ASSOCIAZIONE VOLONTARI ITALIANI DEL SANGUE

TORTOLI' - ARBATAX

 

IL TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO ALLOGENICO

Il  trapianto di midollo osseo (TMO) allogenico è un approccio terapeutico eletti­vo per un grande numero di affezioni ematologiche e immunologiche, congenite e acquisite, come aplasie midollari, leucemie acute e croniche, thalassemia major e deficit immunitari gravi, per le quali rappresenta spesso l’unica possibile terapia ri­solutiva, l’unica cioé in grado di garantire la guarigione definitiva in malattie che fi­no a pochi anni orsono erano considerate fatalmente mortali.

Il  trapianto di midollo osseo può essere considerato ormai a buon diritto una pro­cedura terapeutica di largo impiego ed in grado di garantire risultati terapeutici di grandissimo rilievo.

Soprattutto in questi ultimi 15 anni, grazie all’approfondimento delle conoscenze sul sistema maggiore di istocompatibilità umano (sistema HLA), sistema che regola la compatibilità fra donatore e ricevente, con la messa a punto di metodologie im­munodepressive e citoabloablative sempre più efficienti e con il perfezionamento delle tecniche di supporto terapeutico è stato possibile ampliare notevolmente le in­dicazioni cliniche al TMO e consentire l’accesso a questa metodologia di cura ad un sempre maggior numero di pazienti.

Le indicazioni principali al TMO sono elencate nella tabella. In particolare le malattie ematologiche che riconoscono nel TMO la migliore indicazione clinica so­no le leucemie, le aplasie midollarie, la thalassemia major e le immunodeficienze congenite.

Il  concetto fondamentale su cui è basata l’applicazione del TMO è la eliminazio­ne delle cellule staminali, che sono le cellule progenitrici degli elementi che circola­no nel nostro sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine), affette da patologie congenite o acquisite e la loro sostituzione con cellule staminali sane, provenienti da un donatore compatibile, capaci di proliferare e dare origine a nuove cellule sia del sistema ematopoietico che del sistema immunitario, completamente sane. In parti­colare in oncoematologia, la possibilità di disporre di una “riserva” di cellule stami­nali sane provenienti da un donatore compatibile, permette di impiegare la chemio­terapia e la radioterapia a dosaggi elevatissimi, considerati sopralaterali, capaci cioé di indurre una aplasia irreversibile (una vera e propria desertificazione del midollo osseo) e consentendo così di eliminare la quasi totalità delle cellule neoplastiche.

Perché il TMO sia realizzabile è necessario quindi poter disporre di cellule stami­nali sane che devono essere prelevate da un donatore compatibile. Ciò costituisce la prima fase del TMO, che riguarda appunto la scelta del donatore. Tale ricerca viene eseguita essenzialmente fra i fratelli del paziente ed è basata su una tipizzazione del sistema HLA di tutti i componenti della famiglia per gli antigeni di istocompatibili­tà HLA-A, Cw, B, DR e DQ. L’identità determinata serologicamente e con metodiche di biologia molecolare fra donatore e ricevente, dovrà quindi essere confortata da una cultura linfocitaria mista (MLC) negativa per la scelta definitiva. Tale esame consiste nel mettere a contatto i linfociti del donatore e del ricevente in vitro e verifi­care se le due popolazioni non diano segni di proliferazione, espressione di non per­fetta compatibilità.

Questa condizione di identità si verifica con una probabilità del 25% per i pa­zienti che hanno un solo fratello. Tenuto conto dell’attuale dimensione media delle famiglie, si può calcolare che solamente il 30% circa dei pazienti che hanno bisogno di TMO dispone di un donatore identico all’interno della famiglia e che purtroppo quindi, quasi il 70% dei pazienti non può essere trapiantato in quanto non trova un donatore identico nella propria famiglia il che molto spesso equivale ad una vera e propria condanna a morte.

L’unica possibilità per questi pazienti è rappresentata dal reperimento di un do­natore di midollo osseo HLA identico al di fuori della famiglia. Ma la probabilità statistica di trovare due individui HLA identici fra estranei è estremamente bassa.

Nella popolazione sarda, che ha un grado relativamente alto di omogeneità gene­tica, tale probabilità è inferiore a 1/15.000. Conseguentemente per trovare un dona­tore HLA identico fuori dalla famiglia bisognerebbe esaminare mediamente per ciascun paziente 15.000 individui. Ciò significa che se disponessimo di 15.000 in­dividui donatori di midollo osseo, potremmo coprire le esigenze della grande mag­gioranza dei pazienti sardi.

