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TORPE’

NELLA CARTOGRAFIA DI CARLO DE CANDIA NEL SEC. XIX

INDICE

- INTRODUZIONE

- INQUADRAMENTO GEOGRAFICO

CAPITOLO PRIMO

Carlo De Candia e la cartografia geodetica della Sardegna

CAPITOLO SECONDO

L’evoluzione cartografica del Regno di Sardegna nella prima metà dell’800

2.1 - LA SITUAZIONE CARTOGRAFICA DELL’ISOLA DI SARDEGNA

2.2 - LA CARTOGRAFIA GEODETICA

CAPITOLO TERZO

Il rilevamento geodetico del Comune di Torpè

3.2 - L’IDROGRAFIA

3.3 - LOCALITA’ URBANE E RURALI

3.4 - LUOGHI DI CULTO: CHIESE CAMPESTRI

3.5 - NURAGHI

3.6 - L’OROGRAFIA

3.7 - PALUDI

3.8 – SORGENTI

CAPITOLO QUARTO

Toponimi

CONCLUSIONI

 

 

 

 

 

 

INTRODUZIONE

INDICE - TORPENET

La vita e l’operato di Carlo De Candia si svolgono in un periodo particolarmente significativo per quanto riguarda la tecnica e le applicazioni cartografiche1.

La Carta dell’Isola di Sardegna (1835/1838) di Alberto Ferrero Della Marmora, cui collaborò il maggiore De Candia, e l’Atlante dell’Isola di Sardegna (1840/1859), elaborato secondo il metodo matematico della scala titonica dal De Candia, segnano la fine della cartografia empirica e danno inizio alla cartografia geodetica, basata su una precisa triangolazione2.

Non si giunge ad un livello di perfezione come quello dei rilievi aerofotogrammetrici contemporanei, ma la rappresentazione di cui con la carta in scala 1:250.000 i sardi potevano disporre in quel momento per la loro Isola era ormai fedele, così come i confini dei Comuni e la minuziosa descrizione del territorio3.

La scelta dell’argomento di questa ricerca nasce dal desiderio di voler approfondire le conoscenze relative all’ambiente in cui si vive e si opera, collegandole a fonti cartografiche e storiografiche del XIX e XX secolo, volendo fornire un’interpretazione il più possibile "organica", sia in ambito temporale, sia in ambito territoriale.

Il fine che mi sono proposto, dopo una prima ricognizione presso gli Archivi di Stato di Cagliari e Nuoro, è stato quello di esaminare a fondo la cartografia geodetica di Carlo De Candia, con particolare riferimento al Comune di Torpè, rilevarne le caratteristiche geografiche ed antropologiche ed evidenziarne le evoluzioni che ha subito l’intero territorio del Comune di Torpè nell’arco di ben 150 anni.

Nel presente lavoro sono state utilizzate:

- le Carte dello Stato Sardo-Piemontese (Antico Catasto 1840/1859) scala 1:50.000;

- le Carte I.G.M. del 1897/98 scala 1:25.000;

- la Carta Archeologica del Taramelli (1901) scala 1:100.000;

- le Carte I.G.M. del 1959/62 scala 1:25.000.

Inoltre ci si è avvalsi di una apprezzabile documentazione d’archivio che, con una ricerca parallela sul campo, ha consentito di conoscere la realtà territoriale del Comune di Torpè nel periodo di rilevamento effettuato dal De Candia, stabilendo un rapporto diacronico con la toponomastica riportata nella cartografia a carattere geografico, cercando di rilevare anche le differenze apportate oggi dalla pronuncia popolare contemporanea.

Si è voluto, infine, rilevare ed evidenziare la corretta denominazione di alcuni toponimi in uso già nel 1848 nel rilevamento di Carlo De Candia e nella cartografia successiva, sottolineando, sempre dal punto di vista geografico, eventuali difformità, come si può desumere dalle tabelle elaborate secondo una ripartizione tematica che ne agevola l’individuazione:

1. Idrografia

2. Località urbane e rurali

3. Luoghi di culto: chiese campestri

4. Nuraghi

5. Orografia

6. Paludi

7. Sorgenti

 

 

INQUADRAMENTO GEOGRAFICO

INDICE - TORPENET

 

Il territorio in esame è compreso nelle tavolette della carta d’Italia (scala 1:25000) edite dall’Istituto Geografico Militare nel 1962: F n° 182 III S.O. (Cuzzola), F. n° 182 III S.E. (Budoni), F. n° 195 IV N.O. (Lodè), F. n° 195 IV N.E. (Torpè).

Il Comune di Torpè, situato sulla costa nord-orientale della Sardegna, in provincia di Nuoro, ha 92,30 kmq di superficie territoriale e confina con i Comuni di San Teodoro e Buddusò1 a Nord, con quelli di Budoni e Posada a Est, con quello di Lodè ad Ovest, e con quello di Siniscola a Sud.

Articolato in numerose frazioni intensamente antropizzate, a Nord, il territorio è costituito da una striscia impervia di rilievi che rappresentano le propaggini del Monte Nieddu e raggiungono gli 868 metri d’altezza con la punta di Turrigas nella regione detta Usinavà all’interno del demanio forestale.

Da questi rilievi si gode un panorama immenso e suggestivo, soprattutto verso il mare, dove si può ammirare il promontorio calcareo di Capo Figari e tutto il Golfo di Olbia e le Isole di Tavolara, Molara e Molarotto, mentre se si guarda a Sud il panorama si apre sul Golfo di Orosei e la lunga catena calcarea del supramonte di Dorgali.

Questi rilievi, formati essenzialmente da rocce appartenenti al complesso metamorfico magmatico, costituiscono la grande scarpata settentrionale del fiume Posada, e degradano a Sud nelle regioni Sant’Andrea e San Giacomo, destinate soprattutto al pascolo.

Sempre a Nord, provenendo dalla SS. 125 da Budoni ci si immette sulla provinciale n° 24 e dopo 5 km si giunge alla popolosa frazione di Brunella. A poca distanza da questa località, sul versante orientale dell’altipiano di San Nicola, si può ammirare quel che resta dei boschi che un tempo ricoprivano l’intera zona.

Proseguendo sulla provinciale n° 24 si trova l’abitato della frazione di Talavà: uno svincolo a Nord immette nella strada che porta alle altre frazioni di Su Cossu e Sos Rios, mentre scendendo a Sud si giunge, invece, alla regione di origine alluvionale di Castala solcata dal basso corso del fiume Posada.

Lungo il percorso della provinciale n° 24 dopo Luchillai la strada forma uno svincolo, ove proseguendo in direzione Ovest porta ad Alà dei Sardi, attraversando prima la frazione di Concas, mentre proseguendo a Sud verso Torpè si trovano le aree demaniali di Sa Dea - Su Lidone, con estesi e ben consolidati rimboschimenti di pini, che giungono con effetto "nordico" fino alle acque del lago Posada.

Quest’ultimo è molto suggestivo, sia per le ramificazioni simili a piccoli fiordi, sia per il paesaggio circostante che rileva un alternarsi di colline boscate e campi arati, sia infine per il livello di riempimento estremamente costante, aspetto che conferisce un notevole fascino paesaggistico a tutta la zona.

Proseguendo verso Est per Torpè, alle pendici della collina di Muselis, si trova una cava abbandonata di fluorite, e subito dopo si arriva ad Adu Entu, dove possono ravvisarsi due distinti aspetti morfologici: la piana costiera che si estende oltre gli abitati di Torpè e Posada, fino al mare, ed i rilievi che degradano verso la pianura stessa.

Il centro abitato di Torpè giace su un terreno di formazione marina originario del pliocene inferiore, mentre alle sue spalle si sviluppano formazioni montuose (Monte Nurres m. 497), in parte di origine calcarea ed in parte di origine scistosa, che si collegano alla catena calcarea del Monte Albo risalente al Giurassico.

A Nord di Torpè, oltre la piana, si ergono le colline di Cuccuru ‘e Luna, Monte Nizzu e Monte Pedra Ruia formata da scisti metamorfici.

Alle pendici del Monte Nizzu, non lontano dalla Fontana Agrustos, è presente una miniera di rame.

La piana di Torpè, di natura alluvionale, solcata dal corso del fiume Posada, fu in passato malarica e poi bonificata e destinata alla coltivazione di leguminose, di granelle ed ortive, ed in parte alla coltivazione degli agrumi.

 

CAPITOLO PRIMO

INDICE - TORPENET

Carlo De Candia e la cartografia geodetica della Sardegna

Carlo De Candia nacque a Cagliari il 28 Dicembre del 1803 da una nobile famiglia di origine napoletana2 .

