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2.02 "La speranza svanita" di Riccardo Cristiano

“Oggi parliamo di pace, ma sia noi sia loro seguitiamo a non vedere l’altro, oggi come ieri”. E’ il pensiero di Abu Chai (p.26), uno dei tre maestri scelti dall'autore nelle prime pagine del libro per riflettere e parlare al lettore.

Riccardo Cristiano 

La speranza svanita – Medio Oriente, Islam, nazionalismo. Il dramma dei diritti umani 

Prefazione di Franco Cardini Editori Riuniti – 283 pp.

Una storia triste e feroce, fatta di malafede, violenza, tradimento, forse una storia “coloniale”, non diversa, magari perfino non peggiore, di quelle scritte in Africa, in America Latina, nel Sud-Est asiatico…forse però con l’ulteriore aggravante di essere stata inflitta a popoli la cui alta e profonda cultura è singolarmente allacciata alla nostra; a popoli che per secoli hanno intrattenuto stretti rapporti con l’Occidente… e guardato ad esso con fiducia. E con l’ulteriore aggravante dei due problemi – diversissimi tra loro – del radicamento sionista in Palestina e della lotta per il controllo del petrolio (dalla prefazione di Franco Cardini)

Buona lettura,

Gennaro.

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2.02
LA TORTURA DEMOCRATICA

Sul Corriere della Sera di oggi c'è un'intervista dell'"eletta" Alessandra Farkas all'avvocato Alan Dershowitz, ex difensore di Al Gore, che viene così presentato: "è l'avvocato progressista più famoso d'America, paladino dei diritti civili, nato a Brooklyn da famiglia ebraica".

Il legale progressista dichiara:

Tengo a precisare che la mia proposta (di legalizzare la tortura, n. d. r.) scaturisce dall'avversione viscerale per la tortura: una realtà clandestina ed illegale che purtroppo esiste e che, non potendo abrogare, desidero portare nell'ambito della legge e della democrazia".

La giornalista "eletta" gli chiede se ciò non gli sembri "un passo indietro della civiltà". Risposta dell'avvocato "eletto":

"Niente affatto. Il mio obiettivo è istituzionalizzare la tortura per controllarla e fermarla".

E prosegue:

"La CIA fa circolare nel mondo un agghiacciante manuale coi metodi più crudeli per 'estorcere notizie' e i commissariati di polizia dalla California alla Florida la praticano quotidianamente, dietro porte chiuse. Ritengo che sarebbe molto meglio portarla nell'ambito della legge, rendendola visibile e trasparente, cioè democratica".

Naturalmente spetterebbe alla magistratura firmare i permessi per autorizzarla. Ma solo nel caso dei terroristi. Inoltre bisognerebbe adottare certi accorgimenti:

"propongo un tipo di tortura 'non letale', come l'uso di scosse elettriche e di aghi sterili conficcati sotto le unghie, che produrrebbero un dolore insopportabile senza però mettere in pericolo la vita dell'individuo".

E i trattati internazionali?

"Il Congresso dovrebbe abrogare la nostra adesione al trattato internazionale anti-tortura ratificata nell'84 ed entrata in vigore nell'87. Un trattato anacronistico e superato quanto la Convenzione di Ginevra che non affronta il nuovo cancro del terrorismo sponsorizzato dagli Stati"

Arturo Sinceri

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2.02 Le rivelazioni dell'Espresso in "La scuola degli uomini bomba"

Kamikaze
La scuola degli uomini-bomba
Gli aspiranti martiri hanno tra i 18 e i 23 anni. Sono reclutati nelle moschee. L'addestramento è spirituale e militare. Fino al giorno del sacrificio. Dopo, le madri non accettano condoglianze, ma soltanto congratulazioni

di Dina Nascetti (www.espressonline.kataweb.it, del 31.5.01)

Con l'aiuto di Allah e dei martiri purificheremo la nostra terra dalla presenza corruttrice dei sionisti... la voce dello sceicco giunge attutita, ma ha la solennità delle grandi occasioni. Mahmud Ahmed Marmash, vent'anni, il kamikaze palestinese di Tulkaren che si è fatto saltare in aria venerdì 18 all'ingresso del centro commerciale di Hasharon, a Netanya, quella frase l'aveva ascoltata molte volte nei sermoni alla moschea che frequentava assiduamente. Ma quel giovedì sera era diverso. Lui era sepolto vivo in una tomba vuota, nel cimitero di misere lapidi e fiori di plastica. Una lamiera copriva la sua fossa, il buio era totale, e l'ossigeno lentamente si esauriva. Eppure Mahmud, determinato, resisteva. Era l'ultima prova, il salto di qualità per trasformarsi il giorno dopo in una bomba umana e seminare morte. La mattina seguente la metamorfosi. Si rade la barba (simbolo di ogni bravo musulmano) per non dare nell'occhio, indossa il vestito buono, fa l'ultima preghiera in moschea e si avvia a percorrere i 16 chilometri che separano Tulkaren (nord della Cisgiordania) da Netanya, ridente cittadina israeliana sul Mediterraneo. Lungo la strada, in uno dei tanti centri di assistenza sociale legati alle organizzazioni integraliste di Hamas e Jahad islamica, riceve il giubbotto antiproiettile in cui sono nascosti i candelotti di esplosivo che da lì a poche ore gli squarceranno il corpo e lo trasformeranno in uno "shaid", un martire. Ed elargitore di morte e terrore.

