Monte Camicia                                   Storia Alpinistica

 

L'ultima grande parete

"Il mio compagno è già sotto un piccolo tetto, mette un chiodo, cerca di issarsi su; vuole che io lo aiuti al meglio, salgo a mia volta fino al chiodo posto sotto lo strapiombo, egli si aggrappa con le mani alla corda ed io a qualche appiglio; intanto studiamo dove porre un secondo chiodo per superare il passo. Ad un tratto, senza che neppure ce ne accorgiamo, ci troviamo sulla sottostante cengia larga meno di un metro: il chiodo, data la grande friabilità della roccia, è uscito spontaneamente dalla fessura alla minima inavvertita trazione lungo il suo asse, ma la corda si è impigliata su una piccola sporgenza trattenendoci sull'orlo del precipizio. Resto attonito e sanguinante per aver graffiato la roccia nello sforzo per non cadere". E' uno stralcio del racconto di Bruno Marsilii sulla prima salita alla immane parete Nord del Monte Camicia, tratto dal volumetto "Monte Camicia, parete Nord, storia di una montagna", del CAI di Castelli. Nello stesso volume Stanislao Pietrostefani racconta: - "L'unica gigantesca  parete del Gran Sasso ancora intatta era la Nord del Camicia: sotto di essa si portarono - Sivitilli, Marsilii, Trentini e Trinetti, il 30 agosto 1927, e per sedici ore ne rimontano le balze della sinistra orografica, ma il vero problema della formidabile bastionata di rocce era il superamento della parte centrale. E dopo sette anni - anni densi di attività arrampicatoria estiva dal Gran Sasso, ai Monti Sibillini, alle Dolomiti e di imprese invernali, anni di progressi tecnici notevoli e di grande maturazione spirituale - torna Bruno Marsilii con Antonio Panza nell'orrido Fondo della Salsa; superato lo sperone erboso centrale e per ore e ore essi arrampicano su per i grandi salti infidi, rischiosamente. Nebbia e pioggia accentuano le difficoltà finali: la parete è superata. E' il 20 settembre1934". Ma agli abitanti di Castelli resta difficile che la loro paurosa parete possa essere stata salita. Così conclude Marsilii: "la mattina dopo guazzando per numerose pozzanghere rientrammo a Castelli accolti da tutti con indifferenza ed incredulità poiché volevamo far credere di aver vinto l'insuperabile parete del Monte Camicia". I due alpinisti, per dimostrare la veridicità della loro impresa, il 15 agosto 1936 ripeterono la salita aprendo nella parte alta una variante più diretta.

 

Inverno a Nord

E' il febbraio 1967. Lino D'Angelo e Luigi Muzii si accingono alla prima invernale. Salgono per due giorni in condizioni di gelo eccezionale che li costringono a una delicatissima progressione mista. Ma la seconda notte, con un voltafaccia tipicamente appenninico, il tempo cambia bruscamente. "Non abbiamo altra scelta. Il nostro desiderio di dedicare questa nostra impresa al grande Panei (Gigi Panei, il forte alpinista abruzzese, guida alpina di Courmayeur e compagno di cordata di Bonatti, all'epoca appena deceduto in Valle d'Aosta) si è sgretolato come le colonne di ghiaccio che, a intervalli regolari, precipitano giù verso il fondo della Salsa. Dopo dodici ore di discesa, ci ritroviamo sotto lo zoccolo erboso e lo affrontiamo di notte. i miei piedi sono fradici d'acqua. Impieghiamo quattro ore per scendere duecento metri di zoccolo erboso. Per me queste sono state le massime difficoltà superate in tutta la mia attività alpinistica". Cosi scrive Lino D'Angelo, "storica" guida alpina di Pietracamela ancora in attività. 

