Cari appassionati di
giallo, ecco una buona occasione di investire quindici euro. Il secondo romanzo
di Sallis che esce per i tipi dell’editore varesino, nell’impeccabile
traduzione di Luca Conti, è infatti di gran lunga migliore del precedente Cypress
Grove Blues (che in realtà lo segue nella cronologia delle opere
dell’autore). Ed è indubbiamente un bel libro che si legge d’un fiato; non
tanto per una trama perfettamente concatenata (ché il realtà il libro è
spartito in quattro episodi che potrebbero anche essere letti come racconti
indipendenti), quanto per la forza con cui Sallis sa evocare la città di New
Orleans, con la sua miscela unica di calura tropicale, passato coloniale,
presente creolo, jazz, bordelli e ottima cucina.
La sensualità torrida e
sudata della capitale della Louisiana si riverbera nella figura del detective
Lew Griffin e della sua lenta, accidentata e infine folgorante redenzione. Lew
è non solo nero di pelle, ma profondamente meridionale nell’anima, e per
questo risulta più leggibile a noi italiani di altri eroi dell’hard-boiled.
Ha certo una vena paurosa di violenza e autodistruttività che ricorda i
personaggi di Hammett e Chandler (e di Chester Himes, spudoratamente citato da
Sallis); ma gli piace mangiare bene, andare a letto con belle donne (tutt’altro
che stereotipe dark ladies) e perdere tempo. Altra anomalia di Lew è che
ama leggere: è infatti un detective colto e letterario, pur vivendo gomito a
gomito coi rifiuti di New Orleans. Nel suo passato remoto c’è una parentesi
universitaria, e ogni tanto si butta sui libri, siano essi solidi gialloni o
classici dell’ottocento.
Lew ascolta tanto blues,
che per lui è la musica di casa, ed è anche la straziante colonna sonora delle
quattro ricerche di persone scomparse in “questo mondo molto vecchio e molto
poco gentile” nelle quali s’imbarca: altrettante interrogazioni esistenziali,
che a momenti sfiorano l’illuminazione lirica. Ricerche venate di un’amarezza
che pare il connotato inevitabile dell’hard-boiled, ma anche dell’essere
un americano colto e raffinato nella nostra epoca di decadenza culturale.
Perché Sallis, oltre che giallista, è traduttore di Queneau, Cendrars,
Bonnefoy, Neruda, Lermontov, Pasternak e Puskin; e queste frequentazioni nelle
sue pagine si sentono.
L’insieme di tutto questo è
La mosca dalle gambe lunghe; ed è un bel leggere.
(Pulp Libri, n. 54, p. 47)