articolo tratto da Correre n.187 - ottobre '99

PODISTI FAI DA TE

di Orlando Pizzolato

Programmare un anno di lavoro come i grandi campioni, differenziando le sedute per volare al momento giusto e ottenere il massimo dal proprio fisico.

Quand’ero ragazzino l’allenatore impostava la mia programmazione in funzione delle gare dell’anno. Che gioia quando s’iniziava la preparazione invernale; il sapore dei chilometri corsi in campagna era particolarmente piacevole, come divertenti erano gli allenamenti di ripetute in salita, alla luce dei lampioni offuscata dalla nebbia. E poi via con la preparazione specifica per le gare in pista. Erano gli anni del boom podistico, quando sbocciavano le marce domenicali e di volta in volta si andava alla ricerca dei volantini promozionali degli eventi podistici della provincia e della regione. In un anno si poteva arrivare a partecipare a ben 30 corse su strada, un’esagerazione per quei tempi, mentre adesso c’è chi gareggia anche due volte a settimana e 30 sono le maratone che William Govi corre in un anno (addirittura 35 nel ‘98).
È meglio? È peggio? Non è facile rispondere, anche perché ogni podista ha la sua motivazione. Partecipare. Correre. Divertirsi. Gareggiare. I runner che danno un senso tecnico al loro impegno svolgono allenamenti differenti a seconda del momento della stagione e selezionano le corse a cui partecipare. Ma in generale tutti dovrebbero essere consapevoli che ogni stagione dà i suoi frutti. Ricordo che "ai miei tempi" qualche anonimo podista era solito dirmi: "Ragazzino: solo chi semina a ottobre può raccogliere a maggio".
Per dare il meglio di sé è quindi necessario organizzarsi, che nel gergo tecnico significa programmare le gare e gli allenamenti.

Senza troppe rinunce
Tanti podisti sono reticenti alla programmazione dell’allenamento, convinti che ciò significhi anche rinunce, ma non è proprio così. Si tratta semplicemente di dare il giusto senso a ogni cosa. Ad esempio nel corso della mia preparazione alla maratona di New York del 1985 ho partecipato a gare che non rientravano nel mio programma agonistico, semplicemente per il fatto che erano vicine a casa e rendevano meno pesanti certi allenamenti. Andavo in gara per allenarmi "sfruttando" la compagnia e gli stimoli di chi correva con me. Una mezza maratona diventava così l’occasione di fare una seduta di lunghissimo con finale a ritmo maratona; era sufficiente che percorressi 15 km a ritmo lento (la distanza da casa mia al luogo di partenza) prima del via e quindi corressi a ritmo maratona nel contesto della manifestazione. In inverno, invece, le campestri locali erano degli stimolanti allenamenti in vista dei cross più impegnativi che avevo scelto come veri obiettivi agonistici. I giorni precedenti la corsa non modificavo il programma di allenamento e anche se arrivavo alla gara un poco stanco, non era certo un problema.

Il periodo di rigenerazione
Prima di prendere in mano carta e penna per definire i periodi di allenamento ecco un’ultima, ma importante, considerazione. L’incubo ricorrente del podista è la perdita della condizione di forma se si fa qualche giorno di riposo. Tutti concordano sul fatto che bisogna ogni tanto fare una pausa per recuperare gli sforzi e le fatiche, ma se il riposo dura più di 3-4 giorni (come nel caso di malattia o infortunio), il tutto viene vissuto negativamente. "Quanto avrò perso?", "Quanto tempo mi servirà per ritornare in forma come prima?", sono gli interrogativi di chi è costretto al riposo e, certamente, con questi presupposti mentali è difficile impostare una programmazione dell’allenamento visto che la prima fase è basata proprio sulla rigenerazione.
D’altra parte non è logico impostare un ciclo di allenamento quando si è stanchi; in questo caso i margini di miglioramento, se possibili, sono limitati. Gli atleti d’élite a fine stagione inseriscono sempre un ciclo di 2-3 settimane di completo riposo, per non parlare dei keniani il cui periodo di recupero può durare anche un paio di mesi.
Va detto che i top runner si concedono delle lunghe ferie sportive, ma che, allenandosi due volte al giorno, nello spazio di 4-6 settimane recuperano già una condizione discreta per cimentarsi nuovamente nelle competizioni. Un podista amatore invece difficilmente arriva a 7 allenamenti settimanali, che già rappresentano un ottimo carico di allenamento, e quindi impiega tempi lunghissimi per tornare in discreta forma. é per questo motivo che il podista dilettante è restio a mollare l’allenamento.
In realtà, se gli atleti professionisti fanno un riposo praticamente completo, gli amatori per rigenerarsi fisicamente e mentalmente possono pensare di fare un ciclo di 2 settimane con una riduzione del carico chilometrico del 50% e con l’eliminazione degli stimoli di alta intensità. Passare ad esempio da 70 a 35 chilometri settimanali significa sollecitare meno l’organismo senza per questo subire uno scadimento della forma, e al momento di iniziare il periodo di costruzione si è maggiormente predisposti a sostenere il progressivo carico di allenamento.