La passione per l’arte militare lo spinse fin da giovane ad intraprendere quella carriera raggiungendo ottimi risultati.

Da Cagliari si trasferì a Torino e frequentò l’Accademia militare e divenuto ormai capitano del Corpo di Stato Maggiore, fu inviato nell’isola dal Governo Sardo Piemontese per lavorare a fianco del generale A. Della Marmora, per la costruzione della prima carta dell’isola3.

Infatti nessuna carta, fino ai primi del secolo XIX, riproduceva con esattezza l’isola di Sardegna.

La dominazione catalano - aragonese con l’imposizione del regime feudale aveva letteralmente dissanguato le popolazioni ed è comprensibile il senso di delusione dei sopravvenuti piemontesi, (dopo il trattato di Londra 1720) di fronte ad una terra sfinita da secoli di desolante arretratezza non solo economica.

Tuttavia il loro intento fu quello di assimilarla al Piemonte, considerando le differenze esistenti in vista di una futura e quanto più rapida omologazione sopperendo alla mancanza di una vera carta.

Mancanza da cui derivò già nel 1807 una forte penalizzazione in occasione della ripartizione del donativo straordinario di 25 mila scudi offerto alla regina Maria Teresa, per cui si cercò di riparare istituendo un Ufficio Generale di Perequazione, destinato a procedere all’estimazione ed alla misura dei terreni nelle città e negli agri5.

I lavori per la costruzione della carta dell’Isola di Sardegna si svolsero dal 1834 al 1838.

La tecnica di produzione cartografica adottata dal generale A. Della Marmora e dal capitano del Corpo di Stato Maggiore C. De Candia segna nel settore il passaggio ad una nuova era6.

Il Della Marmora si occupò della misurazione delle basi geodetiche e della triangolazione di 1° grado nonché del collegamento della triangolazione della Sardegna a quella della Corsica.

Il De Candia invece si occupava di stabilire la triangolazione di 2° grado effettuando tutti i lavori di calcolo7.

Nel biennio 1838-1839 furono attuati, per volere del Re, nuovi interventi che miravano alla diffusione della proprietà perfetta riformando la proprietà agraria, sciogliendo quindi tutti quei vincoli da cui era condizionata la proprietà feudale.

Infatti venne emanata la Carta Reale, e già nel 1839 vennero inoltrate le prime domande di divisione di terreni comunali8.

Le cose procedettero abbastanza rapidamente, sicché nel marzo del 1842 risultavano non ancora riscattati solo le Baronie di Posada (con i suoi annessi villaggi di Torpè, Lodè e Siniscola) e di Senes ed il Marchesato di Orani e Gallura9.

Avviato il processo di trasformazione inerente al Regolamento della Carta Reale, nel 1840 il Governo Sabaudo incaricò il De Candia dello svolgimento di nuovi lavori geodetici in Sardegna con lo scopo di costruire una carta a grande scala, tracciando i confini di tutti i Comuni dell’Isola per la formazione di un Catasto particellare.

Le operazioni vennero condotte in base ad una serie di istruzioni, redatte dallo stesso De Candia ed approvate col Brevetto Reale del 28 aprile 184011.

La delimitazione dei confini era contenuta principalmente negli articoli 2, 3 e 4.

L’articolo n° 2 stabiliva che si dovevano "fissare su piani e mappe i contorni o perimetri dei territori di ciascun Comune e quelli dei terreni demaniali e comunali compresi nei medesimi territori. Di dedurre e stabilire le rispettive estensioni superficiarie di questi stessi territori e terreni. Di dedurre e stabilire su queste risultanze anche l’ammontare della massa superficiaria dei terreni di proprietà privata".

L’articolo 3° stabiliva che "nell’eseguimento di queste operazioni saranno pure rilevate le periferie, le aree della foresta e dei boschi sia cedui, che d’alto fusto, come pure quelle dei laghi e stagni, delle paludi e maremme e degli altri simili terreni non suscettibili di coltivazione".

Le operazioni di questo lavoro furono ostacolate a lungo soprattutto per il problema della definizione della proprietà della terra o meglio degli Ademprivi12.

Infatti sorsero parecchie controversie tra Comuni e privati, tra Comuni limitrofi oppure tra Comuni e demani, nonché tra il fisco e gli eredi di Donna Marianna Nin Zatrillas Duchessa di Sottomayor nonchè Baronessa di Posada e dei territori del Feudo omonimo.

In realtà si stava procedendo sulla strada dell’abolizione del regime feudale e quindi il regno sabaudo avviava le procedure per la liquidazione degli stessi feudi.

L’abolizione del feudalesimo nella Baronia di Posada con i suoi annessi territori di Lodè, Siniscola e Torpè arrivò per decreto regio il 25 luglio 1864.

Con la piena partecipazione del luogotenente Coda, ingegnere topografo del Corpo di Stato Maggiore, e con la collaborazione di squadre dirette da altri ingegneri sardi, vennero eseguiti i lavori di delimitazione. Inoltre veniva redatto per ciascun Comune in presenza di R. Delegati nei Consigli Comunali, un processo Verbale14 contenente la descrizione dei punti "numerati progressivamente secondo la descrizione del moto orario" fissi al suolo od appositamente innalzati là dove il confine era stato fatto passare15.

Alla fine di questi lavori si arrivò alla costruzione di una carta topografica dell’Isola alla scala 1:50.000 in 49 fogli, i lavori della quale, interrotti nel 1856 per la guerra di Crimea, furono condotti a termine soltanto nel 185916.

Le tavolette posteriormente completate vennero stampate col titolo Atlante dell’Isola di Sardegna (ritenuto per anni anonimo ma da attribuirsi certamente al De Candia) e costituirono la carta topografica dell’isola fino agli inizi del XX secolo, quando l’Istituto Geografico Militare iniziò la sua attività in Sardegna17.

Il De Candia ci riferisce che nell’Atlante dell’Isola di Sardegna, oltre a un quadro d’unione, erano stati redatti anche una carta d’insieme al 500.000 ed un indice. Ognuna delle tavolette fu disegnata a mano e con una simbologia molto accurata e "colorata" vennero rappresentati i punti trigonometrici, i perimetri dei terreni comunali, demaniali e privati, le strade principali, i centri abitati, i rilievi, i principali corsi d’acqua e le paludi.

CAPITOLO SECONDO

INDICE - TORPENET

L’evoluzione cartografica del Regno di Sardegna nella prima metà dell’800

Le vicende che hanno contribuito a rendere la Sardegna un modello di povertà e arretratezza sono certamente risapute.

Per lungo tempo l’Isola ha dovuto fare i conti con la dominazione di nuovi popoli arrivati dal mare che la utilizzarono come un vero e proprio "oggetto economico".

La Sardegna ha dovuto fare i conti anche con una scarsa tradizione marinara, con l’isolamento dovuto alle condizioni naturali fisico - climatiche, nonché con il banditismo20.

Ciò spiega perché l’immagine grafica della Sardegna non potesse non riflettere lo scarso interesse che quest’Isola, ai margini dell’Europa, inserita a mala pena in un’economia monetaria e caratterizzata dall’immobilismo e dalla conservazione delle strutture, suscitava presso il mondo dei "dotti" nell’Età Moderna21.

Nel Regno di Sardegna il gusto per la topografia si era affermato già nella metà del 1600 specialmente per opera dello Stato Maggiore Piemontese.

Il corpo della "Topografia Reale", una dipendenza dello Stato Maggiore esistente sin dal 1655, accudiva a tali lavori col proprio personale di ufficiali, di ingegneri, di disegnatori. Frutto della loro operosità è la collezione ingentissima di carte e di piani manoscritti che si conservano ancora, almeno in parte, negli archivi dell’Istituto Geografico Militare che ne raccolse l’eredità e si onora di serbarne le tradizioni22.

L’attenzione di suddetti lavori fu, però, indirizzata soprattutto alle Provincie denominate di "Terraferma" o meglio extra isolane, sia per motivi politici, sia per motivi militari.

Sin dal 1680 il Piemonte possedeva una rappresentazione cartografica generale a grande scala del suo territorio: Carta di Madama Reale dell’Ingegnere G. T. Borgonio23.

Per quanto tale carta mancasse del fondamento di un’osservazione astronomica o misura geodetica, essa si mostrava ricca di indicazioni dei centri abitati, delle vie di comunicazione, dei corsi d’acqua e dell’orografia. Un posto notevole nella cartografia moderna24 in Piemonte occupa quella eseguita da Padre Ruggero Boscovich25, cui seguì nel 1760-1764 il rilevamento del Padre G. B. Beccaria26.

Nel 1788 iniziarono i lavori di triangolazione in vista della costruzione di una Carta Generale del Piemonte, carta che non fu mai completata e resa nota.

