Ci viene riproposto in una nuova traduzione un classico del thriller che
nel 1960 ha avuto l’onore di essere portato sullo schermo nientedimeno che da
François Truffaut col titolo Tirez sur le pianiste; sulla scia del film
il romanzo, che si chiamava Down There quand’era uscito nel 1956, venne
ribattezzato anche negli Stati Uniti Shoot the Piano Player.
Eppure il titolo originario era rivelatore: down there, laggiù,
in un abisso di insensatezza esistenziale che sa di Camus e Sartre, dove è
precipitato il protagonista, Edward Webster Lynn, virtuoso del pianoforte
spezzato dal meccanismo spietato di una competizione che non risparmia nemmeno
il mondo della musica colta. In fondo all’abisso, laggiù, in una bettola per
alcolizzati dei bassifondi di Filadelfia, Edward è diventato Eddie il pianista,
intento a suonare la colonna sonora della propria e dell’altrui degradazione.
Ma l’irrompere sulla scena del fratello Turley, un delinquente di mezza
tacca non molto sveglio, strappa Eddie dal pianoforte e lo catapulta in una
vicenda convulsa di soldi sporchi, regolamenti di conti e pistolettate, durante
la quale per Eddie balenerà la possibilità di tornare a vivere, risalendo dal
pozzo nel quale è caduto; ma anche quella di rimetterci le penne insieme
all’unica persona che conta per lui, Lena (forse l’unica vera dura del
romanzo).
Dilungarsi sulla trama significherebbe togliere il piacere della
suspense (che nel libro non manca) a chi legga per la prima volta questa perla
di un grande dell’hard-boiled. A chi invece verrà voglia di rileggerlo,
vorrei solo far notare le eleganti simmetrie di una trama dalla circolarità
asfissiante, dove il finale è già contenuto nell’inizio, dove il mondo
“perbene” della musica classica risulta altrettanto corrotto dell’underworld
criminale, dove il protagonista è costretto a tornare sempre sul luogo del
delitto, suo e altrui. In questa circolarità sta il fascino onirico, morboso e
surreale del libro. Del resto, chi ha mai detto che il giallo (specie quando in
mano a uno scrittore del talento di Goodis) è nient’altro che un’attardata
narrazione realistica?
(Pulp Libri, n. 46, p. 33)