Due giorni prima del suo sacrificio, Mahmud nello stesso centro sociale aveva registrato in una videocassetta il suo addio al mondo terreno con un messaggio: «Voglio vendicare il sangue dei palestinesi. In particolare, il sangue delle donne, dei vecchi, dei bambini... Offro questo mio modesto gesto a tutti i musulmani credenti, che ammirano i martiri e che operano in loro favore».

L'esempio di Mahmud e la risposta israeliana, che ha usato gli F16 per colpire postazioni palestinesi, hanno dato maggiore linfa ai giovani palestinesi, impazienti di scatenare la loro vendetta: 250 volontari pronti a immolarsi sarebbero stati arruolati da una organizzazione integralista nei pressi di Gerusalemme. Con direttive precise: uccidere cinque civili israeliani per ogni civile palestinese e cinque soldati di Israele per ogni agente ucciso.

Ma chi sono questi giovani, quale la loro provenienza sociale, e quali le motivazioni di gesta così estreme?

Senza terra, senza futuro. Secondo una ricerca del quotidiano israeliano "Yediot Ahronot ", nel 64 per cento hanno una età tra i 18 e i 23 anni; il rimanente 36 per cento tra i 24 e i 30. Nel 47 per cento hanno una educazione universitaria, il 29 ha frequentato le scuole medie e il 24 solo le elementari. L'83 per cento è celibe. Quindi, sono tutti giovani cresciuti sotto l'occupazione israeliana che significa soprusi, umiliazioni, repressione. Molti di loro poi sono stati protagonisti, da ragazzini, della prima Intifada (1987-1993).

«La maggior parte proviene dai campi profughi , come i loro genitori. E come i loro genitori senza speranza, senza futuro», dice il dottor Iyad Sarraj, responsabile di assistenza psichiatrica a Gaza: «Molti, all'inizio, hanno creduto alla pace, anche se considerata ingiusta. Poi, delusi nel vedere la loro terra non restituita, ma frantumata e divisa, hanno risposto all'appello islamico. La figura del kamikaze non ha mai fatto parte del bagaglio politico-militare della lotta di liberazione palestinese», conclude Sarraj.

In effetti, il primo attentato suicida è avvenuto il 6 aprile del 1994 ad Afula e causò la morte di nove israeliani. Fu la risposta, 40 giorni dopo, all'uccisione di 29 palestinesi in preghiera nella moschea dei patriarchi a Hebron da parte del colono, Baruch Goldstein, medico dell'insediamento di Kiryat Arba. Da allora, 54 sono stati gli attentati di kamikaze portati a termine. Una trentina quelli sventati dai servizi israeliani.

Il sentimento del "martire" è talmente radicato ormai nella società palestinese, che non ci sono lacrime di disperazione tra i famigliari, né provano vergogna per un massacro. Lo "shaid" porta onore e rispetto. Non accettano condoglianze, ma solo congratulazioni. Così è stato anche per la madre, le sorelle i fratelli di Mahmud. I vicini di casa hanno fatto visita, portando dolci e cibi.

Ma come vengono iniziati questi giovani all'appuntamento con la morte? Due le preparazioni fondamentali, quella spirituale-ideologica e quella tecnico-militare.

La preparazione spirituale. Avviene nelle moschee o nei centri sociali, con l'aiuto di uno sceicco, attraverso filmati dedicati alle azioni dei guerriglieri islamici e videocassette che riproducono messaggi e discorsi di diversi sceicchi arabi. Il sermone più gettonato, quello del saudita Saleh Ben Mohamed Hamid pronunciato nella grande moschea della Mecca, dal titolo "L'aggressione degli ebrei in Palestina". Tuona lo sceicco: «Quanto fioriva è diventato secco e la speranza si è trasformata in disperazione. Gli ebrei uccidono e torturano coi metodi dei faraoni. Noi uccideremo i loro figli, godremo delle loro mogli, li conquisteremo». Molta ispirazione anche dal Corano, la vera fonte didattica. Il versetto più seguito, quello che racchiude il precetto della "shahada", il martirio, come gesto di fede e di testimonianza. Chi mette in pratica questa aspirazione riceve in premio il Paradiso e 72 mogli vergini, un posto alla destra di Allah e un giorno, la ricongiunzione con dieci membri della famiglia.