Una volta accertata con sicurezza l’identità fra donatore e ricevente inizia il con­dizionamento del paziente, con questo termine viene indicata la preparazione che-mio e/o radio-terapica che precede il TMO. I risultati che si devono ottenere con il condizionamento sono essenzialmente due: 1) l’immunosopressione del paziente per impedire il rigetto del trapianto, 2) l’eradicazione completa del midollo emato­poietico malato

Il condizionamento varia quindi a seconda delle patologie che si devono affronta­re, nelle leucemie è necessario riuscire a eradicare totalmente le cellule leucemiche che altrimenti inevitabilmente porterebbero ad una recidiva della malattia, nelle ane­mie aplastiche severe, essendo dei quadri patologici che riconoscono una base auto-immune si ricerca soprattutto l’effetto immunosopressivo mentre non si pone il pro­blema di eliminare cellule neoplastiche, nelle immunodefficienze congenite la im­munosopressione è meno rilevante, nelle thalassemie occorre tener conto che ci si trova di fronte ad un midollo con serie eritroide estremamente iperpiastica per cui èassai importante potenziare l’effetto eradicante per fare spazio alle nuove cellule staminali sane trapiantate.

Gli agenti farmacologici più comunemente impiegati nel condizionamento sono la Ciclofosfamide, per le sue proprietà immunosopressive e per la sua attività citossica e il Busulfano di cui viene sfruttata l’attività citotossica sulle cellule stamina­li e quindi il potere eradicante. L’irradiazione totale corporea viene impiegata so prattutto per il suo effetto antileucemico ed è quindi assai indicata nella preparazio­ne dei pazienti affetti da leucemie acute. L’irradiazione totale linfonodale viene in­vece utilizzata nei casi in cui è necessario ottenere il massimo effetto immunoso­pressivo come nella anemia aplastica severa in quanto questo tipo di patologia è le­gata ad una patogesi autoimmune.

Una volta concluso il condizionamento si procede al prelievo del midollo emato­poietico del donatore che contiene le cellule staminali totipotenti sane capaci di ri­generare quindi l’ematopoiesi e l’immunità. Il prelievo della sospensione ematomi­dollare viene eseguito in anestesia totale mediante una serie di ago-aspirati in corri­spondenza delle creste iliache posteriori. Ottenuta la cellularità desiderata, che viene calcolata in base al peso corporeo del ricevente, il midollo prelevato viene filtrato in sacche da trasfusione e quindi infuso per via endovenosa al paziente entro 4-6 ore.

Attualmente le cellule staminali possono essere prelevate direttamente dal sangue periferico mediante una procedura di cito-afaresi utilizzando dei separatori cellulari in grado di processare il sangue proveniente dal donatore e selezionare solamente le cellule staminali necessarie per garantire l’attecchimento del trapianto.

Le cellule staminali ematopoietiche del donatore sono in grado di indovarsi nel microambiente midollare del ricevente in microscopiche cavità di sviluppo e matu­razione denominate “nicchie”. Questo avviene attraverso un complesso processo di “Homing” o accasamento, alla cui base, grazie all’espressione di particolari moleco­le di adesione, vi è dapprima un intrappolamento selettivo delle cellule staminali a livello dei sinusoidi midollari e quindi il loro definitivo passaggio nelle nicchie ema­topoietiche attraverso le pareti (cellule endoteliali) dei sinusoidi. Una volta avvenuto l’attecchimento le cellule staminali daranno origine ad una nuova serie di cellule sa­ne capaci di provvedere a tutte le loro specifiche funzioni.

Perché vi sia una ricostituzione allogenica, e cioé una nuova ematopoiesi legata alla proliferazione delle cellule staminali del donatore, occorrono mediamente 15-20 giorni, per cui i pazienti sottoposti a TMO vanno incontro ad un prolungato periodo di aplasia. Durante tale periodo il paziente deve essere ricoverato in camera sterile e necessita di supporto trasfusionale di globuli rossi e piastrine, copertura an­tibiotica, antimicotica ed antivirale. L’attecchimento del nuovo midollo viene con­fermato mediante la ricerca di marcatori specifici del donatore (molecolari, citoge­netici ed immuno-ematologici).

Le principali complicanze che si possono manifestare nei pazienti trapiantati so­no il rigetto che attualmente, grazie alla messa a punto di schemi di condizionamen­to sempre più efficaci, interessa solo una piccola percentuale di casi, la recidiva leu­cemica, le infezioni e la malattia da trapianto verso l’ospite (graft versus host disease o GVHD). La frequenza delle recidive nella leucemia sottoposta a TMO varia a seconda del tipo di leucemia e con la loro fase di evoluzione, la loro incidenza è globalmente modesta se confrontata alla chemioterapia tradizionale.

Le infezioni hanno una incidenza assai elevata in corso di TMO, sono particolar­mente temibili le infezioni fungine e da citomegalovirus, attualmente l’incidenza globale di mortalità da infezioni in corso di trapianto si aggira intorno al 5-10%.