  

Vigilia di Natale 1974

Nel dicembre del 1974, Domenico (Mimì) Alessandri, Carlo Leone e Piergiorgio De Paulis, si cimentano anch'essi nell'impresa invernale. Dopo il tentativo di D'Angelo e Muzii, solo altre due cordate hanno percorso la parete, ma d'estate. Una di queste era condotta dallo stesso Alessandri, esperto alpinista aquilano, con all'attivo difficili ripetizioni invernali e belle vie nuove nel massiccio del Gran Sasso (Diretta alla parete est dell'Occidentale, Diretta al terzo pilastro del Paretone). De Paulis, 19 anni, è il più giovane del terzetto, ma è già un alpinista capace e animato da grandissima passione. Come ha scritto Alessandri, "era il migliore della sua generazione, a L'Aquila, in quel momento. Aveva, specialmente su ghiaccio, una tecnica istintiva che gli consentiva di muoversi con velocità e sicurezza non comuni". La sera del 23 dicembre i tre sono ormai alti nella parete, all'altezza di un caratteristico forcellino e si accingono al terzo bivacco. Hanno proceduto lentamente, ma tranquillamente, su di una parete ghiacciatissima, utilizzando quello che era l'attrezzatura dell'epoca: ramponi tradizionali e la sola piccozza a becca dritta. Scrive Alessandri: "La tragedia ci piombò addosso, imprevedibile, fulminea, a sera quando, già fermi, operavano indipendentemente l'uno dall'altro nella preparazione del bivacco. Sullo sfondo bianco della montagna intravidi la sagoma di Piergiorgio, che si muoveva a pochi metri da me, volare indietro nel vuoto senza neanche un'esclamazione o un grido e scomparire in basso. Aveva preparato il suo ancoraggio con due chiodi, a venti centimetri uno dall'altro, nella stessa fessura orizzontale, vi aveva appeso del materiale trascurando di collegarli e si era agganciato al primo senza accorgersi che il secondo, più grosso, dilatando la fessura, ne aveva compromesso la stabilità". Alessandri e Leone rimangono soli e impotenti di fronte alla tragedia che si è compiuta silenziosa davanti  ai loro occhi. Una breve perturbazione arriva a infierire in una notte già terribile. Cadono sassi, Leone viene ferito, è sotto shoc, e non è in grado di continuare. "Il buio della notte e il silenzio della montagna avvolgevano tutto in una quiete cosmica, ma sul piccolo terrazzino di ghiaccio, piombati in un indescrivibile stato di angoscia, iniziavamo una dura battaglia per la vita e ci accingevamo a superare la più tragica notte della nostra esistenza. Il profondo stato di angoscia vissuto per l'intera notte, in un assurdo dialogo con la morte, si dissolse di colpo alle tre del mattino", quando Alessandri matura la decisione di uscire da solo: "la via della vetta sembrò la più rapida, la più sicura, l'unica via d'uscita...". Mimì scala per ore ed ore, in una condizione mentale straordinaria. La concentrazione estrema scaccia la disperazione e la salita è accompagnata dalle "presenze" di Piergiorgio e di tutte le persone care che danno ancora senso a quello che sta facendo. Alle quattro del pomeriggio è fuori. "Mi sentivo come uno che fino a un momento prima era convinto di morire e si ritrova ancora vivo". L'operazione di soccorso del giorno dopo, a cui partecipa lo stesso Alessandri, è degna di menzione. Per la prima volta, infatti, viene impiegato in Appennino un elicottero per un recupero in parete. L'elicottero pilotato dal tenente Fischione, benché non specializzato in questo tipo d'interventi esegue una difficile manovra in "overing" e recupera col verricello Carlo Leone. La Nord d'inverno è stata in qualche modo superata, ma per i sopravvissuti "la salita fu, sotto il profilo umano e alpinistico, senza dubbio un fallimento, poiché non c'è parete al mondo che valga la vita di un uomo". Dopo questa vicenda dovranno passare tredici anni prima che qualcuno osi sfidare di nuovo la parete nella stagione fredda. 

 

I primi "vincitori"