Dopo la Rivoluzione Francese, il Regno Sardo-Piemontese passò sotto la dominazione francese e soltanto nel 1814 ritornava sotto la sovranità della casa di Savoia che prontamente recuperò tutto il materiale topografico che nel 1798 era stato trasportato a Parigi.

Il 12 Novembre del 1814 con un decreto Reale fu rifondato, con denominazione poi variata, il "Real Corpo dello Stato Maggiore Generale" che col regolamento del 26 giugno 1816, in tempo di pace, doveva svolgere lavori di carattere topografico. Lo Stato Maggiore così riordinato intese subito provvedere alla costruzione di una carta topografica del territorio dello Stato, che soddisfacesse ad un tempo alle accresciute esigenze militari, amministrative ed economiche e rispondesse alla scienza ed all’arte topografica, tanto notevolmente progredite27.

Si ebbe così una "Carta Topografica degli Stati di Terraferma di S. M. il Re di Sardegna", alla scala di 1:50.000 che, cominciata nell’anno 1816 e terminata nel 1830, non fu mai pubblicata. La Carta consta di 113 fogli che si conservano tuttora negli archivi dell’Istituto Geografico Militare28.

A questa carta mancava però il fondamento geodetico ed essendo imprecisa non poteva essere inquadrata in un preciso reticolato geografico. Solo nel 1841 poté venire alla luce in sei grandi fogli la Carta degli Stati Sardi in Terraferma alla scala 1:250.00029, ottenuta con la riduzione di un quinto del disegno originale in scala 1:50.000.

All’inizio si era pensato di formare un atlante topografico alla scala di 1:50.000, alla quale il disegno si trovava già eseguito; in seguito, per facilitarne l’uso al pubblico, fu attuata tale riduzione.

2.1 - LA SITUAZIONE CARTOGRAFICA DELL’ISOLA DI SARDEGNA

INDICE - TORPENET

 

Secondo A. Mattone, le carte geografiche rappresentanti l’Isola di Sardegna possono essere divise in due gruppi ben distinti: il primo gruppo comprende quelle carte disegnate in base alla raccolta diretta delle informazioni, seguite da una verifica "sul campo" dei dati territoriali30.

Appartengono a questo primo gruppo tutte quelle carte disegnate da geografi che raccolsero dati ed informazioni nell’Isola come Rocco Cappellino31, l’anonima carta spagnola del 1639 circa32, l’anonima carta francese disegnata a mano e dipinta poi a colori con tempere (cm. 97 x 218) del 168233, la carta settecentesca denominata degli ingegneri piemontesi del Settecento34, la carta di Tommaso Napoli35, le varie carte di A. F. Della Marmora, Carlo De Candia, ed infine quella del britannico William Henry Smyth36, capitano della Regia Marina Inglese.

Al secondo gruppo appartengono quelle carte sviluppate secondo informazioni indirette di diversa provenienza, da fonti dell’età classica e rilevamenti di seconda mano; esse sono: Le Carte del Mercatore37, del Magini38, del Coronelli39, del Cluverio40 e del D’Anville41.

Anche la carta elaborata da Sigismondo Arquer rientra in questo gruppo, essendo frutto di un lavoro a tavolino42.

Tutte queste carte, assai imprecise e povere di contenuto, fanno da specchio alla generale situazione di arretratezza in cui versava l’Isola fino ai primi dell’800, spoglia di quelle condizioni innovative che in altri luoghi, grazie a tecnologie moderne ed efficienti avevano sviluppato il processo di rinnovamento degli studi geo - cartografici e risolto il problema generale del tipo di proiezione.

Tuttavia, in Sardegna si arrivò ad una fase di transizione, quando il Della Marmora, utilizzando e correggendo la carta di Tommaso Napoli, risolse la questione cartografica con competenza e strumenti più idonei43.

 

2.2 - LA CARTOGRAFIA GEODETICA

INDICE - TORPENET

 

Si deve all’iniziativa di un privato studioso se anche la Sardegna poté avere una buona rappresentazione cartografica, frutto della sua opera intelligente ed attiva: il generale A. F. Della Marmora, il cui nome è indissolubilmente legato all’illustrazione scientifica dell’Isola.

Il Conte A. F. Della Marmora (1789-1863) ufficiale dell’esercito piemontese, formatosi alla Scuola di Applicazione di Parigi, si specializzò nel campo della geodesia e della topografia44. Recatosi in Sardegna nel 1825 si dedicò allo studio della geografia, della storia e dei costumi dell’Isola. Raccolti sufficienti elementi per formarne una carta geologica, pensò di servirsi della Carta Generale del Padre Tommaso Napoli, che costituiva la migliore rappresentazione esistente dell’Isola45.

Subito dopo il Della Marmora, da una ricognizione sui luoghi da lui compiuta, si rese conto che la Carta non corrispondeva affatto al terreno e così preferì costruirne una nuova, appoggiata ad una regolare triangolazione.

La Carta del Padre Napoli non poteva rappresentare alcun carattere di precisione. Gli strumenti utilizzati per la composizione si riducevano ad una bussola comune e ad un cerchio di legno da lui stesso graduato sul quale, mediante un tubo grossolano di cartone, prendeva le direzioni e misurava gli angoli.

Le distanze erano computate ad ore di marcia ed inoltre, nota il Della Marmora, "sembra che il Padre Napoli dovesse avere una vista difettosa, tanto da prendere per campanili di villaggi degli alberi o degli uomini a cavallo".

Tra gli anni 1826 e 1834 il Della Marmora, eseguì dapprima parziali rilevamenti appoggiandoli ad operazioni trigonometriche. Accortosi, però, che con questo tipo di lavoro non avrebbe raggiunto lo scopo prefissato, decise di estendere su tutta l’Isola una triangolazione fondamentale, che sarebbe servita di orditura alla carta da costruire.

Per eseguire queste operazioni ottenne dal R. Governo il consenso di avvalersi della collaborazione del Maggiore Carlo De Candia ed insieme intrapresero i lavori.

Innanzi tutto essi misurarono due basi, una nella pianura oristanese della lunghezza di m. 2.603,43 e l’altra di verifica di soli m. 521,43 nel giardino pubblico di Cagliari.

Una terza base avrebbero voluto misurarla nella parte nord dell’Isola, in modo da garantire la rete trigonometrica che vi sarebbe estesa, ma impediti dall’inoltrata stagione pensarono di limitare la verifica al confronto con un lato della triangolazione francese della Corsica, alla quale d’altronde era necessario collegarsi, per derivarne le coordinate geografiche e l’azimut.

Le osservazioni angolari ai vertici della rete principale furono eseguite personalmente dal Della Marmora, con l’uso di un teodolite ripetitore di Reichenbach, di 10 pollici di diametro e capace dell’approssimazione di 10"; quelle di una rete secondaria dal De Candia, con un teodolite di dimensioni minori.

Il De Candia, inoltre, si occupò dell’esecuzione dei calcoli, seguendo in tutto le norme e i modelli in uso presso lo Stato Maggiore. Il rilevamento sul terreno fu iniziato nel 1835 e terminato nel 1838.

Per calcolare le coordinate, che vennero riferite tutte alla Torre di San Pancrazio a Cagliari, fu preso come punto di partenza la Stazione Astronomica di Capo Pertusato a Bonifacio, eseguite dai francesi che ne fissarono la latitudine in 41°23’70" e la longitudine in 6°48’28", 43 ad est di Parigi. Come ellissoide di riferimento fu adottato quello di Delambre, come già per la triangolazione degli Stati di Terraferma.

Le coordinate della Torre di San Pancrazio, dedotte geodeticamente dalla provenienza anzidetta, non si accordavano soprattutto per quanto riguarda la longitudine con quelle che aveva ottenuto il Capitano Smith dell’Ammiragliato britannico, per il rilevamento idrografico della costa sarda da lui compiuto46.

Il Della Marmora si attenne a quello da lui ricavato, in attesa che si capissero nuove e più sicure determinazioni.

La rete trigonometrica così stesa e determinata avrebbe dovuto servire di appoggio alla costruzione della carta. Ritenendo impossibile per sole due persone eseguire in pochi anni, col sistema della tavoletta, il rilevamento di tutta la Sardegna, compresa in 24.089 kmq., si pensò di adottare un procedimento più rapido e sicuro, che avrebbe permesso di darne con celerità una rappresentazione a piccola scala. Il sistema consisteva nel ritrarre da ciascuna stazione geodetica, dal teodolite, il giro d’orizzonte panoramico47. L’insieme di tali panorami, disegnati con molta accuratezza, avrebbe fornito, con le intersezioni delle visuali ai singoli punti individuati, il modo di fissarne e controllarne la relativa posizione, mentre i disegni panoramici avrebbero dato il modo di raffigurare il terreno, con evidente espressione.

