I
toponimi di Alà
Lo studio dei nomi di luogo, o toponimi che dir si voglia, è un qualcosa di
appagante e stupefacente. Ciò vale in maniera particolare per i toponimi di Alà,
in quanto ne esistono moltissimi di origine pre-latina e alcuni dal significato
apparentemente bizzarro (Filu’e lepere, Pres’in s’ainu, Moltu su ‘oe, etc..). I
nomi pre-latini sono espressi in lingua nuragica o sardonica. Essi sono in
numero cospicuo in quanto Alà faceva parte della Barbaria, il territorio dei
Sardi ribelli che gli antichi romani non riuscirono mai a colonizzare del tutto.
La lingua nuragica era la lingua dei sardi indigeni, la lingua sardonica era la
lingua dei Lidi, popolo proveniente dalla città di Sardeis, nella costa
meridionale dell’odierna Turchia. Queste lingue sono pressoché sconosciute a
noi, salvo una manciata di parole che si conservano ancora nella lingua sarda
(assile, lacana, tuddha, thilingione, etc..). I toponimi pre-latini si
riconoscono per alcune radici (thi-) o desinenze (-ai, -oi, -ele) non comuni
alla lingua sarda, tra cui ad esempio l’accento sulla vocale finale.
Quest’ultima caratteristica permette di individuare immediatamente un gran
numero di toponimi alaesi, ad esempio Serì, Lacaralò, Bucorè, Masullà, Istenolì,
Usulò, e cosi via. Per questi nomi di luogo, lo studio dell’origine e del
significato è praticamente impossibile allo stato attuale. Vediamo qualche nome
di luogo più … “accessibile”, tralasciando quelli di semplice interpretazione.
- Alà:
il toponimo per esteso è Alà dei Sardi, ma
la specificazione “dei Sardi” è stato aggiunto in tempi recenti per distinguere
da altre località italiane dal nome simile. Sono state fatte tante teorie sul
significato di Alà, alcune molto fantasiose, ma la caratteristica comune a tutte
le supposizioni è che si attribuisce sempre un significato moderno. Ma il
toponimo è di origine pre-latina e quindi non si può attribuirgli un significato
derivante da lingue moderne. Alà rientra nel novero dei toponimi con la vocale
finale accentata, di cui si è gia detto dell’impossibilità a risalire al
significato. Tra il serio e il faceto mi avventuro in una teoria sull’origine.
Essa si basa sulla trasformazione Balàre>Balà>Alà, con l’ultima sillaba
troncata e la perdita della B iniziale. Resta da verificare se tali
trasformazioni siano comuni alla nostra lingua. La troncatura dell’ultima
sillaba è abbastanza comune, specie se l’accento cade sulla penultima sillaba.
Abbiamo per esempio il tanto usato “mì” che non è che l’imperativo “Mira” (da
mirare=vedere), oppure alcune espressioni di richiamo dei pastori, come “tirriò”
(da tirriolu=bestiola) o “trù-sa-rò” (da “truva sa roba”, esortazione a muoversi
fatta alle greggi) e così via. Quanto alla perdita della B iniziale è
caratteristica del logudorese nord-orientale, in cui è compreso l’idioma alaese
(bistrale>istrale; bachiddhu>achiddhu; beranu>eranu; bochire>ochire,
etc), e perciò abbastanza consueto e normale. In definitiva si potrebbe far
risalire il toponimo in questione dal nome dei Balares, popolo ribelle che
all’epoca della dominazione romana venne localizzato tra il Limbara, l’Anglona,
i territori di Alà, Bitti e Oschiri. La località “Su Pedrighinosu”, a sud
dell’abitato odierno, è chiamata anche Balare e non è per nulla avventato
supporre che il luogo della moderna Alà venisse indicato dagli abitanti delle
zone attigue (tra cui i pastori stanziali che nel XVII° secolo diedero vita al
paese) come “Balà”, a memoria della vecchia città dei Balari. Ricordo che i
vicini abitanti di Buddusò ci chiamano “elaesos” ma anche “balaesos”, ragion per
cui l’ipotesi è verosimile. Ecco che Alà potrebbe stare per “città dei Balares”
ovvero “città dei fuggitivi” visto che “balare” stava a significare appunto
“fuggitivo”.