Tiziano Cantalamessa e Franchino Franceschi, di Ascoli Piceno,  si sono recati tre volte sotto la parete prima di trovare il coraggio di affrontarla. Cantalamessa, guida alpina scomparso purtroppo nel 1999, è un'alpinista grintoso, che non esita mettersi in gioco. Nel 1975 lui e Stefano Pagnini, rispettivamente 19 e 18 anni, sono stati i più giovani salitori della Nord d'estate, effettuandone la quinta ripetizione e aprendo una variante d'uscita. La sua crescita alpinistica è avvenuta sull'infido terreno dei Monti Sibillini. Ha alle spalle numerose prime invernali di tutto rispetto, come quella al quarto pilastro del Paretone. Franceschi all'epoca, è un giovane assai promettente su cui Cantalamessa ripone grande fiducia e che mostra di avere già una notevole confidenza con certi "ambientacci" appenninici. La Nord del Camicia giunge quale logica conseguenza di un percorso che non è fatto solo di tante salite, ma anche di una prolungata immersione in certi ambienti, essenziale per far maturare l'esperienza necessaria a queste imprese. "Chi affronta una parete così, d'inverno - dice Cantalamessa - deve necessariamente avere alle spalle una gavetta di ambienti di questo tipo. Non basta la capacità tecnica. E' necessaria un'esperienza specifica che si matura solo col tempo". Ma anche questa da sola non è sufficiente: "nel corso della vita vi sono solo alcuni momenti in cui ci si sente di esporsi a certe cose, di correre certi rischi. E' solo in quei momenti che si fanno simili imprese". Per i due il momento arriva nel dicembre del 1987. Partiti da Ascoli alle 2 di notte del 22, all'alba sono già oltre lo zoccolo erboso, all'attacco della parete vera e propria. Racconta Cantalamessa: "E' necessaria una cautela estrema. Impossibile correre. La progressione è delicatissima. Le difficoltà sempre intorno al V. Ma non sono le difficoltà a essere un problema, quanto la qualità della roccia. E' necessario riuscire a valutare la tenuta di ogni appiglio, e molti sono coperti dalla neve". Non è concesso sbagliare. Su quella roccia le protezioni - uno, due chiodi a tiro, quando va bene - svolgono una funzione quasi esclusivamente psicologica. A sera i due alpinisti sono già in alto, dove la roccia diventa migliore. La mattina, dopo un bivacco, in altre quattro ore concludono la salita. Al termine della discesa li attende un Mimì Alessandri commosso. A Castelli si fa festa. A 54 anni dalla scettica accoglienza dedicata a Marsilii e Panza, Cantalamessa e Franceschi sono accolti come i primi veri vincitori della Nord. 

 

Nuovi orizzonti

Pierluigi Bini nell'estate 1996 fa il suo primo incontro con la Nord; a distanza di sessantadue anni dalla prima, e unica apertura, varianti a parte, ad opera di Marsilii e Panza, inizia a salire una nuova via partendo dal Fondo della Salsa. Ma a qualcuno la sua "iniziativa" non piace. Dopo aver lasciato la via attrezzata, quando risale trova le corde fisse piene di tagli; rimette tutto a posto ma, a distanza di quindici giorni lo "scherzo" si ripete. Pierluigi abbandona il suo progetto; è il luglio del 1997.

 

La svolta decisiva

Roberto Iannilli, fortissimo alpinista e apritore di innumerevoli vie sul Gran Sasso, insieme all'altrettanto bravo Ezio Bartolomei, nell'estate 1999 scrivono una nuova pagina di storia sulla Nord. Dopo aver aperto l'anno precedente una via che evita il primo zoccolo friabile della parete ("Nirvana" 1025 m.  TD+   6°+), salgono partendo dal Fondo della Salsa; nasce "Vacanze Romane" 43 tiri  2075 metri di sviluppo  EX-, un vero e proprio exploit alpinistico. Quello che segue è per esteso il racconto dei due pubblicato su Alp n° 177:

La parte alta della Nord già la conoscevamo, ma la prima metà l'avevamo osservata solo dall'alto e non ci aveva fatto una buona impressione. Quando l'abbiamo vista nella sua interezza (il pomeriggio prima della salita), la sua "repulsiva bellezza" ci ha fatto capire il perché di una sola grande via e così poche ripetizioni. Prima dell'alba, mentre salivamo facendo luce con le frontali, parlando speravamo che ci fosse un po' di leggenda intorno alla Nord, confidavamo che i pochi salitori avessero esagerato nei loro racconti. All'attacco un evidente diedrone, che si rivelerà di oltre 250 metri, ci invita a salire, da sotto è meno impressionante. Decidiamo di fare tre tiri a testa, inizia Ezio. Bene la roccia è quasi normale. L'illusione dura poco e cominciamo a trovare tratti friabili e pericolanti che ci costringono ad una arrampicata virtuale, non puoi tirare gli appigli o caricarli come ti verrebbe naturale, tutto è in funzione dell'attrito che l'appiglio, che è sempre staccato, esercita su un altro pezzo di roccia, anch'esso staccato. Se spingi nel verso giusto questi tengono, lo stesso vale per gli appoggi. Protezioni quasi nulle. tiri di 50 metri con passi fino al V+  (che non è il V+ normale...) con un cordino su radice o un microdado o un chiodo su fessura elastica, più martelli più si allarga. Qui non contano i gradi che facciamo in falesia, serve tatto e testa, la precisione e leggerezza dei movimenti e la concentrazione sono la base di questa arrampicata. Dopo circa 300 metri raggiungiamo la grande rampa della "Classica" , qui la roccia è quasi buona, al suo termine ci affacciamo sulle cascate, cadute strapiombanti in marmitte giganti, un vero sogno per i ghiacciatori. La "Classica" piega a destra e noi continuiamo lungo il bordo- spigolo che da sulle cascate. Qualche tiro normale ci fa sperare, ma sul sedicesimo, Roberto superato uno spigoletto pericolante, esce su un'apparentemente innocua crestina erbosa. C'è nebbia e non si vede oltre i 20-30 metri. Mentre recupera Ezio si dissipa la foschia e si apre uno scenario raccapricciante: la crestina diventa sempre più verticale ed ha l'aspetto di una parete di sassi tenuti insieme da ciuffi di erba. Ezio arriva alla sosta e mentre parla dell'incredibile mucchio di macerie che è lo spigoletto appena superato, alza gli occhi. Senza dir niente ci trasmettiamo una sensazione di smarrimento, ci rendiamo conto che la Nord non è una leggenda è veramente la Nord, e noi ci siamo dentro, scendere è impossibile, traversare neanche a parlarne, dobbiamo salire. E' il diciassettesimo tiro e tocca ancora a Roberto. L'arrampicata è delicatissima e assolutamente improteggibile. Non si può parlare di gradi. Si dovrebbe coniare una nuova scala di difficoltà, quella su misto erba- roccia marcia. Questa è talmente cattiva che le piccole zolle d'erba sembrano più affidabili, e se cadi ti porti dietro il compagno direttamente al Fondo della Salsa (la conca a imbuto alla base della parete dove si deposita tutto ciò che cade, e dove tutta la Nord prima o poi scenderà). Altro problema sono le soste. Le fessure sono rarissime e i chiodi le allargano con sconcertante facilità. Si ha l'impressione (molto realistica) che se insisti col martello venga giù tutto. Meglio non appendersi e recuperare il compagno in vita. Saliamo circa 200 metri in queste condizioni. Lo scenario è orribile eppure magnifico, valeva certamente la pena... ma questo lo penseremo quando saremo fuori. Al ventiduesimo tiro intercettiamo di nuovo la "Classica", che dopo un ampio giro a destra torna sulla verticale. Comincia a far sera e bisogna cercare un posto per il bivacco, assolutamente al riparo da improvvisi cambi di umore della Nord. Mentre traversiamo verso il canale che porta acqua alle cascate (di cui ci riforniamo), passiamo davanti a una minuscola grotta piena di sassi e terra. In meno di mezz'ora Ezio l'adatta alla perfezione. Il peggio è passato: oltre mille metri fatiscenti protetti con cinque chiodi, cinque tra friend e nut e una radice. Ci sembra di essere nel luogo migliore della terra. Rocce verticali e inaccessibili, panorama a perdita d'occhio sull'ondulata pianura illuminata da mille luci e il mare, con gli ultimi bagliori della sera. Domani ci aspetta la bellissima parete terminale, le placche compatte che Tiziano Cantalamessa ha salito nel '75. Tiziano che su questa parete ha lasciato il segno, è stato punto di riferimento per tutti noi. L'idea di lasciare anche noi una traccia sulla Nord ci riempie di orgoglio e di tristezza, perché non potremo più scambiare con lui le nostre emozioni in una delle belle conversazioni ai "Prati". L'alba. Una coltre piatta e uniforme di nubi, simile a un mare, nasconde la parte bassa della via, come a sottolineare che oggi siamo oltre. Roberto ha sognato una fila di chiassosi escursionisti che passavano sulla cengetta davanti alla grotta, provenienti da un improbabile sentiero. Riprendiamo più rilassati. Ora è meglio. Saliamo una crestina di roccia rotta a tratti molto sottile, che ci porta sotto la placca finale. Sembra impossibile, ma queste placche compatte sono poggiate su 1500 metri di un indefinibile spezzatino di roccia. Mettono in evidenza i contrasti della parete, le sue due facce: una temibile, friabile, selvaggiamente bella; l'altra solare, compatta, rassicurante. Si ripete l'emozione della scoperta inattesa di questo settore. Già l'anno scorso sullo sperone di sinistra, lungo "Nirvana", abbiamo provato l'indescrivibile piacere di arrampicare in questa zona della Nord. Ma in quella occasione eravamo scesi dall'alto. Saliamo contendendoci i tiri, dispiaciuti che le nostre "Vacanze Romane" stiano per finire. Ormai intravediamo l'uscita. L'ultimo tiro è il più bello e tocca a Ezio, il solito fortunato, che esce in cresta dopo venti ore di arrampicata, per 2075 metri di sviluppo su 43 tiri. Ad attenderci due scalatori che ci avevano avvistato dalla "Marcheggiani- Ade". Un piacevole incontro dopo due giorni che sembrano una settimana, da soli. Abbiamo aperto una via che sale interamente la Nord del Camicia, dopo 65 anni dalla prima, e fino a ora, unica via, e le nostre mogli ci hanno detto: "Ma state a casa irresponsabili !!!"   

