La Fanucci
prosegue l’impresa di riproporre tutto Dick in traduzioni rispettabili e
corredato dalle ricche introduzioni di Carlo Pagetti.
Tocca questa volta a uno dei migliori romanzi dell’autore californiano, Follia
per sette clan, che era nell’originale edizione americana del 1964 Clans of the Alphane Moon (I clan della luna di Alpha);
riuscitissimo forse perché l’argomento del libro è perfettamente adatto alla
tecnica narrativa adottata da Dick, quella di far vivere una vicenda da più
personaggi e presentarcela da diverse prospettive psicologiche; o meglio,
psichiatriche.
Doppia trama, si diceva; e
anche doppia ambientazione, a capitoli non esattamente alterni. Sulla Terra
Dick ambienta il disastro coniugale (una delle sue specialità) di Chuck Rittersdorf, dipendente
della CIA (chiamarlo “agente” sarebbe eccessivo) che programma spie robot,
ossessionato dal desiderio di sbarazzarsi della moglie Mary dalla quale è
separato, e che gli sta rovinando l’esistenza. Attorno a Chuck
si concentrano manovre sempre più torbide di politici, servizi segreti,
imprenditori mass-mediatici, alieni affaristi, attrici siliconate, killer da hard-boiled,
eccetera. È un mondo distopico dove tutti ingannano
tutti e non si capisce mai bene chi manipola e chi è manipolato
Alla Terra si contrappone
la luna di un lontano pianeta nel sistema di Alpha
Centauri, dove i pazienti di un manicomio, abbandonati a se stessi durante una
guerra interstellare, hanno fondato una strana società i cui cittadini
appartengono a sette tipi di patologia mentale (schizofrenia, ebefrenia,
paranoia, ecc.) e in base a questo scelgono in quale delle sette città
risiedere e quale vita condurre. Qui Dick si scatena, costruendo un mondo folle
e rigoroso nella propria improbabilità, dove gli ebefrenici risiedono a Gandhitown, una comunità di mistici e santi visionari dai
poteri paranormali, mentre i paranoici, abilissimi politici perennemente
intenti a difendersi da minacce reali e immaginarie, dimorano ad Adolfville.
Questo romanzo è
sessantottino in senso nobile, animato com’è dalla convinzione che normalità e
follia si mettano reciprocamente in discussione, e che la pazzia possa essere
la via di fuga dall’incubo di una vita normale, generato dall’insonnia della
ragione. Non proprio idee che vanno per la maggiore di questi tempi; ma almeno
in letteratura non decide la maggioranza.
(Pulp Libri, n. 54, p. 38)