Nei primi del Novecento, un gruppo di giovani pittori spagnoli soggiornò ad Atzara

CHICHARRO E SOCI

Di Salvatore Naitza

Sul numero ancora oggi non esiste certezza; tuttavia, la loro permanenza è comprovata da alcuni dipinti di soggetto sardo. In ogni caso, quelle visite valsero a scuotere l'ambiente artistico isolano indirizzandolo verso la modernità

Sul numero sette del 21 febbraio 1909, "La Domenica del Corriere riproduceva, nella pagina dedicata alle Belle Arti, un «quadro di costumi sardi di Atzara, del pittore venticinquenne Ortiz Echague, di Gadalajara, allievo del 50 anno di pensionato dell’Accademia di Spagna, a Roma». Nella stessa nota si diceva che l’opera intitolata "La festa delle Patronesse era esposta insieme ad altre sei di soggetto sardo in una mostra aperta nella stessa Accademia.

L’autore di questo dipinto, nel 1924, scriveva dall’Argentina: «...questa campagna non è certo la Sardegna, altrimenti sarebbe l’ideale dipingere mentre si bada ai propri interessi. Ma la "figura" qui non offre nessuno stimolo e per 35 km vivono solamente i nostri pastori, poco numerosi e poco appetibili pittoricamente. Il tipo indio presenta un colorito troppo brutto, i costumi non esistono, comprano ogni cosa in un magazzino del villaggio più vicino, orribili articoli di bottega; no, preferisco, quando potrò, prendermi delle vacanze e dipingere in Sardegna i bei rossi, verdi, bianchi con volti interessanti. Quanto a me, ne ho il ricordo come l’ultimo paese dove ho dipinto!».

Queste confidenze, che ho tratto (e tradotto un po’ liberamente) da una lunga lettera diretta al noto pittore nuorese Antonio Ballero, esprime una evidentissima nostalgia della nostra gente e della nostra terra. Ortiz Echague scriveva dalla propria estancia nella Pampa centrale argentina, dove si era stabilito con la giovane moglie olandese e con i familiari di quest’ultima per impiantarvi un grande allevamento di bestiame.

Al di là del pittoresco confronto tra sardi e indios, Ortiz Echague ricordava, nella stessa lettera, il tempo felice del suo soggiorno ad Atzara, nel 1908, dal quale aveva riportato, insieme alle belle impressioni ed alle amicizie, anche qualche dipinto; egli fa un lungo riferimento soprattutto ad una grande tela, "La festa delle Patronesse" ricordata poc’anzi, che afferma di aver esposto con grande successo in importanti rassegne internazionali, tra l’altro a Parigi.

Questo avventuroso castigliano non era stato il solo pittore spagnolo ad arrivare in Sardegna all’inizio di questo secolo. Prima di lui, nel 1901, alcuni giovani artisti, che godevano tutti di un "pensionato" presso l’Accademia spagnola di Belle Arti a Roma, erano giunti in Sardegna stabilendo la residenza principale ad Atzara, negli immediati contrafforti del Gennargentu.

Stando all’opinione comune, pare che la decisione di questo viaggio sia nata durante il Giubileo del 1900. In origine ci sarebbe stato l’incontro casuale tra artisti iberici, ospiti appunto dell’Accademia di Spagna, ed i pellegrini provenienti da Cagliari. Tra questi ultimi, spiccava un gruppo in costume formatosi ad Atzara ed evidenziato dallo straordinario abbigliamento cerimoniale sia maschile che femminile.

S'immagina facilmente la viva curiosità nei confronti degli Atzaresi e, verosimilmente, la richiesta da parte dei pittori di posare per poter riprendere "soggetti così fuori del comune; da qui alla nascita di un interesse più profondo il passo è breve.

Il desiderio di conoscere meglio la realtà nella quale sussistevano ancora, all’alba di un secolo che s’annunciava come l’era trionfale del progresso tecnologico, costumi indubbiamente fascinosi ma evidentemente legati ad arcaici modelli di vita, costituiva una spinta abbastanza forte per un viaggio di esplorazione.

Peraltro, non bisogna sottovalutare una potente molla che, per i giovani spagnoli, partiva da ragioni di carriera. Tra l’Ottocento ed il Novecento, il folklore rappresentava, infatti, forse il tema più diffuso e apprezzato negli ambienti artistici spagnoli dove vigeva una tendenza, riportabile all’estetica post-romantica del naturalismo europeo , denominata "costrumbrismo".

L’oggetto del desiderio di questi artisti parrebbe ricadere dentro la sfera etnografica oltre che in quella formale: frutto, dunque, di un atteggiamento alquanto staccato e descrittivo. In effetti, dall’insieme della vicenda emerge soprattutto un interesse umano, un autentico bisogno o la volontà di vivere direttamente in una dimensione civile d’eccezione come quella offerta allora dalla Sardegna dove uno straordinario patrimonio popolare manteneva intatto soprattutto nei suoi centri più interni.

