Anime in gioco, di Ignacio Padilla, Fanucci, tr. Camilla Cattarulla

Chi come il sottoscritto frequenta prevalentemente le sponde a stelle e strisce del mare magnum della narrativa, viene ogni tanto colpito da un’ansia: che frequentando la letteratura più tradotta in italiano si perda ottime cose non provenienti dagli Stati Uniti. Quest’ansia esce rafforzata dalla lettura dal presente romanzo di un giovane (relativamente, essendo nato nel fatidico 1968) scrittore proveniente dal vicino meridionale degli USA, il Messico, anche se attualmente risiede a Londra in qualità di addetto culturale della locale ambasciata del suo paese.

Padilla, in questo romanzo del 1999 (non a caso già tradotto in inglese), ha compiuto un’impresa sorprendente: ha invaso con esuberanza il territorio del romanzo storico postmoderno, quello che da noi viene frequentato tanto per capirci da Michele Mari sul versante colto e da membri della banda Wu Ming su quello più avventuroso, e che da lungo tempo è dominio dell’assai probabilmente massimo scrittore statunitense vivente, Thomas Pynchon (del quale Umberto Eco è debitore, ma non lo dice). È un territorio nel quale il romanzo storico ottocentesco ha subito una mutazione radicale, diventando da elegante e raffinato esercizio di ricostruzione che era, luogo dove la ricerca storica copula con la costruzione storica, se non con la fabbricazione di storie alternative. Il risultato è quello di generare macchine narrative complesse che riescono a sviscerare i dilemmi e i drammi della storia (passata e presente) con un’immediatezza e anche una brutalità che non sempre la storiografia possiede, ma anche di intrattenere ipnoticamente i lettori. Perché, a ben vedere, Padilla, come altri romanzieri storici postmoderni, è come se scavalcasse Manzoni per tornare all’origine sfrontatamente avventurosa del romanzo storico, cioè Walter Scott.

La vicenda di Anime in gioco si svolge in Europa tra il 1917 e il 1960. È una trama complessa ricostruita attraverso il racconto di quattro dei suoi protagonisti, rispettivamente un giovane ingegnere ferroviario membro della Hitlerjugend, un prete spretato che diventa gerarca nazista, un cosacco rinnegato e fratricida, un ghostwriter inglese che riceve una strana e inaspettata eredità. Tre dei quattro sono scacchisti di buon livello; ma tutti sono pedine di un complesso e inquietante complotto che nasce nella Germania nazista, il piano Anfitrione (e Amphytrion era il titolo originale del romanzo, assai migliore), che prevede l’uso di sosia per proteggere i gerarchi del regime. Proteggerli, o forse sostituirli.

Ed è questo il tema fondamentale del romanzo, e l’aggancio al mito greco e alla commedia di Plauto cui Padilla fa spudoratamente riferimento: la sostituzione, la riproduzione dell’individuo, la riproducibilità, in altri termini, degli esseri umani. Tra gemelli, sosia, comparse, chirurgie plastiche e travestimenti, documenti trafugati e contraffatti, gli scambi d’identità nel romanzo s’intrecciano vertiginosamente, e quando s’arriva alla fine bisogna fermarsi un attimo e ricostruire le mosse della complessa partita orchestrata brillantemente dall’autore messicano. Siamo sulle tracce del grande e compianto Philip K. Dick, ma le sue ossessioni predilette (i simulacri, il nazismo, il complotto) vengono affrontate da una prospettiva affatto diversa.

Il merito di Padilla infatti non sta solo nell’aver preso il thriller nazista (cui appartengono bestseller come I ragazzi venuti dal Brasile o Il maratoneta, per non parlare di Dossier Odessa) e di averlo rinnovato in modo brillante e vertiginoso, ma di averlo fatto con una densità di scrittura magistrale, intessendo una prosa complessa e fascinosa di derivazione borgesiana (siamo sempre in area latino-americana, dopo tutto), con un gusto del paradosso e dei colpi di scena metafisici che attinge direttamente a uno dei maestri di Borges, il grande e (qui da noi) sottovalutato Gilbert Keith Chesterton (modello del quale lo stesso Padilla va orgoglioso, e a ragione). Ne scaturisce un libro per il quale è pallido eufemismo l’aggettivo “avvincente”.

 

(Pulp Libri, n. 54, p. 45)

 

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