Premessa necessaria: non
sono un cinefilo. Non so se ho capito cos’è un controcampo, e vedendo una scena
di film non so riconoscere quale obiettivo ha usato il regista. Non ho visto i
classici francesi degli anni ’30 e ’40. Sono un ignorante cui piace ogni tanto
vedere un bel film.
Eppure quando ho visto
questo volumetto, che raccoglie tredici interviste al “Ragazzo di Kenosha”
(così Thomas Pynchon definisce Welles nel suo Arcobaleno della gravità)
realizzate dal 1938 al 1982, mi sono sentito in dovere di leggerlo e recensirlo.
Perché uno può non essere un patito della poesia ma deve conoscere Baudelaire;
può non essere un appassionato di teatro, ma deve conoscere Shakespeare. Allo
stesso modo, si può non essere cinefili, ma bisogna conoscere Welles.
Orson Welles era al tempo
stesso beniamino degli dei e loro vittima. Attore superbo, regista inarrivabile
sia a teatro che al cinema, sceneggiatore a dir poco geniale, affascinante,
carismatico. Ci sapeva anche fare con le donne (è stato compagno di Rita
Hayworth e Dolores Del Rio, tra le altre). Ma come ogni vera figura tragica, al
culmine della gloria viene travolto da una serie di avvenimenti che lo esiliano
da Hollywood (fors’anche per motivi squisitamente politici, come suggerisce
Murri nella sua appassionata postfazione) e gli impediscono di realizzare i
progetti cui teneva maggiormente.
Eppure, anche tenendo conto
che a Welles non è stato concesso di realizzare tutto quel che avrebbe potuto
(come se qualcuno avesse regolarmente rubato tele e pennelli e colori a Caravaggio),
la somma delle sue realizzazioni cinematografiche è tale da aver spinto gli
storici del cinema ad affermare che la comparsa del suo Quarto potere nel
1941 cambia radicalmente l’arte cinematografica, come nessuna pellicola sarebbe
più riuscita a fare. E che con gli altri suoi film, per quanto girati in
ristrettezze e con mille compromessi, ci hanno mangiato tutti (come si dice
nella Capitale).
Non solo: Welles è
personaggio di tale funambolica e ammaliante intelligenza (era anche
prestigiatore provetto) da rendere la lettura delle sue interviste un autentico
piacere per chiunque abbia un minimo a cuore l’arte, la vita e tutto quel che
sta in mezzo. E abbia anche voglia, tra le tante cose (da Bernini a Oriana
Fallaci), di sentir parlare di cinema.
(Pulp Libri, n. 55, p. 58)