In attesa di vedere tradotto in Italia il nuovo romanzo di Lethem, You
Don't Love Me Yet, uscito in America a marzo, è il caso di non perdere
questa raccolta di saggi, alcuni dei quali deliziosi, alcuni decisamente
splendidi, e tutti mirabilmente tradotti da Martina Testa (magari avesse lei
l'esclusiva sulle traduzioni dello scrittore di Boerum Hill...).
Ma andiamo per ordine. Il primo, “Storie metropolitane”, è la storia di una
fermata della metropolitana di New York, Hoyt-Schermerhorn, quella nei pressi
della casa dove Lethem è cresciuto. Un piccolo saggio autobiografico che
insegna quanto un non-luogo come una stazione della metro possa essere colmo di
ricordi e di tracce umane. Il secondo saggio, “L'artista della Delusione”,
presenta lo scrittore americano Edward Dahlberg, ma anche la zia di Lethem, Wilma
Yeo, allieva di Dahlberg e autrice per l'infanzia. Segue “Il ritorno del re, o
dell'identificazione con i genitori”, che raccontando la passione di Lethem
adolescente per i fumetti Marvel, narra una fase importante della sua vita, e
spiega tante piccole e grandi cose della sua scrittura (ma anche del grande
disegnatore Jack Kirby). Arriva poi “Voi non conoscete Dick”, forse l'unico
degli scritti della raccolta a non essere scopertamente autobiografico, e
comunque un'intelligente presentazione del maestro di Lethem, ovvero Philip K.
Dick. C'è quindi “Le vite dei bohémien”, un saggio sul padre di Lethem,
Richard, pittore anticonformista tutt'altro che di second'ordine, che spiega
molto della sua pittura ma anche di un complicato rapporto tra padre e figlio
(come se ce ne fossero di semplici). A seguire una brillante analisi del cinema
di John Cassavetes, “Due o tre cose che non so di Cassavetes”, e infine un
fuoco d'artificio conclusivo, “Le barbe”, nel quale Lethem ricostruisce la sua
traiettoria di scrittore attraverso una serie di passioni brucianti per dischi,
libri, registi amati follemente e poi rinnegati.
A questo ben di Dio la minimum fax ha fatto seguire una “bonus track”
intitolata “Il padrone del soul”, cioè un reportage scritto da Lethem per Rolling
Stone dopo aver seguito in studio d'incisione James Brown e la sua band, in
una serie di episodi grotteschi e surreali che solo la sua tastiera avrebbe
potuto rendere così bene.
Morale della favola: non ve lo perdete. A parte gli argomenti dei diversi
saggi, questi testi costituiscono le tessere di un’autobiografia divertente,
irriverente, spesso toccante, e in qualche pagina veramente commovente. A suo
modo, una specie di romanzo destrutturato. E maledettamente bello.
[Anche
se questa recensione venne scritta per Pulp
Libri essa non venne pubblicata per un disguido]