Questione meridionale:spunti di dibattito

 

"Tutti dicevano di aver meditato sul "problema meridionale" e avevano pronte le loro formule e i loro schemi.ma così come queste loro formule e schemi,e perfino il linguaggio sarebbero stati incomprensibili all’orecchio del contadino,così la vita e i bisogni dei contadini erano per essi un mondo chiuso,che neppure si curavano di penetrare. Di qui l’impossibilità di intendere e di essere intesi. Di qui il semplicismo,spesso ammontato di espressioni filosofeggianti,dei politici,e l’astrattezza delle loro soluzioni,non mai aderenti a una realtà viva,ma schematiche,parziali,e così presto invecchiate. Quindici anni di fascismo avevano fatto dimenticare a tutti il problema meridionale. Alcuni vedevano in esso un puro problema economico e tecnico,parlavano di opere pubbliche,di bonifiche,di necessaria industrializzazione,di colonizzazione interna.

Altri non vi vedevano che una triste eredità storica,una tradizione di borbonica servitù,che una democrazia liberale avrebbe eliminato. Altri sentenziavano non essere altro che un caso particolare di oppressione capitalistica che la dittatura proletaria avrebbe risolta. Altri pensavano a una vera inferiorità di razza e parlavano del sud come di un peso morto per l’Italia del nord,e studiavano le provvidenze per ovviare,dall’alto,a questo doloroso stato di fatto.

Il problema meridionale è molto più complesso; anzitutto siamo di fronte al coesistere di due civiltà diversissime: campagna e città; il secondo aspetto è economico:le terre del sud si sono andate progressivamente impoverendo,si sono tagliate le foreste,i fiumi si sono fatti torrenti e invece degli alberi, dei prati e dei boschi,ci si è ostinati a coltivare grano in terre inadatte. Infine l’aspetto sociale: si dice che il nemico sia il latifondo ma il vero nemico che impedisce ogni libertà e possibilità di esistenza civile ai contadini,è la piccola borghesia dei paesi. Non possiamo prevedere quali forme politiche si preparino per il futuro:ma in un paese di piccola borghesia come l’Italia, è probabile che le nuove istituzioni che seguiranno al fascismo saranno riportate a riaffermare,in modi diversi,quelle ideologie;ricreeranno uno Stato lontano dalla vita,idolatrico e astratto,perpetueranno e peggioreranno,sotto nuovi nomi e nuove bandiere,l’eterno fascismo italiano.

Il problema meridionale si risolverà soltanto fuori dallo Stato ripensando il concetto stesso di Stato arricchendolo di un modo di intendere l’individuo più moderno,che esprima la realtà vivente. Individuo e Stato coincidono nella loro essenza,e devono arrivare a coincidere nella pratica quotidiana,per esistere entrambi. Questo capovolgimento della politica è l’unica strada che ci permetterà di uscire dal giro vizioso tra fascismo e antifascismo. Questa strada si chiama autonomia. Lo Stato non può essere che l’insieme di infinite autonomi,un’organica federazione. Ma l’autonomia del comune rurale non potrà esistere senza l’autonomia delle fabbriche,delle scuole,delle città,di tutte le forme di vita sociale."

Questo brano,liberamente tratto da "Cristo si è fermato a Eboli" di Carlo Levi,offre notevoli spunti di riflessione: racconta un modo di fare politica che purtroppo non è cambiato (semplicismo,astrattezza,espressioni filosofeggianti); di un problema che persiste e diviene sempre più evidente nell’aspetto economico;dell’interpretazione pressoché invariata del problema; delle soluzioni bizzarre e razziali e della autonomia quale unica strada per la riqualificazione di un moderno concetto di Stato: complimenti a Levi per la corretta previsione! È un testo che dovrebbero leggere tutti i nostri politici e i ben pensanti del paese meridionalisti e non, nonché i ragazzi lucani per avere coscienza di chi eravamo e per meglio capire chi siamo.

Vi invito a partecipare a questo dibattito sugli spunti offerti dal brano spedendo una e-mail a bollettinoaviglianese@interfree.it