Non pago dell'avventura del 1999, Roberto con i suoi compagni rende più accessibile la Nord eliminando i primi 40 tiri della parete scendendo con otto doppie dalla sommità alla base di uno dei pilastri rocciosi che caratterizzano la parte più alta della parete. Sono nate 6 salite (2 nel 2000 e 4 nel 2001) e il nome dello sperone roccioso su cui salgono è Nirvana, ma evitate di considerarla una promessa. Indubbiamente consentono di penetrare con un costo moderato (la qualità della roccia non è sempre incoraggiante) in un ambiente magnifico e come sospeso sugli abissi del Fondo della Salsa.

 

La Cronaca

La parete Nord del Camicia - soprattutto con l'attuale rete stradale - non presenta problemi di lontananza e di accesso. A Castelli si arriva in venti minuti di macchina dall'uscita di San Gabriele-Colledara dell'autostrada Roma-Teramo. Dal paese, giungere alla sua base comporta una breve e piacevole passeggiata. Osservandola, il suo fascino alpinistico è innegabile. Eppure, sarà per la qualità della roccia, sarà per la grande severità dell'ambiente, sarà per il fiato pesante della parete, la sua storia alpinistica può essere sintetizzata in questi numeri: 18 salite, di cui una nuova indipendente a distanza di 65 anni dalla prima, una solitaria e due invernali.

Anno per anno le ripetizioni della Nord del Camicia

1      1934     20 Settembre           Bruno Marsilii e Antonio Panza, prima ascensione
2      1936     15 Agosto                Bruno Marsilii e Antonio Panza
3      1967     29 Giugno                Francesco Bachetti e Giuseppe Fanesi
4      1970     6   Settembre           Domenico Alessandri e Roberto Furi
5      1974     21/24 Dicembre       Domenico Alessandri, Piergiorgio De Paulis e Carlo Leone, prima invernale
6      1975     10 Agosto                Tiziano Cantalamessa e Stefano Pagnini
7      1975     14 Settembre           Giuseppe Fanesi e Alberico Alesi
8      1975     19 Settembre           Enrico De Luca e Lino D'Angelo
9      1980     2/4 Agosto              Antonio D'Arcangelo, Angelo Calista e Fernando Di Fabrizio
10    1982     30 Settembre           Marco Florio, prima solitaria
11    1983     24/26 Settembre      Massimo Di Rao, Massimo Frezzotti, e Gualtiero Gianni
12    1987     13/14 Agosto           Antonio Crocetta, Luciano Di Carmine e Luigi Perini
13    1987     22/23 Dicembre       Tiziano Cantalamessa e Franchino Franceschi, seconda invernale
14    1988     9/10 Ottobre            Gino Di Sabatino e Carlo Partiti
15    1993     24 Luglio                  Davide Di Giosafatte e Antonio Tansella
16    1993     19/20 Settembre       Lino Di Marcello e Carlo Partiti
17    1994     3/4 Agosto                Riccardo Costantini, Roberto Giancaterino e Gabriele Musa
18    1999     21/22 Agosto            Roberto Iannilli e Ezio Bartolomei, via nuova

 

 

Bibliografia

Alp N°167, 177

Vincenzo Abbate, Appennino d'inverno, Andromeda Editrice, 1995

L'Appennino, inverno-primavera 2002

Informazioni private archivio Iannilli