La preparazione militare. È semplice. Intanto sta ai responsabili del braccio armato delle varie organizzazioni integraliste, individuare il soggetto. Scartati gli emotivi o le teste calde, i reclutatori studiano i possibili candidati durante le preghiere in moschea o nelle attività sociali. La scelta cade sempre tra i giovani, un serbatoio di migliaia di seguaci. Prima lezione: imparare a simulare e sapersi mimetizzare. I famigliari e gli amici non devono avere alcun sospetto. Poi, alcune settimane di preparazione tecnica. Cellulari per far detonare l'ordigno, semplici siringhe che premute mettono in funzione un detonatore o normali interruttori di corrente. Poi, la vita del kamikaze continua normale. Come è avvenuto per Mahmud, giovane falegname di Tulkaren. Fino alla chiamata e a quell'ultima prova in una fossa di un cimitero, prima di seminare morte e terrore.

www.espressonline.kataweb.it

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1.02 "Liberate la Siria" di Joseph Farah

FREE SYRIA

di Joseph Farah


http://www.worldnetdaily.com/news/article.asp?ARTICLE_ID=26216

(lunedì 28.01.2002 dal sito WorldNetDaily.com)

If Syria doesn't move quickly to cut its support of terrorism and end its
subjugation and military domination of neighboring Lebanon, it's time to
take the fight to Syria.

If Syria won't allow a free Lebanon, it's time to free Syria.

According to the head of military intelligence in Israel, General Aharon
Zeevi Farkash, terrorists from Osama bin Laden's al-Qaida organization are
being provided shelter in Syria and Syrian-occupied Lebanon.

This is nothing new, of course. Syria has provided safe haven to bin
Laden's terror network for years. Even the most recent edition of the U.S.
State Department's annual report on regimes that sponsor terrorism
acknowledges Damascus' relationship with and support for al-Qaida, Hamas,
Hezbollah and other violent extremists.

But the report by Farkash was presented to the Knesset Foreign Affairs and
Defense Committee only last week. And his report says that al-Qaida
terrorists fleeing Afghanistan are being harbored by Syria right now.

Incredibly, the U.S. seems to ignore such reports. Instead, some U.S.
officials, on a recent tour of Syria, seemed genuinely impressed with
Syrian dictator Bashar al-Assad's experience in fighting terrorism.

Assad lectured Sen. Richard Durbin and Reps. David Price, Jim Davis and
Adam Schiff earlier this month. What he told them, and their reaction to
it, was not carried by any U.S. press outlets. But it was covered by the
Arabic press and translated by the Middle East Media Research Institute.

Assad said "the U.S. can benefit from the experience of countries that have
successfully fought terrorism, primarily Syria."

As an example of what he meant, Assad pointed to his father's battle with
the Muslim Brotherhood between 1982 and 1986.

The most notable moment in that battle came Feb. 2, 1982 ­ 20 years ago
this week. The Syrian army besieged the city of Hama for 27 days,
bombarding it with heavy artillery and tank fire. Then, the Syrians invaded
their own city, killing between 30,000 and 40,000 men, women and children.

The city was then bulldozed and paved over as a permanent national monument
to the futility of rebellion against the Assad regime.

Cold-blooded mass murder. That is Syria's prescription for fighting
terrorism.

According to a report in Al-Ba'ath in Syria and Al-Hayat in London, Durbin
had this to say: "Syria has a rich experience in fighting terrorism, and it
is possible to benefit from it . The analysis we heard on Syria's history,
experience and handling of [the terrorism] that struck at it is a useful
lesson for us and for many countries in the world."

Durbin's office denied making any statement at the meeting. Good thing.
Because there is only one lesson to draw from this lecture: Syria remains a
brutal, totalitarian regime that will only ­ like other brutal,
totalitarian regimes ­ yield to force.

Just like the people of Afghanistan, the Syrians need to be freed from this
brutality and slavery. Just like the people of Iraq, the Syrians need to be
liberated. Just like the people of Lebanon, the Syrians need to escape this
yoke of oppression.

There are three reasons Syria should be in the sights of any campaign
against international terrorism:

It continues to occupy illegally a neighboring country, Lebanon, and has
openly expressed its long-term desires at hegemony and annexation of the
sovereign nation. It is one of the very few examples in the world today ­
perhaps the only one ­ of one nation totally dominating another and
militarily occupying it. This must end. This should be the real focus of
the world's attention in the Middle East ­ not the Israeli-Palestinian
conflict.

Syria sponsors and harbors the worst kind of terrorism ­ including the bin
Laden network and a coterie of maniacal allies. This is going on right now
­ post-Sept. 11.