- Bonastore: preso alla lettera
dovrebbe essere “bonu astore” cioè “falco buono”, ma tale soluzione convince
poco. Se è vero che spesso il toponimo deriva dalle caratteristiche del
territorio a cui è attribuito, il significato dovrebbe essere “colle del falco”
esprimendo il toponimo come “bonnu’e astore”. “Bonnu” e “Gonnu” si trovano in
tutta la Sardegna (Bonnannaru, Goni, Gonnosnò, Gonnostramatza, etc) ed indicano
altura, luogo scosceso.
- Fil’e lepere:
la traduzione dal sardo è agevole, almeno
sembra. Il problema è che come nel caso di Bonastore il significato letterale
trae in inganno. In effetti “filu” non significa solamente “filo” ma può essere
interpretato in maniera diversa, anche figurata. In questo caso sta a indicare
un percorso, un sentiero ricorrente, quasi a indicare la possibilità di seguire
il … filo di colui che lo percorre. Ecco che quindi l’esatto significato del
toponimo in questione è “sentiero di lepre” che è molto più sensato della più
immediata traduzione in “filo di lepre”. Analogamente i toponimi Filatorra – che dovrebbe
avere il senso di “sentiero di ritorno” – e Fil’e mesu, località al confine con
Padru – che dovrebbe tradursi come “sentiero di mezzo” o meglio “sentiero
interno”.
- Latari:
presso la località in questione esisteva una
stazione romana lungo la strada che da Caput Tyrsi (Buddusò) portava a Olbia. Il
toponimo dovrebbe ricondursi a “latorigu”, che in sardo indica l’erba lattaria
chiamata anche “caracia”. Indica perciò luogo in cui era presente tale flora.
- Mazzinaiu:
durante la costruzione della strada che da
Monti porta a Buddusò, verso la fine del secolo XIX°, gli operai addetti
trovarono un cadavere presso questa località. Era il cadavere di un venditore di
icone e immagini sacre. Il toponimo deriva appunto da tale ritrovamento. Il
vocabolo “mazinaju” deriva infatti da “màzine” che in logudorese significa
“immagine, icona”, e sta ad indicare appunto il venditore di immagini.
- Su annaju:
più precisamente è Punta Su annaju. Come in
buona parte dei toponimi, esso manifesta la presenza preminente di una specie
vegetale nel luogo. In logudorese settentrionale “annaju” è una tipo di prugno
selvatico che si presenta come arbusto molto fitto ed è dunque indicato per
siepi e “arrasolos”. Proprio “prugno
selvatico” dovrebbe essere l’esatta traduzione in italiano.
- Sos Nurattolos:
il toponimo indica la presenza di resti
nuragici. Il vocabolo “nurattolu” significa nel logudorese di Alà “nuraghetto”,
mentre nei paesi limitrofi tale parola risulta sconosciuta. Può darsi pure che
“nurattolu” stesse a indicare un tipo di struttura nuragica diversa dal tipico
nuraghe, probabilmente un pozzo sacro. E infatti in tale zona sono presenti
alcuni pozzi sacri ben conservati. Perciò il significato è “i nuraghetti” oppure
“i pozzi sacri”. Stessa origine ha ovviamente il nome di luogo Su
nurattolu.
- Padentes: la località, che si trova a
destra della strada Monti-Alà, qualche curva prima del bivio per Torpè, prende
il nome dal vocabolo sardo “padente” oramai non più in uso nel nostro paese.
Padente significa “bosco”, più precisamente nel linguaggio agricolo indica un
bosco di quercie ghiandifere dove venivano portati i maiali per sfamarsi di
ghiande. E nella forma plurale è il nome di una località che in passato doveva
essere adibita a quest’uso.
- Norile: la località Norile è nota
perchè ospita il santuario dedicato a San Francesco d’Assisi. Il significato del
suo nome è presto detto: in sardo “norile” è una erba parassita che si insinua
in zone non coltivate rendendo arido e duro il terreno. Il corrispondente
termine in italiano mi è ignoto. Terrinu “annoriladu” significa appunto terreno
indurito e secco.
- Mendhadores: il vocabolo sardo
“mendhadores” deriva dal verbo “mendhare” che significa “rammendare,
aggiustare”. Indica dunque colui che aggiusta, che rammenda. In particolare si
chiamavano “mendhadores” coloro che rammendavano le falle che si presentavano
nelle coperture delle abitazioni. In definitiva il toponimo in questione
significa “conciatetti”.
