Nuovo Messico: quanti di
voi lettori ci sono stati? Io, lo ammetto, non ci sono arrivato. Eppure, dopo
aver letto questo dittico dell’americano Wright Morris, scrittore nonché grande
fotografo (morto nel ’98 alla tenera età di ottantotto anni), è un po’ come se
ci fossi stato. E di certo farò il possibile per visitare le terre attraversate
dal fiume Pecos dov’è ambientato il finale di Una vita (la seconda delle
due novelette incluse nel volume).
Morris è uno di quegli
scrittori in grado di farti avvertire fisicamente, nella pelle e nelle ossa, la
consistenza di un territorio. È qualcosa che agli americani riesce assai bene:
e come nel suo romanzo precedentemente pubblicato da Giano, Canto delle
pianure, Morris dimostra di saper risuscitare, grazie a un senso del luogo
quasi magico, una terra aspra e selvatica ma soprattutto la gente che vi è nata
e morta. Tutto un modo di coltivatori e allevatori ci si apre grazie ai ricordi
del vecchio Floyd Warner, protagonista dei due lunghi racconti: la sua
famiglia, le sue bestie, i suoi braccianti − e tutte le loro vite,
rancori e meschinità incluse, ma anche affetti e momenti decisamente buffi. Ma
soprattutto la terra, le grifagne piante del luogo, le grandi e surreali
praterie, l’incostante corso del Pecos.
Il dittico si compone di
due storie che giustamente sono state pubblicate insieme, nella dignitosissima
traduzione di Luca Conti. La prima, il viaggio del vecchio e strambo Warner,
che con un nipote alla lontana torna dalla California alla terra natia, è
praticamente un’avventura on the road, a bordo di un’auto del ’28 ma nei
primi anni settanta: è il ritorno al passato, dalla California dei figli dei
fiori e della civiltà di massa a un Nuovo Messico primigenio ed elementare,
terra di indiani e di religiosità visionaria. La seconda, un rimemorare sempre
più smarrito dell’anziano allevatore, che nella sua terra d’origine deve fare i
conti col proprio passato, la moglie mezzosangue morta e da sempre rimpianta,
la sorella fondamentalista ma di buon cuore, il padre detestato e bigotto.
Sullo sfondo l’America dei
pionieri che in qualche modo ancora persiste ancora oggi. Un’America umile, ma
non priva di una sua rustica grandezza, di cui Morris, sia come fotografo che
come scrittore, è stato uno dei grandissimi cantori, degno erede di Edgar Lee
Masters e John Steinbeck.
(Pulp Libri, n. 49, p. 44)