Successivamente, per dare alla rappresentazione morfologica una base altimetrica sicura, sarebbe stato necessario associare alle misure azimutali anche quelle zenitali; ma un guasto avvenuto nei primi giorni al cerchio del teodolite impedì di mandare ad effetto questo disegno.

Così il Della Marmora dovette limitarsi ad eseguire solo un certo numero di determinazioni barometriche, con un barometro a mercurio. Queste non poterono essere neppure così numerose "per la frequente rottura dei suoi barometri e per l’impossibilità in cui si trovava di riprovvedersene".

Tuttavia poté formare un elenco che comprendeva 224 quote altimetriche, riferite a centri abitati o a sommità di alture.

La Carta, costruita con tali elementi, venne così disegnata alla scala di 1:250.000, adottata già per la Carta degli Stati di Terraferma, applicando altresì il medesimo sistema di proiezione e di rappresentazione dell’orografia; e inoltre fu corredata di numerose quote batimetriche, desunte dai rilievi idrografici inglesi e francesi.

L’incisione su rame fu eseguita da provetti artisti francesi, i quali ne intrapresero il lavoro nel 1838 e lo condussero a compimento in sette anni, onde nel frattempo poterono essere utilizzate, per la sua redazione definitiva, le nuove levate topografiche, che nel 1840 aveva iniziato lo Stato Maggiore. La carta di cui venne dotata la Sardegna riuscì di necessario completamento a quella degli Stati di Terraferma, che il Governo aveva allestito48.

Sia per la fedeltà della sua rappresentazione geometrica, che per l’espressione evidente del terreno, la carta nulla ha perduto ancor oggi del suo inestimabile valore e rimarrà sempre monumento degnissimo dell’opera di un uomo a cui, come si espresse lo Schiapparelli, mancò solo un più vasto campo d’azione per emulare la gloria di G. Humboldt49.

I rilievi topografici, iniziati nel 1840 sotto la direzione del Maggiore De Candia, coadiuvato dal Tenente Coda, furono eseguiti con la tavoletta pretoriana a scopo catastale, da geometri sardi alla scala di 1:50.000, appoggiandosi alla triangolazione del Della Marmora. I lavori vennero condotti a termine nel 185950.

Tuttavia dopo il 1860 altre idee prevalsero sul campo della topografia, onde, ritenendo insufficienti al bisogno delle carte aventi un fondo geometrico per la sola planimetria, la pubblicazione prima proposta non avvenne e la Sardegna fu poi rilevata ex novo con i nuovi sistemi.

Con l’opera del Della Marmora si chiude un capitolo della storia della cartografia della Sardegna, caratterizzato da una interpretazione soggettiva e spesso letteraria dello spazio e si apre il periodo di una produzione di carte sempre più precise ed esatte.51

 

 

CAPITOLO TERZO

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Il rilevamento geodetico del Comune di Torpe’

 

3.1 - GENERALITA’

Le mappe del Real Corpo di Stato Maggiore relative al Comune di Torpè vennero rilevate da Carlo De Candia nel 1848, con la collaborazione di squadre di ingegneri, geometri e disegnatori sardi.

Esse si trovano, in duplice copia, presso l’Archivio di Stato di Cagliari e comprendono:

n° 1 Foglio d’Unione alla scala 1:25.000;

n° 17 Tavolette alla 1:5.000.

Le carte si presentano molto invecchiate e ingiallite, e talvolta poco leggibili. Queste carte policrome sono lunghe circa cm. 70 e larghe cm. 50.

La simbologia adottata è molto semplice e particolare in quanto eseguita a mano. La rappresentazione dei corsi d’acqua venne fatta in azzurro acquerellato:

corsi d’acqua

confini comunali

fabbricati

luoghi di culto

sorgenti

nuraghi

paludi

punti trigonometrici

strade vicinali

Nel foglio di unione le 17 tavolette vengono rappresentate ciascuna con un numero; inoltre possono rilevarsi i confini e la divisione in "comunale, demaniale e privato", il centro abitato di Torpè, le strade vicinali, i corsi d’acqua principali nonché la dicitura: "Coltivi o incolti".

Il centro abitato di Torpè è rappresentato nella tavoletta n° 15, mentre il corso del rio Posada è rappresentato in ben 7 tavolette: 9, 10, 11, 12, 13, 14 e 15.

Le 17 tavolette indicano la delimitazione del territorio preso in esame con i vari Comuni limitrofi:

Tav. 1 confine col territorio del Salto di Gios52

" 2 " col Salto di Gios e con il Comune di Posada

" 3 " col Comune di Posada

" 4 " col Salto di Gios e col Comune di Lode’

" 7 " col Comune di Posada

" 8 " " " Lodè

" 11 " " " Posada

" 12 " " " Lodè

" 13 " " " Lodè

" 15 " " " Posada

" 16 " " " Lodè e Siniscola

" 17 " " " Siniscola

Quindi i confini rappresentati risultano essere i seguenti: a nord-ovest con il territorio del Comune di Buddusò (Salto di Gios), a nord-est con il Comune di Posada, a sud-ovest con il Comune di Lodè, a sud con quello di Siniscola.

3.2 - L’IDROGRAFIA

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Per quanto alcuni corsi d’acqua si siano costituiti fin dall’era paleozoica, il tracciato attuale della maggior parte dei fiumi sardi e dei loro principali affluenti ha origine tettonica recente.

La maggior parte dei solchi vallivi non sono stati scavati dai fiumi, ma rappresentano zone depresse per effetto di dislocazioni che hanno raccolto e convogliato le acque dai monti e dagli altopiani ai quattro fronti marittimi53.

A est, il rio Posada a monte del suo gomito ha inciso dei meandri vertiginosi nell’altopiano granitico di Bitti54.

Nella costa orientale sarda, oltre al Flumendosa ed al Cedrino, il Posada rappresenta una delle unità idrografiche più importanti. Come i due fiumi sopra citati e altri maggiori, tra cui il Tirso ed il Coghinas, il Posada ha una portata d’acqua assai notevole, essendo alimentato da vigorose sorgenti.

Anche i sedimenti sono piuttosto potenti: infatti è noto che in occasione delle piogge stagionali il corso d’acqua straripava con frequenza inondando tutta la piana e i campi limitrofi, lambendo talvolta le case periferiche dell’abitato torpeino.

In occasione di una di queste alluvioni, nel 1832, il fiume modificò il suo corso scavando a sei km. dalla costa un braccio di piena verso il Rio di Santa Caterina (in agro di Posada), un breve rio quest’ultimo, che defluisce parallelo al tratto terminale del fiume di Posada.

Il problema delle inondazioni fu definitivamente risolto intorno agli anni 1958-60, con il completamento dei lavori per la costruzione di uno sbarramento artificiale presso le località Maccherronis e Preda Jana, ad opera del Consorzio di Bonifica della Sardegna Centrale.

Questa diga, tracimabile, lunga 212 m. ed alta nel punto massimo 55,50 m. permette una capacità di invaso di ca. 28 milioni di metri cubi d’acqua

Molti altri fiumi sardi hanno, invece, un regime assai irregolare e buona parte di essi rimangono all’asciutto, soprattutto durante i mesi estivo - autunnali.

I nomi dei corsi d’acqua sardi, a differenza di quelli dell’intera penisola, variano non avendo un nome stabile dalle sorgenti alla foce. Il nome muta a seconda della denominazione dei centri abitati, prendendolo a prestito, come è il caso del rio Posada, o dal suo stesso colore, forma e grandezza, oppure da monti, dalla vegetazione o da animali.

In Sardegna il termine più usato è Riu Mannu (rio grande): infatti, Benito Spano ha contato non meno di 36 Riu Mannu compresi i due Flumini Mannu che scorrono nei Campidani, uno verso sud e l’altro verso nord55. Tra questi, anche il maggior affluente del fiume Posada, il Rio Mannu di Bitti.

Molti nomi denominano Santi o sorgenti come acqua "abba frisca o caente" per la temperatura; "abba luzziga o groga" per la trasparenza; "abba ona, mala, durche o salida" per la potabilità.

Il termine "trainu o traighinu" è usato per indicare i torrenti. Questi corsi d’acqua presentano un regime stagionale tardo autunno-invernale, rimanendo buona parte dell’anno in regime di secca.

