pratica dell'astensione, mentre molto pericolosa riteniamo la proposta di chi, con ottime intenzioni, invita a rispondere “no” ai quesiti antisociali e a non ritirare le altre schede, perché difficilmente praticabile e atta a generare confusione, col risultato di regalare il quorum, e con il quorum il successo, anche ai quesiti che si intenderebbe respingere, dato che buona parte dei contrari deciderà in ogni caso di asternersi dal voto e nessuno le farà cambiare idea. Ecco perché “Controcorrente” non esita a rivolgere al popolo di sinistra e tutti i democratici un chiaro e forte appello. Il 21 maggio restiamo a casa, per non essere costretti a restare a casa quando ci proporranno di scegliere tra due coalizioni di fatto non molto diverse! Difendiamo l'istituto del referendum rifiutando l'uso demagogico e mistificante che ci propone di farne un partito un tempo protagonista di ben altre battaglie e ora ridotto a volonteroso e apprezzato factotum dei "poteri forti"!

                                                                                            Giorgio Cadoni 


 
Torna alla pagina principale