Il periodo di costruzione
Come dice il nome, nel periodo di costruzione si corre per "costruire" l’organismo. L’obiettivo da perseguire è quello di migliorare l’efficienza degli apparati maggiormente coinvolti nello sforzo: respiratorio, cardiaco, circolatorio, muscolare, scheletrico ecc. Gli allenamenti specifici sono quelli che si effettuano a bassa intensità (80-85% della soglia anaerobica, oppure 70-75% della frequenza cardiaca massima) e che quindi durano a lungo. Sono da preferire i percorsi collinari, ricchi di saliscendi, anche con salite lunghe alcuni chilometri, e i fondi fuoristrada. Occasionalmente sarebbe bene terminare la seduta con un’accelerazione dell’andatura in seguito a un incremento del ritmo di corsa o con degli allunghi fatti con buona spinta dei piedi.
Oltre alle sedute di corsa, nel ciclo di costruzione si dovrebbero svolgere sedute specifiche per il miglioramento delle qualità muscolari generali (addominali, dorsali, arti superiori) e specifiche (gambe, piedi e glutei), anche con sovraccarichi.
La durata del periodo di costruzione varia in funzione dell’efficienza dell’atleta: più il runner è forte meno è necessario fare tanti chilometri, e sono sufficienti 2 mesi per raggiungere un’ottima capillarizzazione. Con questo termine si indica l’ampliamento della rete di vasi che portano sangue alle fibre dei muscoli sollecitati con la corsa. I podisti meno evoluti, che fanno sempre tanta fatica, devono dedicare al periodo di costruzione anche 4-6 mesi.
Inoltre, con le sedute di corsa lenta si aumenta l’efficienza delle cellule muscolari nell’utilizzare le risorse energetiche a disposizione, in modo particolare gli acidi grassi.
Capillarizzazione ed efficienza metabolica migliorano con allenamenti frequenti e costanti e si consolidano con gli anni.

Il periodo di potenziamento specifico
Al periodo di costruzione segue quello di potenziamento specifico, di 4 settimane, che altro non è che l’estensione del ciclo precedente, nel senso che sono sempre presenti, con cadenza quindicinale, le sedute di corsa lunga lenta (di un’ora e mezza, 2 ore anche per i non maratoneti).
Una nuova seduta da inserire è quella degli sprint in salita: su pendenza elevata (10-20%) si corrono dei tratti di 50-80 metri nei quali l’attenzione è rivolta alla spinta dei piedi a terra (favorita dal piano inclinato della salita stessa) e all’avanzamento marcato del ginocchio. A dare sostegno all’azione particolarmente forzata del gesto tecnico, c’è anche il movimento delle braccia, in coordinazione con quello delle gambe.
Una terza seduta specifica è quella della corsa media, da correre anche tutta in salita e meglio se fuori strada, per migliorare l’efficienza del movimento delle caviglie e la forza delle gambe.

La preparazione specifica

Quando termina il ciclo di potenziamento, si passa alla preparazione specifica, la cui prima fase è dedicata all’innalzamento della soglia anaerobica. L’aumento della cilindrata aerobica si ottiene con le ripetute di 1.000 e 2.000 metri, per un totale di 5 chilometri per i meno efficienti ma anche fino a 10 per quelli che hanno intenzioni velleitarie. Chi non ama soffrire in solitudine può anche partecipare a delle gare di 8-12 km ottenendo quasi lo stesso risultato.

Dopo al massimo 6 settimane si deve togliere il piede dall’acceleratore delle ripetute medie perché la soglia anaerobica più di tanto non sale, e si passa ad ampliare la resistenza alla velocità: riducendo di qualche secondo al chilometro (circa 5) l’andatura, ma allungando la durata degli stimoli (fino a 10-15 minuti) si addestra l’organismo a sostenere a lungo un elevato ritmo di corsa.

Dopo 4-6 settimane si è quindi pronti per gareggiare con la massima efficienza, non prima però di aver fatto un ciclo di 10-15 giorni con una riduzione del carico di allenamento necessario ad assimilare e trasformare il lavoro svolto nelle settimane precedenti.

Obiettivo maratona

Il maratoneta svolge un ciclo analogo a quello appena illustrato, diversificato però per la presenza delle sedute di lunghissimo e di ritmo maratona anche nel periodo di miglioramento della soglia anaerobica. All’apice di questo ciclo di programmazione è collocato il periodo agonistico. In questa fase l’obiettivo primario è gareggiare e quindi non si svolgono più carichi elevati. Le energie vengono riservate alla gara, ma una seduta specifica (interval training, ripetute brevi e medie) a metà settimana serve a tenere sollecitati specifici meccanismi fisiologici.

Le tre regole d’oro di una buona programmazione

La durata del ciclo agonistico è condizionata dalla forma: quanto più a lungo essa permane tanto più è estendibile il periodo delle gare. Solitamente si può gareggiare con un buon rendimento per 8-12 settimane, dopo le quali è necessaria una fase di rigenerazione a completamento del ciclo di preparazione.

La necessità di strutturare l’allenamento in periodi è conseguente al fatto che alcune qualità fisiologiche non possono venire sollecitate a lungo, pena il livellamento delle prestazioni, se non anche lo scadimento. Questa è la regola dell’alternanza del carico: in certi momenti ci si allena per migliorare una qualità, poi si passa a migliorarne un’altra.

Un’ulteriore regola d’oro da tenere in considerazione è quella del carico e dello scarico: ad un allenamento impegnativo ne segue uno leggero, necessario per recuperare lo stimolo. Ad esempio una seduta di ripetute determina nell’organismo delle modifiche biologiche che lasciano il corpo affaticato. Prima di ripetere un altro allenamento impegnativo bisogna attendere che l’organismo ritrovi l’efficienza necessaria per far fronte a una successiva stimolazione. La capacità del corpo umano di reagire a uno stimolo determina una risposta maggiore rispetto a quella di partenza tale da elevare, nel tempo, il livello di sopportabilità del carico e di conseguenza di rendere sempre di più. Tutto questo viene descritto come processo di supercompensazione.