Osservando le tavolette, i corsi d’acqua rilevati dal De Candia sono:

- Il fiume Posada, chiamato dal De Candia "Rio di Posada"; esso nasce dai rilievi di Punta Senalonga (m. 1076) in territorio di Alà dei Sardi e più precisamente da Punta S’Abba e Sa Costa, avvalendosi anche dell’acqua ricevuta dai torrenti che provengono dall’altopiano di Buddusò. Il suo maggior affluente, il Rio Mannu di Bitti, nasce dalle falde di Punta Su Pessiche (m. 1001) e scorre in un territorio formato essenzialmente da rocce scistose congiungendosi col fiume Posada tra Fruncu Curumai e Punta Gurturera. Da questo punto in poi, il Fiume Posada si snoda con andamento da ovest verso est, interessando, le piane del Comune di Torpè e di Posada. Coi detriti abbondanti che trasporta, il Posada ha formato depositi di notevole spessore ed ha costruito una pianura litoranea che prima della costruzione degli argini era periodicamente allagata.

In questa pianura il fiume divaga e si biforca, sboccando così al mare con due foci distinte, comunicando col lungo e tortuoso canale litoraneo. Le alluvioni antiche occupano discrete estensioni55, soprattutto nelle parti più interne della pianura e rappresentano vecchie superfici di origine fluviale56. La ricostruzione del paleoalveo lungo la pianura del fiume Posada è segnalata dalla presenza, in varie zone, di terrazzi. Le località tipiche di questi terrazzi57, da ritenersi pre - tirreniani, sono presenti nel Comune di Torpè nei territori di Monte Predialvu, Cuile de Oschiri, del centro abitato e del Cimitero di Torpè.

- Il Rio Ortocosso: segna per buona parte il confine fra il territorio di Torpè e quello di Lodè e si getta nel fiume Posada ad ovest della zona rilevata dal De Candia col nome di Sedda de sa Dea. Il Rio Ortocosso nasce alle pendici del piano di Sant’Anna (m. 647) nel Monte Albo, e drena soprattutto nel suo alto corso litologie calcaree di varia natura. Il De Candia lo riporta nelle tavolette n° 13 e n° 16 e viene censito come Rio Ortocosso anche nelle carte dello Stato Piemontese, mentre dalla levata dell’I.G.M. 1897-1898 in poi viene chiamato con l’idronimo Fosso Crapatta.

- Il Rio Aspralariu: nasce dalla sorgente di Janna de Martine (m. 671) e scorre, nel suo alto-corso, drenando in buona parte litologie scisto-metamorfiche, e dopo aver costeggiato l’abitato di "Talafa" (così censito dal De Candia nella sua cartografia) si getta nel fiume Posada attraversando tutta la valle di Sant’Andrea.

L’alto corso del Rio Aspralariu non viene né censito né disegnato dal De Candia ed attualmente viene chiamato col nome di Rio Galistru mentre il medio-basso corso viene riportato dal De Candia nelle tavolette n° 6 e n° 10.

Il fiume conserva lo stesso nome nelle carte dello Stato Sardo Piemontese, mentre nelle carte I.G.M. 1897-1898 e in quelle del 1959-1962 viene riportato col nome di Riu di Talavà.

Gli altri corsi d’acqua rilevati dal De Candia (Rio Catalanos, Traghinu de Badu Arghentu, Traghinu de Lochillai, Traghinu de Pira Ula), essendo di scarso interesse idrografico, non vengono più rilevati nella cartografia attuale.

 

3.3 - LOCALITA’ URBANE E RURALI

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Nel territorio preso in esame sono rilevati dal De Candia gli abitati di Torpè (tavoletta n° 15), di Brunella (tavoletta n° 3), Talavà (tavoletta n° 6) e Concas (tavoletta n° 8) e solo alcune località del territorio torpeino, in quanto egli mirava a definire un nuovo assetto territoriale della Sardegna secondo le nuove linee di sviluppo, trasformando l’Isola - sulla carta - in una regione moderna, con un sistema tributario fondato sulla proprietà privata costituendo uno strumento essenziale per accertare la consistenza e la natura dei terreni secondo la categoria di appartenenza (demaniali, comunali, privati)58.

 

TORPE’

Forse la prima menzione di questa villa la si ha nell’atto del Giudice Ittocorre de Gunale, del 1117: ecclesia del Thorpeia.

Nel Liber Fondachi, registro medievale che contiene il censimento dei beni pisani delle curatorie di Posada e Galtellì, il suo nome è la prima volta Torpe, la seconda Sorpe .

Un paese di circa 2642 abitanti (I.S.T.A.T. 1991)60 si trova nella regione delle Baronie (Baronia di Siniscola, un tempo detta di Posada, a nord, e Baronia di Orosei a Sud), confinante a nord con la Gallura ed il Monteacuto, ad ovest con il Nuorese, a sud con l’Ogliastra e a est con il mare61.

 

La regione presenta un aspetto geomorfologico vario e multiforme: l’alternarsi di dorsali calcaree e di creste granitiche e micascistose, di altopiani basaltici e di depressioni colmate da alluvioni rende il paesaggio delle Baronie uno dei più singolari della Sardegna62.

I maggiori rilievi presenti nel territorio di Torpè si trovano a nord dello stesso e sono: il Monte Turrigas, Monte Sempio, Coloredda, e Punta Sos Caddos. La piana, di origine alluvionale (bassa valle del Posada), è fertilissima ed adatta alla coltivazione intensiva dei cereali, alla frutticoltura (arance e clementine) oltre che ad attività silvo - pastorali.

Al Comune di Torpè appartengono tuttora anche le Frazioni di Brunella, Talavà, Concas, Su Cossu e Sos Rios già menzionate nel 1848 dall’illustre studioso sardo Vittorio Angius: "Questa popolazione è distribuita in quattro punti diversi:

1° Nel luogo di Torpè, dove è il maggior gruppo della popolazione, la quale è delle famiglie antiche ,che vi ebbero sempre stanza.

 

2° Nel luogo detto Brunella, dove è una quindicina di famiglie, oriunde di Buddusò, ma aggregate al Comune ed alla parrocchia di Torpè.

3° Nel luogo detto Talavà, dove è un altro gruppo di case abitate da famiglie provenienti pure dalla popolazione di Buddusò.

4° Nel luogo detto Su Cossu, dove è stabilita una piccola colonia di famiglie Buddosoine.

Brunella è in una larga valle distante da Torpè ore tre di pedone, ha circa 13 case ed una popolazione di 55 anime, ed educa molto bestiame in vacche e capre, e gran copia di alveari.

Talavà, in distanza di ore due da Torpè, trovasi parimente in luogo di valle, ha da sei ad otto case, con una popolazione di circa 35 anime.

Su Cossu, in distanza di ora 4, ha più poche anime, tre sole case, si che gli altri devono vivere in capanne costrutte di rami e frasche. Gli abitanti esercitano pure la pastorizia, ma sono meno agiati degli altri.

Le frazioni di Concas e Sos Rios non sono nominate dall’Angius.

La rappresentazione cartografica degli abitati (tranne gli ultimi due poiché non vengono citati) effettuata dal De Candia è molto schematica e, mi sia concesso affermarlo, priva di ogni valore documentario atto allo studio del centro storico degli stessi.

Fra le altre località rilevate dal De Candia vi sono: Sullai, Valle di Sant’Andrea, Giorgia.

 

 

SULLAI

Situata lungo la riva sinistra del fiume Posada, tra Monte Pedra Ruia a nord e l’antica strada che da Torpè, attraversato il fiume in Località Baddore, portava ad Olbia. In questo sito della valle torpeina vi sono ancora i resti dell’antica chiesa medievale di San Francesco di Sullai, che fu certamente uno dei centri più importanti, insieme a Torpè e Posada, in quell’epoca.

L’Angius riferisce che la popolazione sullaese venne colta di sorpresa dai pirati barbareschi mentre assisteva alla messa nell’anno che divideva il sec. XVI e molti vennero rapiti e portati via in catene come schiavi63.

Nel corso del Cinquecento in effetti anche il Mediterraneo occidentale era infestato dai corsari, contro cui si organizzarono varie spedizioni militari senza che, però la loro attività predatoria venisse bloccata definitivamente.