The Syrian regime hurts its own people more than it hurts its neighbors.
Just as Afghanis were pleased to be rid of the Taliban, so will the Syrians
be joyful to be rid of the nepotistic tyranny imposed by the Assad clan.
So, let's not just free Lebanon. Let's free Syria, too.
****
Joseph Farah is editor and chief executive officer of WorldNetDaily.com and writes a daily column. Get an autographed, first-edition copy of Joseph Farah's 1996 book, "This Land Is Our Land," published by St. Martin's Press.
(Views expressed in the news that we distribute are those of the authors alone)


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1.02

Aggiornamento dal conflitto in Israele/Palestina

1 Febbraio 2002: Condanne (quasi) unanimi per le parole di Sharon

Il primo ministro israeliano Ariel Sharon e' stato fortemente criticato per aver rivelato, durante un'intervista al quotidiano Ma'ariv, pubblicata oggi, in cui afferma di "essere pentito di non aver ucciso Arafat nel 1982", durante l'invasione israeliana in Libano.

L'Unione Europea ha deplorato il comportamento di Sharon, e il ministro degli esteri spagnolo, Josep Pique, il cui paese mantiene attualmente la presidenza dell'UE, ha affermato che "tali parole sono inaccettabili e devono essere fortemente rigettate".
Ancora piu' duro il ministro palestinese Saeb Erekat, il quale ha affermato che "quando un primo ministro osa annunciare apertamente le sue intenzioni da gangster, non c'e' bisogno d'altro per capire con quale genere di governo ci troviamo ad avere a che fare".

Molto tiepida la reazione degli Stati Uniti, peraltro scontata. Pressato dai reporters, tutto cio' che il portavoce del Dipartimento di Stato, Richard Boucher, ha osato dire e' stato che "l'intervento del primo ministro Sharon puo' essere stato inutile".

1 Febbraio 2002: La rivolta dei riservisti

Le forze armate israeliane si trovano a dover affrontare la piu' seria crisi interna in 16 mesi di intifada: 104 riservisti dell'esercito hanno firmato una petizione in cui affermano di rifiutarsi di prestare servizio militare nei Territori palestinesi occupati da Israele. La petizione, che ha aperto un clamoroso caso all'interno dell'esercito, e' stata aspramente criticata dal capo di Stato Maggiore Shaul Mofaz, il quale ha dichiarato che "non c'e' posto, nell'esercito israeliano, per tale eventualita'" e da un gruppo di riservisti favorevoli all'occupazione, i quali hanno accusato i firmatari della petizione di "distorsione e diffamazione dell'esercito".

Il caso e' venuto fuori quando un gruppo di riservisti hanno pubblicato, sulle pagine di Yedioth Ahronoth, un intervento nel quale, denunciando la ultatrentennale occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele, affermano che "servire nei Territori occupati non ha nulla a che vedere con la sicurezza di Israele, ma ha il solo scopo di perpetuare il controllo d'Israele sui palestinesi". "Non continueremo a combattere al di la' delle barriere del 1967 allo scopo di dominare, espellere, affamare ed umiliare un intero popolo", affermano i riservisti.
Gia' durante lo scorso settembre, un gruppo di 65 giovani israeliani firmarono una lettera ad Ariel Sharon nella quale affermavano di rifiutarsi di prestare servizio militare a causa della "politica aggressiva e razzista del governo e dell'esercito israeliano".
Ricordiamo che tutti i riservisti che prestano servizio nei Territori palestinesi si macchiano quotidianamente di gravi crimini di guerra e contro l'umanita' e potrebbero essere, insieme al loro comandante Shaul Mofaz, imputabili presso il Tribunale internazionale dell'Aja.

1 Febbraio 2002: Le N.U. chiedono aiuti urgenti per la Palestina

Le Nazioni Unite affermano che c'e' bisogno immediato di almeno 100 milioni di $ per l'emergenza in Palestina. Cibo e programmi di lavoro sono in cima alla lista delle priorita' stabilite dall'UNRWA, l'ente preposto all'assistenza dei profughi palestinesi. Il commissario speciale Karen Abu Zeid afferma che piu' di 200.000 famiglie sono in uno stato di forte indigenza a causa dell'assedio e del blocco dei Territori occupati da parte dell'esercito d'Israele, che priva le famiglie di lavoro e reddito da 16 mesi. Le Nazioni Unite stimano che circa la meta' della popolazione della Cisgiordania vive al di sotto della linea di poverta', mentre la situazione e' ancora peggiore a Gaza.

Ricordiamo che gran parte delle agenzie umanitarie deputate al sostentamento della popolazione palestinese, prima tra tutte la Holy Land Foundation, sono state chiuse ed i loro fondi bloccati da parte degli Stati Uniti, su richiesta del governo israeliano. www.arabcomint.com

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