- Candelathu:
o meglio, Punta Candelathu. Sebbene nel
dialetto alaese moderno se ne sia persa traccia, la parola “candelathu”
significa “edera”. Il nome doveva indicare dunque un luogo con consistente
presenza di tale specie. Secondo Giulio Paulis, emerito studioso della lingua
sarda, esistono in tutta la Sardegna toponimi riconducibili al legname ricavato
nel luogo, e interpreta “candelathu” come “legna da ardere”. Anche di questo
significato la parlata alaese ha perso traccia (se mai è esistito in tal senso),
ma la presenza di toponimi simili a Ozieri, Arzachena e Luras (“Candela”) e a
Guspini e Siliqua (Monte “Candelatzu”) rende tale ipotesi abbastanza plausibile.
- Terranoa: nelle carte geografiche è
italianizzato in Terranova. Per capire l’origine di tale nome – dal significato
letterale semplicissimo – si deve far riferimento alla posizione geografica.
Tale località si trova al confine con i salti di Berchiddeddu, frazione di
Olbia, l’antica Terranova (Terranoa in sardo). Il toponimo sta dunque a indicare
la vicinanza a tali territori. I motivi di tale nome possono essere molteplici.
Se ne possono ipotizzare due. O questo nome fu attribuito indicando la
percorrenza che i pastori di Alà seguivano durante gli spostamenti verso
Berchiddeddu, indicando dunque che per queste terre si andava verso Terranova.
Oppure, si voleva indicare una protuberanza del territorio alaese che si
addentrava fino ai territori di Terranova.
- S’ispadula:
anche in questo caso bisogna attingere dal
lessico botanico. I toponimi si manifestano dunque come efficace archivio di
nomi di piante e erbe che altrimenti, con l’odierna crisi del settore
agropastorale, sarebbero presto dimenticati. In questo caso “ispadula” sta a
indicare un erba che cresce in prossimità di zone umide e negli alvei dei fiumi.
In italiano si traduce con “schiancia” ma anche con “sala” o “mazza
sorda”.
- Istuvuladores: per comprendere il
significato occorre risalire alla parola “tuvulu”. Tale vocabolo se usato come
aggettivo significa “vuoto, concavo”, se usato come sostantivo indica il sughero
maschio, stopposo e di bassa qualità, quello che più spesso viene chiamato
“eldhone”. “Istuvulare” è perciò sinonimo di “imbeldhonare”, per cui il toponimo
in questione significa “estrattori di sugheraccio”.
- Sa
tzampina: la località all’entrata del paese
prende il nome da un tipo di uva vinicola che cresce spontanea, e sta a indicare
probabilmente una forte concentrazione di tale specie nella località in
questione. In italiano dovrebbe tradursi come “lambrusca”. La parola “tzampina”
esiste solo nel logudorese settentrionale, dovrebbe trattarsi dunque di un
termine gallurese proveniente dalla Corsica (“zumpina”) assimilato dalla parlata
alaese.
- Malesa:
bisogna fare riferimento al vocabolo
logudorese “malesa” che sta a indicare “cespugliame, luogo non pulito”. La non
pulizia in questo caso va interpretata nel senso agro-pastorale, non indica
dunque sporcizia in senso lato, bensì presenza di cespugli vari e sottobosco che
dimostrano una scarsa cura del terreno. Analogo significato ha in sardo la
parola “lorra”, che indica più precisamente “sterpame”. Si capisce quindi in
maniera immediata l’origine del toponimo Sa
lorra, località non molto lontana da Malesa,
che ha lo stesso identico significato.
- Sos
settiles: anche in questo caso occorre
risalire a un vocabolo oramai scarsamente utilizzato nel dialetto alaese, che è
indicatore dell’aspetto della località. In logudorese “settile” indica un
piccolo altopiano, una leggera collinetta dalla cima piatta ed ampia. Il
toponimo sta appunto a indicare questa conformazione morfologica del
territorio.
- S’iscandhula:
rifacendomi alla geniale intuizione di
Giulio Paulis, che afferma che alcuni toponimi sardi sonooriginati dagli
specifici prodotti – specialmente legname e sughero – che dalla località si
ricavano, desumo abbastanza semplicemente il significato di questo nome di
luogo. In sardo “iscandhula” indica l’asse di legno usata come tramezzo tra due
travi o come tegola per tetti. Nella località in questione può darsi ci fosse il
legname adatto a fabbricare questo materiale, e dunque ha segnato il suo nome.
Il termine è in disuso in quanto in disuso è l’utilizzo di queste assi,
soppiantate da materiali edili più moderni.
