Preghiera per Černobyl’, di Svetlana Aleksievič, E/O,
tr. S. Rapetti
La lettura di questa
devastante raccolta di interviste ai superstiti del più grande disastro
tecnologico di tutti i tempi ha il grande pregio di farci capire quanto possa
essere ingannevole la nostra memoria; soprattutto quella a medio termine, che
cerca di afferrare fatti troppo vecchi per essere ancora attualità e troppo
recenti per essere già storia. Noi crediamo di sapere cos’è successo in
quella cittadina bielorussa all’una di notte del 26 aprile 1986; abbiamo un
vago ricordo di radionuclidi, fisici che mangiano insalata in televisione e
immagini sfocate. Qualcosa che bene o male s’è concluso, un grande spavento
collettivo dissoltosi nell’aria.
Ebbene, questo reportage
della giornalista Svetlana Aleksievič,
già autrice di libri scandalosi sulla seconda guerra mondiale e sulla guerra in
Afghanistan (la prima), che a suo tempo le hanno messo contro rispettivamente
le autorità sovietiche e post-sovietiche (alle quali si addice la celebre espressione
di Musil “le stesse cose tornano”), ci mostra in modo
violento e lacerante, dando voce alle vedove, agli orfani, agli invalidi e ai
diseredati dell’atomo, che non è finito proprio niente; che Černobyl’ è
una ferita aperta e sanguinante, che nella sola Bielorussia fa registrare ogni
anno 10.000 nuovi invalidi per le conseguenze dell’incidente.
E’ un libro corale, dove
troviamo le voci dei fuggiaschi dai paesi aboliti dalla contaminazione
radioattiva gomito a gomito con quelle dei desperados
del post-comunismo, disposti a stabilirsi in quelle terre desolate dopo essere
stati scacciati dal Tagikistan o dal Chirgisistan. Un
libro che mostra le molteplici facce di un orrore del tutto nuovo, e di una
sofferenza davanti alla quale la ragione stenta a raccapezzarsi; e non è forse
un caso se alcuni dei testimoni devono andare a trovarsi un metro di paragone
narrativo nella fantascienza dei fratelli Strugackij.
La fantascienza si è fatta vita vissuta, in una sola notte, sedici anni fa, a
Černobyl’.
(Pulp Libri, n. 40, p. 54)