La GVHD costituisce attualmente il problema più grave in corso di TMO, la pos­siamo considerare il risultato di una reazione immunologica dovuta alle cellule immunocompetenti (linfociti T) del donatore contenute nel midollo trapiantato che aggrediscono strutture dell’ospite riconosciute antigenicamente diverse. Esistono due forme principali di GVHD, una acuta ad insorgenza precoce che interessa pre­valentemente cute, fegato ed intestino, ed una forma cronica, tardiva ad interessa­mento multisistemico. La GVHD ha globalmente un’incidenza tra il 40-50 %. Nelle sue forme più gravi può costituire un serio rischio per la sopravvivenza del paziente.

Molti farmaci sono stati impiegati nel tentativo di prevenire la GVHD, fra questi i più utilizzati sono la Ciclosporina A e il Metrotrexate, soprattutto la prima si è ri­velata particolarmente efficace nella prevenzione, anche se talvolta la sua utilizza­zione è limitata dalla tossicità che si può estrinsecare a carico di alcuni apparati (re­ne, sistema nervoso centrale).

Un’altro tipo di approcio per la prevenzione della GVHD è quello di rimuovere in vitro dal midollo del donatore, prima dell’infusione, i linfociti T responsabili della GVHD (T deplezione), a tale scopo sono stati adottati vari sistemi fra cui il più usa­to consiste nel mettere a contatto la sospensione ematomidollare con anticorpi mo­noclonali rivolti verso i linfociti T. Con questa tecnica si hanno significative riduzioni della incidenza di GVHD, occorre però segnalare che al T deplezione, soprattutto se completa, comporta un aumento delle recidive leucemiche e dei casi di rigetto.

Esistono purtroppo ancora molti limiti al trapianto di midollo osseo. Il primo ècome abbiamo visto quello della difficoltà di reperire un donatore HLA identico.

Fortunatamente questo problema con la creazione di Registri di donatori volonta­ri si avvia verso una possibile soluzione. Il Italia esiste un Registro di donatori vo­lontari (IBMDR) che conta attualmente più di 250.000 donatori a cui afferisce il Registro Regionale Sardo con i suoi 16.500 donatori. Finora in Italia sono stati trapian­tati 400 pazienti con donazioni provenienti da donatori volontari, di cui 14 con do­natori iscritti al Registro Regionale Sardo. 116.500 donatori volontari del Registro Sardo sono stati reclutati grazie all’azione promozionale dell’Associazione Donatori di Midollo Osseo Sarda(ADMO) che, con una incessante opera di sensibilizzazione e divulgazione estesa su tutto il territorio, ha consentito di raggiungere questo im­portante risultato.

Un’altra possibilità per evitare le difficoltà connesse al reperimento di un donatore compatibile può consistere nella utilizzazione del midollo dello stesso paziente (trapianto di midollo osseo autologo), questo tipo di trapianto è utilizzato attualmen­te nelle leucemie e nei linfomi e prevede diversi approcci metodologici (chemiotera­pici, immunologici) per ottenere la distruzione delle cellule tumorali in vitro, l’effi­cacia di questi metodi è però di difficile valutazione, resta comunque il fatto che le recidive leucemiche nel trapianto di midollo osseo autologo sono ancora assai fre­quenti.

Un altro importante limite al TMO è quello dell’età, solo pazienti al di sotto dei 55 anni vengono considerati idonei al trapianto, ciò è dovuto ad una scarsa tolleran­za al condizionamento chemio e/o radio-terapico nel paziente anziano.

Nei prossimi anni, con l’ulteriore messa a punto dei sistemi di raccolta di cellule staminali dal sangue periferico o dai cordoni ombelicali, con l’utilizzazione di nuo­vi farmaci immunosopressori e immunomodulanti, con l’introduzione su larga scala dei fattori di crescita per le cellule staminali e con il perfezionamento delle tecniche di T deplezione possiamo attenderci una estensione di questa procedura terapeutica sia ad un numero sempre maggiore di pazienti che a una più vasta gamma di patologie.

TABELLA

Principali indicazioni al trapianto di midollo osseo allogenico

 

Leucosi:

-  leucemia acuta linfoblastica

-  leucemia acuta mieloblastica

-  leucemia mieloide cronica

-  hairy celle leukemia

-  mieloma multiplo

Emoglobinopatie:

-  thalassemia maior

-  drepanocitosi

 

Insufficienze midollari:

-  aplasia midollare globale severa

-  anemia di Fanconi

Immunodeficienze congenite:

-  immunodeficienza grave (SCID)

-  sindrome di Wiskott Aldrich

Deficit enzimatici:

-  mucopolisaccaridosi

-   lipidosi

Dott. Giorgio La Nasa

Università degli Studi di Cagliari

Cattedra di Genetica Medica

Centro Trapianti Midollo Osseo

Ospedale Binaghi Cagliari