Alquanto efficace appare quanto ebbe a scrivere all’ambasciatore di Genova l’arcivescovo di Cagliari Antonio Parragues de Castillejo in una lettera del 12 maggio 1560: "Siamo sempre assediati da Corsari e sembra che quest’isola sia abbandonata dal Re e tenuta in poco conto dai suoi ministri e da tutto il mondo". Questo il testo riguardante la Baronia di Posada:

"Podestà castellano, maggiore di porto, maggiori giurati e gentiluomini della Baronia di Posada, le vostre lettere ci danno notizia dell’assalto e dell’incursione che i mori e i turchi hanno fatto nella recente notte d’Ognissanti nella Villa di Siniscola, da cui, come si racconta hanno portato via 108 persone tra uomini e donne, tra cui molti bambini, uccidendo 16 o 17 uomini, il che ci arreca grande dolore e pietà. In quella Villa distrutta e saccheggiata sono scampate solo poche persone che, non vedendosi al sicuro stanno per andarsene a vivere da altre parti, fuori di quella baronia. Occorre quindi pregarli di non andarsene offrendo loro per un po’ di tempo ragionevole l’esenzione dal pagamento dei tributi dovuti dai vassalli al feudatario. Ugualmente veniamo a saper che le popolazioni delle Ville di Sorpen (Torpè) e di Sollay sono minacciate dai suddetti mori e turchi che con audacia ogni giorno arrivano in quelle coste con galere e fuste in gran numero cosicchè i cristiani non possono stare tranquilli. Mori e turchi, infatti, fanno incursioni e danni irreparabili, per cui gli abitanti non si sentono sicuri nei villaggi suddetti ed hanno, quindi, deciso di trasferirsi nella Villa di Posada con il proposito di fare un borgo nel monte di Posada, dove poter stare d’ora in avanti al sicuro, anche se vorrebbero, come ci scrivono, che il borgo fosse murato. E più avanti dicono che vorrebbero avere la possibilità di buttar giù le case che attualmente hanno a Torpè e a Sollay, per utilizzare il legname per ricavarne tavole e per tutte le altre necessità delle nuove case da costruire nel borgo murato".

A monte del fiume si trovano antiche testimonianze di insediamenti umani. Le domus de janas di Pedra Ruia verso il canale di Forteddì e i nuraghi Tilibbas e Pedra Ruia sono la prova che tutta questa zona, piena di vita e fertilità, fu abitata già in epoca preistorica.

Il territorio di Sullai viene riportato dal De Candia nella tavoletta n° 16.

 

VALLE DI SANT’ANDREA

Il territorio di Sant’Andrea, rilevato dal De Candia nelle tavolette n° 6, 9, 10, è racchiuso tra il Monte Ruiu a nord-ovest, il rio di Talavà ad est e il fiume Posada a sud-est. Nel foglio d’unione il De Candia riporta la "strada di Sant’Andrea", la vecchia mulattiera che portava da Torpè alle frazioni, costeggiando il rio di Talavà.

Nella tavoletta n° 6 viene indicata la chiesa di Sant’Andrea e nella tavoletta n° 10 la chiesa di San Giovanni, ove tuttora si trovano i ruderi, non distanti dal nuraghe Rampinu.

 

GIORGIA

Il territorio demaniale Giorgia è riportato dal De Candia in ben 6 tavolette. Nelle tavolette n° 1, 2 e 4, essa giunge al confine col Salto di Gios, dove sono indicati Punta de Coloredda, Monte Sempio e Bruncu Susu de Gioanni Bramba, punti di delimitazione fra i due confini (Torpè e Buddusò), mentre a sud nella tavoletta n° 8 il demaniale Giorgia giunge fino al confine col Comune di Lodè.

Giorgia, insieme a Monte Ladu, Badd’e su Moiu, Sa Dea e Su Lidone, denomina territori destinati al rimboschimento ad opera dell’Azienda Foreste Demaniali.

 

3.4 - LUOGHI DI CULTO : CHIESE CAMPESTRI

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Il termine "chiesa campestre" pone subito dei problemi di definizione: perché sappiamo che molte chiese che oggi ci appaiono campestri furono in realtà, in passato, al centro di una "villa" o comunque all’interno di un tessuto urbano, e viceversa molte chiese che oggi occupano uno spazio all’interno di un centro abitato sono state, fino a non molti anni fa, autentiche chiese campestri.

La diffusione delle chiese campestri nell’Isola è molto alta, e la loro origine è da collegarsi a tre fattori principali. Il primo è l’orografia della Sardegna, cioè la conformazione fisica del paesaggio. La seconda è la singolare vicenda vissuta in Sardegna dall’insediamento umano. La terza è la forte aderenza, intorno a questi luoghi di culto, di alcune manifestazioni della religiosità, che ha legato sin dall’antichità il senso della loro presenza nel paesaggio.

Vico Mossa, nel suo libro sull’architettura religiosa minore in Sardegna, conferma quanto detto: "chiesette ne troviamo dappertutto; in posizione eminente (come del resto le parrocchiali), poche sul mare e di data relativamente recente, per l’insidia continua delle coste, molte in pianura e sovente presso la quiete dei fiumi, come erano le chiese abbaziali, in prossimità di sorgenti termali, nei monti, nelle valli e negli altopiani, nei boschi, nelle grotte, negli stagni e perfino nei burroni"64.

 

 

3.5 - NURAGHI

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Nel secondo millennio a.C., quando in tutta la Sardegna si afferma la civiltà nuragica, anche il territorio di Torpè è intensamente abitato, soprattutto lungo le valli prospicienti il corso del fiume Posada.

Testimonianze del precedente periodo si anno dalle domus de janas esistenti (domus de janas de Pedra Ruia, di Sa Rocca de Maria Teoroddi, di Conchedda de Su Anzu, di Casa Diana e Predajana, età neolitica e calcolitica), mancano però gli insediamenti veri e propri, che pure dovrebbero essere esistiti.

Nel territorio di Torpè si contano una decina di nuraghi, tra i quali molti distrutti, concentrati soprattutto nella sponda nord del fiume Posada, quasi tutti stanti in piccole alture, con funzioni di torrette difensive e la maggior parte di natura "complessa". Ad ovest si trovano i nuraghi di Sa Menta e Uliana, ad est quelli di Tilibbas e Pedra Ruia, a nord quello di Rampinu e Su Runache e a sud quello di San Pietro, non molto distante dal centro abitato di Torpè.

Il La Marmora nel suo Viaggio in Sardegna, ci dà notizia che "a Torpè si contano più di 12 nuraghi", mentre negli anni ’30 il Taramelli pubblicò la prima Carta Archeologica, dando brevi ma concise notizie sui monumenti allora conosciuti72. In seguito, solo nel 1973 a seguito di danneggiamenti causati da clandestini, venne interessato, per la prima volta da una campagna di scavo della Sovrintendenza per i Beni Culturali73, il nuraghe San Pietro.

Seguirono scavi di Rubens D’Oriano e di M. A. Fadda in questi ultimi anni, e di F. Lo Schiavo nel 197874, sempre sul nuraghe " complesso di San Pietro" scrisse G. Lilliu nel 196375.

Nelle carte rilevate dal De Candia vi sono riportati quattro nuraghi. Egli si preoccupò anche della salvaguardia del patrimonio storico-archeologico isolano76, riconoscendo il problema "d’attualità permanente" sia per quanto riguarda i monumenti, sia per gli oggetti di valore storico oltre l’esigenza del rispetto e della loro conservazione nel contesto ambientale in cui sono inseriti.

Così scriveva al suo amico il Canonico Giovanni Spano a Torino, il 14 marzo del 1857: "faccio altresì dei voti perché il Governo prenda norma da quello francese nell’istituire delle commissioni locali (basterebbe una per l’Isola) onde tutelare la conservazione di cotesti monumenti e delle nostre antichità in generale onde non vengano, o deturpati con barbari restauri, o distrutti da mani vandaliche per non curanza o per ignoranza. E porrei nella classe di questi monumenti gli stessi Nuraghi principali, tuttoché esistenti nei terreni di proprietà privata, giacché senza questi provvedimenti poco per volta vanno scomparendo dal nostro suolo questi secolari testimoni di primitivi popoli che l’abitarono. Gradisca, ecc"77.

I nuraghi rilevati dal De Candia sono: Nuraghe Idana, conosciuto oggi come il Nuraghe Tilibas, Nuraghe Pedras Ruias (ove non distanti da esso si trovano i resti di altri due nuraghi distrutti), tutti e due riportati nella tavoletta n° 11, come il Nuraghe San Pietro, rilevato dal De Candia col nome " Santo Pedro", Nuraghe Sa Menta nella tavoletta n° 13 al confine col Comune di Lodè, e il Nuraghe Oliena nella tavoletta n° 10 chiamato anche "Uliana" perchè sito nell’omonima zona.

 

 

IL NURAGHE SAN PIETRO

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Il nuraghe San Pietro conserva una stratigrafia abbastanza sicura che testimonia tre fasi principali di vita: 1) primo utilizzo del vano; 2) momento di intensa attività abitativa e repentino abbandono, databile forse ancora entro il II millennio a.C.; 3) occupazione Romana della torre, a cominciare dalla fine del I - inizi del II secolo d.C..