- Mala carrucca:
questo nome di luogo è composto da due
termini, il primo di facile interpretazione. Quanto al secondo, occorre
scandagliare l’ampio lessico sardo per darne un’esatta traduzione, in quanto non
più di uso comune. Per “carrucca” – che deriva dal comunissimo “carru”
–
si intende la “treggia”, un carretto
senza ruote usato per trascinare i covoni dai campi all’aia. Il significato
bizzarro che ne scaturisce (“cattiva treggia”, in cui cattiva dovrebbe avere il
senso di “inidonea”) mi spinge a supporre un diverso significato, magari a
indicare una specie botanica, o una particolarità morfologica. Ma non ho avuto
nessun valido riscontro. Sempre dal vocabolo “carru” deriva il toponimo
Carruzzu, del quale dovrebbe un
diminutivo, e dunque significa “carrettino, calesse”.
- Su
puleu: non so se il termine sia ancora vivo
nel lessico alaese, poiché non l’ho mai sentito. In ogni caso, nella lingua
sarda “puleu” è un tipo di menta selvatica che in italiano dovrebbe essere
espresso come “puleggio”. Come già visto per altri toponimi, questo nome di
luogo stava a indicare la presenza in loco di questa tipo di erba.
- Senalonga: questo è un toponimo che
può dar adito a errori e cattive interpretazioni, a meno che non si abbia una
ottima conoscenza delle specie botaniche e del loro appellativo in lingua sarda.
Verrebbe infatti spontaneo scindere il toponimo in “s’ena longa” e tradurlo
dunque come “il lungo acquitrino” in quanto “ena” oltre che in “vena” e
“sorgente” indica anche i terreni umidi e acquosi. Invece il toponimo si
riconduce a un vocabolo di senso compiuto, che eventualmente si potrebbe
scindere in “sena longa”. Poiché “sena” in sardo indica la “senape”, viene
spontaneo pensare a una specie botanica. Infatti la “senalonga” è una pianta
molto simile alla ginestra che in italiano si chiama “vescicaria”. L’origine del
toponimo è ovvia: la presenza di questa pianta in quantità rilevante.
- Gianna
laccana: è un altro nome di luogo che
potrebbe essere facilmente liquidato con una semplice interpretazione letterale.
Ma come visto per Filu’e leppere, bisogna comprendere bene il suo significato.
Il termine sardo “gianna” non significa solamente “porta”, ma viene usato in
maniera figurata per indicare qualsiasi varco o valico. E in questo caso ha
proprio il significato di valico, precisamente si può tradurre come “valico di
confine”. E infatti la località in questione si trova tra i monti al confine
meridionale con il territorio di Buddusò. Analogamente Gianna lailga
è “valico largo” , Gianna ruja è
"valico rosso",mentre è incomprensibile il significato di Gianna lara che
letteralmente sarebbe “valico della labbra”, ma deve avere qualche altro
significato meno bizzarro. Il senso figurato appena analizzato si può estendere
ad un altro termine sardo – “bucca” – che alla lettera significa bocca, ma può
esprimere anche concetti come “varco” e “apertura”. Così Bucca’e mandra
appunto non deve essere interpretato nella
sua accezione letterale, bensì nel senso di “varco del recinto”.
- Su
semperviu: la località che è al confine con
Bitti ha un nome insolito, che non presenta le caratteristiche sonore del
logudorese di Alà. Sarebbe facile ipotizzare che il toponimo sia espresso nel
nuorese di Bitti, e si possa scindere in “semper viu”, vale a dire “vivo per
sempre”. Ma si è fuori strada. Il toponimo è una sardizzazione della versione
dotta latina “sempervivus” che in italiano è tradotto in “amaranto” anche se
esiste la forma “semprevivo”. Indica dunque una pianta dalle foglie grosse e
fiori rosso-violacei.
- S’arroccu: per comprendere il
significato occorre risalire al verbo corrispondente: “arroccare” (o anche
“arrocciare”) significa in lingua sarda “bloccare in un posto”. Dunque il
toponimo in questione si può interpretare come “luogo di blocco”. Esso vale sia
per le persone (un posto di blocco delle forze dell’ordine è in effetti un
“arroccu”, così come lo è l’impossibilità a muoversi da un posto a causa di neve
o altre intemperie) sia per il bestiame (ad esempio mettere in un angolo senza
vie di uscita le greggi per la mungitura e la tosatura). L’origine del toponimo
è senz’altro riferita agli animali, indicando un luogo in cui essi erano
impossibilitati a andare altrove. Ma essendo una località sita in un colle
ripido e isolato, il nome potrebbe derivare anche da questa caratteristica
morfologica che lo fa sembrare un eremo senza vie di fuga.
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