Una delle caratteristiche di questo nuraghe complesso quadrilobato, costruito per lo più con grossi blocchi di trachite rossa, è la grande quantità di oggetti fittili e di vario tipo ritrovati negli scavi78. Si tratta di materiali nuragici costituiti da ciottoloni, alcuni dei quali hanno l’ansa asciforme, tipica della cultura Bonnanaro, tegami decorati a pettine, oggetti bronzei e piccole tazze.

 

3.6 - L’OROGRAFIA

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Ogni era della storia della Terra ha profondamente lasciato in Sardegna le sue tracce ed il sovrapporsi di terreni molto diversi, per composizione ed età, ha conferito ai rilievi sardi un grande interesse geologico79.

Il rilievo Sardo si è formato sostanzialmente durante l’orogenesi ercinica; l’orogenesi alpina ha contribuito esclusivamente a saldare una rigida impalcatura granitica riversando in diverse riprese colate laviche o sedimenti marini e coltri di riempimento alluvionale. Da ciò si capisce anche come diverse linee di orientamento di rilievi corrispondano a formazioni tettoniche80.

Essendo quindi di origine molto antica, nell’Isola sono prevalenti le zone di altezza media, mentre i rilievi più alti, formati da massicci dalle sommità arrotondate, hanno sempre un’altezza assai modesta dovuta all’azione continua dei fenomeni erosivi.

Le colline dominano nettamente gran parte della superficie isolana, con i vari settori saldati tra loro da depositi di natura marina, da espandimenti terziari o da alluvioni quaternarie81.

Secondo la suddivisione del territorio adottata dall’Istituto Centrale di Statistica la collina misurerebbe kmq 16.351, 85, corrispondenti al 67,9% della superficie territoriale; per contro la montagna avrebbe un’estensione di kmq 4.450. 85, pari al 18,5%.

La pianura occupa il residuo territorio: essa misura 3.286, 83 kmq, corrispondenti al 13,6% della superficie totale dell’isola.

La diversità di forme dei rilievi è espressa anche dalla varietà di terreni usati per indicarli: bruncu, cuccuru, per cime arrotondate, contra, per forme a cocuzzolo, murru (muso), corru (corno), per cime aguzze e liuru per monti isolati a punta; crastu per spuntoni rocciosi; corongiu per fianchi diruti; mesa (tavola) per forme tabulari; costa o costera per versanti a clivi ed estesi; sciusciu per dirupi, oltre a molti altri termini più comuni come cabu, pitzu, perda (pietra), rocca, nodu ecc. ed altri ancora indicanti forme particolari82.

Le incisioni e le insellature sommitali a seconda della loro ampiezza e forma sono chiamate pure con vari nomi: arcu, bucca o ucca, genna o janna (dal latino janua = porta), porta o portedda, sedda (sella). Anche le colline vengono chiamate con nomi diversi: giba (dall’analogo vocabolo spagnolo significante gobba), cuddighiolu in Gallura e zeppara nella parte meridionale; altare, altaria, altina usato ovunque83.

Caratteristici sono gli altopiani e i tavolati costituiti da tratti delle antiche superfici di spianamento o lembi più o meno estesi di rocce vulcaniche o sedimentarie84.

Il territorio preso in esame è formato da monti poco elevati, le cui vette vanno da una quota minima di m. 31 (Monte Turrutò) ad una massima di m. 868 (Punta de Turrigas).

Nei rilevamenti orografici del De Candia sono spesso usati proprio alcuni termini sopracitati: bruncu, cuccuru o cuccureddu, punta, perda, nodu: Bruncu Ruinas, Bruncu Litzu, Cuccuru Ozzastu, Cuccureddu de su Forru, Punta Giorgia, Punta Coloredda, Perda Longa de Santo Pedro, Nodu Ruju, e anche Codu (collo) de Lostia, e Ischina (schiena) Seurza.

Il De Candia inoltre segnala, nelle tavolette, i punti trigonometrici (D ) del territorio di Torpè, utilizzati per la realizzazione della cartografia esaminata.

D Punta Coloredda

D Monte Caddos

D Punta de su Scopargiu

D Bruncu Perdo Paolo

D Janna de su Piscalu

D Poju de Badu Arghentu

D Badu Arghentu

D Codu de su Suergiu

D Gozzomedda

D Punta de S’Ungra Caddos

D Punta de sa Marmora

Nel rilevamento, non sono indicate invece le quote altimetriche.

 

3.7 - PALUDI

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Nel territorio preso in esame vengono riportate dal De Candia quattro paludi un tempo presenti nel territorio di Torpè, delle quali due vengono rappresentate e rilevate con la sola dizione di "palude" e sono riportate nella tavoletta n° 11 non lontano dal confine col Comune di Posada, vicino all’antica strada che conduceva a Terranova (Olbia).

Le altre due, di maggiori dimensioni, vengono rilevate dal De Candia nelle tavolette n° 14 (Palude di San Martino) e n° 15 (Palude de Idda), quest’ultima molto vicina al centro abitato di Torpè. Di esse viene riportata anche la loro estensione calcolata in starelli metrici, unità di misura utilizzata nei rilevamenti dal De Candia, in quanto si discostava solo pochissimo dall’antica misura agraria conosciuta e diffusa nell’Isola sotto il nome di starello.

E’ noto che in Sardegna le zone paludose sono sempre state la causa delle febbri malariche che fino a qualche tempo fa colpivano, spesso mortalmente, centinaia di pastori e contadini. In questo contesto, sono interessanti le notizie che l’Angius scrisse a suo tempo: "I torpeini sono gente vivace, animosa, sollazzevole, ed in altri tempi, e quando il paese era tranquillo si ballava e cantava quasi tutti i giorni nel bel tempo, e dopo le fatiche dei giorni di messe. Di costituzione fisica assai forte, patiscono però talvolta degli effetti della malaria, e delle troppe repentine variazioni della temperatura, soggiacendo alle febbri intermittenti, ed alle maligne, ed alla pleurisie". Oggigiorno fortunatamente il problema non sussiste, merito della completa trasformazione dell’ambiente fisico e umano attraverso la bonifica integrale, e dalla lotta antimalarica contro la "zanzara anofele" portatrice dell’endemia.

Uno dei primi esperimenti per la lotta antimalarica col chinino fu fatta proprio a Torpè nella prima metà del secolo scorso85.

 

3.8 - SORGENTI

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Fin dalla più remota antichità, le sorgenti furono guardate con rispetto e venerazione, sia per il fatto che esse condizionavano la vita e l’attività degli uomini, sia perché spesso all’acqua veniva attribuito un principio vitale così da essere venerate come vere e proprie forme di divinità86.

D’altronde il problema dell’alternarsi di "piogge" e "siccità" è un fenomeno eterno della Sardegna e i primi popoli che la abitarono, prima i neolitici e poi i nuragici, stabilirono le loro dimore in siti di norma ricchi di sorgenti naturali87.

Infatti ancora oggi è possibile verificare la tecnica usata dai popoli nuragici per la raccolta e quindi l’uso delle acque, dalle sorgenti a falda freatica ai cosiddetti famosi " Pozzi Sacri".

Lo storico e geografo Giulio Solino che fu uno dei primi ad illustrare la geografia dell’Isola scrisse: "In molte località sgorgano fonti calde e salubri, che sono rimedio a molte malattie, consolidano le fratture, o neutralizzano il veleno dei "solifugi" (certi animaletti a forma di ragno, non molto meglio identificati) o curano le malattie degli occhi. Ma quelle fonti che curano gli occhi servono anche a smascherare i ladri: infatti, chiunque nega con giuramento un furto è costretto a bagnarsi gli occhi con l’acqua di quelle fonti; se non è spergiuro, vedrà meglio; se però a negato con perfidia, si scopre il suo misfatto con la cecità88".

La storiografia dell’età moderna, però, di fronte a queste credenze antiche ha adottato un prudente scetticismo e già agli inizi del XIX secolo, sorta la chimica a dignità di scienza esatta, si ebbero i primi dati analitici sulla composizione esatta delle acque sorgive. Così nel 1838 Vittorio Angius illustrò per la prima volta le caratteristiche delle sorgenti descrivendole a seconda delle loro componenti: risultano così presenti nell’Isola le acque solforose, nel territorio di Benetutti, e le acque acidule leggermente ferruginose site nel dipartimento di Florinas, ossia le acque di San Martino; le acque saline site nel dipartimento di Colostrai, nel Barigadu, nel dipartimento di Coghinas, di Nuoro, nella parte Ippia, con le sorgenti di Sardara, Fordongianus, Casteldoria, San Giovanni di Dorgali e Acquacotta di Villasor.

Per quanto riguarda il territorio di Torpè, lo studioso Vittorio Angius scrisse "Le fonti si trovano in ogni parte e quelle dei monti danno acque buone. Tra le più notevoli nomineremo la Fonte dell’Elce (Funtana dess’Eliche), la cui vena apresi nelle parti più alte del Monte Luna tra un bosco di lecci mescolati di querce-sovero. Essa è di tanta copia, che forma un rivo, il quale, accresciuto passo passo da altre sorgive, scende nella valle prossima, ed entra nel canale comune. La fonte dell’Acqua-viva (Abba-ia) alle falde di Monte Ladu, si trova in un consimile bosco. La fonte del Maggio (de su Moju) sorge alle falde del Monte dello stesso nome tra una boscaglia di elci, mirti, olivastri, e forma un rivolo. La fonte di San Nicola, cosiddetta per la chiesa vicina dedicata a tal Santo, ora rovinata, mette fuori le sue acque tra piante annose di mirto, che riparano i venti e rendono deliziosissimo il sito. Presso la Fonte di Orettola, o Lochillà, concorrono e si congiungono i rigagnoli discorrenti dalle pendici di Monte Ruju a quella Parte. La Fonte di San Giovanni è la più notevole delle vene del monte dello stesso nome89".

Il De Candia rileva in tutto cinque sorgenti, San Nicola, Bena de S’Arrighina, De Grustos, Abba Frida e dell’Eliche.

Del tutto simile è il rilevamento effettuato dal Taramelli nel 1901 e dalle Carte Sardo-Piemontesi, mentre a partire dal rilevamento del 1897-1898 si osserva un numero maggiore di sorgenti.

Nel rilevamento del 1931 pubblicato da Manfredi90 le sorgenti, di scarsissima portata, comprese all’interno del Comune sono addirittura due.

 

CAPITOLO QUARTO

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Toponimi

 

Fonte: Archivio di Stato di Nuoro, Sommarione.

Monte Ruju - Monte Giorgia – Bacchile becciu – Inpala de origa – Abba fritta – Pedra longa – Su tradimentu – Arrighina – Tanca sas funtanas – Monte abba fritta – Sas concheddas – Su papagallu – Monte Ladu – Cucuru ozzastru – Cuccuaiu – Su ospolo – Pinnetta – Sa zapa – Filacoro – Santu Andria – Mariane Pinu – Castala – Castaleddu – Burenella – Petra ruia – Burunella – Agrustos – San Nicola – Sas piras – Galistro – Talafà – Cucuru lunas – Sos porchiles – Leppaiu – Sa funtana eliche – Su titione – Crabaglia – Sas aias – Fortedì – Serra sa ficu – Onchile - Pirastredu – Badore – Trainu sos

istrumpadoglios – Caminu de petras ruias – Abba su juncu – Pedra ruia – San Martino – Tilibas – Su bottu – Terraraju – Petrarzu – Terra cotta – Niedda – Ruinas – Coddu de sa palomba – Su poju – Argiolas – Badu petrosu – Bigia beccia – Gioanni Pala – Martilitana – Sa Purissima – Bingi selena – Gioanni Maria Capra – Badu arghentu – Su ghespe – San Pietro – Petra longa – Iscala e supra – Sas nughes marras – Munisca boe – Pasalana – Frates Matteu – Sas tanchittas – Badu petrosu – Bartomeu – Matteria – Badu lepore – In coddos de sos de Nuoro – Raimondo Piu – Sos muros – Su purgatoriu – Broccatoriu – Broccariu – Piscalu – Ireli – Su vagliu – Su frau – S’adde manna – Sa mendulita – Sa murtaglia – Murtariu – Sant’Antonio – Sa Grazia – Sa Vittoria – Sa brocca – Mastru Gennaru – Maria Suarzia – Sas piricheddas – Sant’Elena – Salapatu – Nicolazzone – Bellone – Sas campanas – Ianna bezza – Petra Ianna – G. Maria Crapa – Zia Porcu – Gia gaezza – Sa menta – Sos istrumpadoglios – Oschiri – Su nervone tancadu – Petra de su gattu – Pilosu – Ullà – Sa dea – Sa cherba dormida – Su costizzolu mannu – Sedda su sicariu – Campu de partes – Barione – Osegara – Puzzos de Petru Satta – Su monumentu de Maria – Adde de sos de Nuoro – Ghiliorti – Sa tanca senza lua – Ortu cossu – Paule mesa matta – Filo de ferretti – Monti Nurris – S’adde bentu – Pilu de su gattu – Pala foconaria – Sas vaddes – Pala de Gusinu – Sedda crabazzinu – Monte Zucca – Pala de Matteu – Lettu pittu – S’adde su moiu - Sas addes – Campo orolà – Poiu caminu – Talaeriu – Ozzastru mele – Funtanedda – Trainu rio Muledda – Badu legnamine – Frate unchile – Bigialà – Barale – Flochis – Orto de melighe – Matervas – Leporone – Badore a palude – Tanca sa cresia – Tortolisi – Filinita – Sillai – San Pietro-chiesa – Enas de puleu – Garaglia – Bruncu e Soggiu – Sa frumigazza – Su turnu – Ma falla – Usalla – Oliena – Gioanni Guisu – Zieddas – Gurtoe – Paule de bidda – Sa palude – Tramontana – Petras curvas.

CONCLUSIONI

INDICE - TORPENET

Lo svolgimento di questa ricerca ha consentito di conoscere la situazione cartografica della Sardegna durante il Regno Sabaudo e la realtà territoriale del Comune di Torpè, nel periodo rilevato da Carlo De Candia, ed ha permesso di stabilire un rapporto diacronico con la toponomastica a carattere geografico secondo la pronuncia popolare contemporanea.

Tale lavoro ha permesso, inoltre, di comprendere come l’attuale cartografia si è evoluta a seguito dell’applicazione delle tecniche geodetiche, prima, e dei rilevamenti aerofotogrammetrici, successivamente.

Nell’arco dei secoli l’aspetto geografico dell’Isola è stato rappresentato nei documenti scritti, nella tradizione orale e in alcuni casi con l’esperienza acquisita attraverso le misurazioni effettuate a dorso di mulo (come quella di Rocco Cappellino) o circumnavigando l’Isola. Infatti sin dai tempi più antichi la Sardegna è stata oggetto della più varia cartografia, sviluppata in alcuni casi dai naviganti interessati alle sue coste.

Le levate topografiche eseguite nell’Isola fra il 1840 ed il 1859 dallo Stato Maggiore Sardo-Piemontese, a seguito degli studi compiuti dal Della Marmora e dal suo collaboratore De Candia, hanno dato il primo documento cartografico a grande scala realizzato con pregevole precisione.

Tali lavori cartografici realizzati dal Governo Sabaudo avevano l’intento di tracciare i confini di tutti i Comuni Sardi per arrivare poi alla formazione di un Catasto particellare mancante all’Isola.

Cartograficamente, se si esclude qualche sporadico tentativo, queste basi per l’attuazione del Catasto particellare non sono state utilizzate come documenti storico - geografici d’archivio, né in sede di applicazione pratica, né di ipotesi teorica. Si riconosce ora, in fase di recupero del territorio, la validità dell’apporto geo-cartografico, non solo per una ricostruzione storica del paesaggio, ma anche per la riorganizzazione territoriale91.

L’intervento del De Candia si colloca in un periodo di evoluzione delle tecniche e delle applicazioni cartografiche costruite appunto su basi geodetiche.

La Cartografia del De Candia, esaminata per quanto riguarda il Comune di Torpè, evidenzia l’interesse alla trasformazione in proprietà privata dei terreni acquisiti allo Stato dalla liquidazione dei feudi e dei suoli comunali.

Il De Candia era solito affermare che "il regime fondato sulla proprietà privata era l’unico razionale e in grado di avanzare la produttività dell’agricoltura".

Si evidenzia perciò, nelle carte esaminate, la suddivisione del territorio in: Comunale, Demaniale e Privato.

La misura agraria fino ad allora conosciuta e diffusa in Sardegna, lo starello, fu sostituita dallo starello metrico equivalente a 40 are, anche se la misurazione avveniva in modo approssimativo senza distinzione di appezzamenti e di colture, come lo stesso L. Del Piano in "La Sardegna dell’800" ricorda.

L’approssimazione nella misurazione dei territori si trascinò imperfetta e sommaria sino all’avvento del Catasto (disposto con la Legge del 15 aprile 1851).

Il lavoro svolto ha consentito un approfondimento delle conoscenze del territorio di Torpè, ambiente in cui vivo, rilevando l’evoluzione che l’area ha avuto nell’arco di ben 150 anni con particolare riferimento all’aspetto geografico ed antropologico; valido strumento di lavoro è stato l’esame minuzioso della cartografia geodetica di Carlo De Candia, raffrontata alla produzione cartografica successiva con l’elaborazione di tabelle di riscontro, di immediata lettura.