I segnali di una decisa simpatia verso singole persone e, più genericamente, verso la popolazione sono infatti molteplici. In questo senso, la citata lettera di Ortiz Echague, scritta addirittura sedici anni dopo il soggiorno sardo, non rappresenta un episodio isolato. Restano, per esempio, tra le carte superstiti di Antonio Ballero, che aveva messo a disposizione una sua casa ad Atzara, le tracce di un fervido scambio d’idee e d’informazioni con gli artisti ospitati. Una corrispondenza che, nelle sue pieghe, rivela sentimenti ed echi personali scaturiti non da una circoscritta ottica professionale ma piuttosto frutto di una disposizione ben altrimenti amichevole e confidenziale. Si tratta di lettere nelle quali si riversano sfoghi e giudizi e si ricordano fatti e persone della permanenza ad Atzara; di cartoline illustrate contenenti saluti, rapide comunicazioni, e qualche battuta; di brevi bigliettini riferibili ad episodi spesso tristi della propria vita familiare ecc..

Il carteggio si sviluppa in decine d’anni e ci documenta qualche circostanza, ci fornisce indicazioni utili ad individuare qualche movimento compiuto nell’isola e ci apre una finestra sui rapporti personali intrattenuti durante il soggiorno.

Per altro verso, è anche vero che queste informazioni non sciolgono diversi dubbi né dirimono punti oscuri circa le date d’arrivo, i tempi di permanenza e persino sui nomi degli artisti che facevano parte del gruppo. Sono elementi che riguardano lo storico, si dirà; d’altra parte, proprio queste incertezze hanno addensato su questo importante episodio fumi di leggenda, in parte alimentati dagli stessi ambienti artistici sardi, forse per fabbricare un importante certificato di nascita" della scuola nostrana e magari un blasone.

Così per dirne una, si è accreditata una vera e propria diceria circa la presenza tra questi artisti di illustri personalità. Si è parlato (alimentando una tradizione orale) del passaggio di Anglade, di Sorolla, addirittura di Zuloaga, pittori tutti della massima importanza. Ma nei carteggi qui richiamati non esiste traccia dei loro nomi come compagni di viaggio; vengono di volta in volta citati (e il fatto riveste un certo rilievo) unicamente come esempi conclamati di sicuro valore culturale e stilistico. D’altronde, è ragionevole pensare che personaggi dalla fama tanto ben consolidata non potessero far parte di una comitiva di giovani all’inizio della loro carriera.

Non è comunque, questo, il luogo e l’occasione per dirimere un problema tanto complicato; ci risulta peraltro che è attualmente in preparazione un libro dal quale verrà finalmente piena chiarezza sull’interessante episodio. Consideriamo dunque, per ora, solamente le certezze che ci provengono dai pochi documenti pittorici rimasti presso famiglie, da scarse fonti giornalistiche d’epoca, dalla corrispondenza e dalle testimonianze orali raccolte in tempi non sospetti; oltre alle notizie accertate di cui ci ha parlato suggestivamente, in un recente articolo, Antonio Corriga, artista ben noto, atzarese di nascita.

Riprendiamo allora la vicenda dal momento dell’arrivo del gruppetto di artisti spagnoli nel ridente paese del Mandrolisai, in seguito ai rapporti stabiliti a Roma (1901). I loro nomi, nei limiti delle attuali conoscenze, dovrebbero essere i seguenti: Edoardo Chicharro, un Quiròs e un Pagano, non diversamente identificabili; l’altro è, appunto, Ortiz Echague, sicuramente presente nel 1908. Si può sensatamente ipotizzare che questi non facesse parte della prima spedizione in quanto nel 1900 era appena sedicenne né godeva ancora del pensionato.

Pare logico pensare che questi pittori abbiano fatto più di una visita in anni diversi e non sempre nella medesima "formazione come sembra potersi dedurre da taluni riferimenti o indizi contenuti nelle lettere conservate da Antonio Ballero. Infatti, mentre un dipinto di Chicharro, che rappresenta due figure femminili in costume di Atzara, colte in un morbido controluce, risale forse ad uno studio iniziato a Roma nel 1900, come fa supporre la datazione, le opere di soggetto atzarese firmate da Ortiz Echague sono tutte del 1908.

Non sembra pensabile che venisse solennemente documentata una permanenza ai limiti della vacanza culturale o, meglio, del viaggio d’istruzione. Perciò, in mancanza di certezze storiche dobbiamo ricorrere a una libera ricostruzione dei fatti. Dobbiamo cioè immaginare la vita e l’attività di questi giovani appassionati, le loro frequentazioni, i movimenti tra i vari paesi del Nuorese.

La ricerca di fonti folkloriche comporta l’inseguimento delle feste che in Sardegna si sviluppano con rinnovata partecipazione emotiva di anno in anno e da una stagione all’altra. Per Chicharro, Quiròs, Pagano ecc. il "vagabondaggio" praticato del resto dai pittori europei di quell’epoca, dalla Russia alla Spagna ,doveva quindi essere la norma, partendo dalla sicura "stazione di Atzara che l’ospitalissimo amico Antonio Ballero aveva messo a loro disposizione. Con le diligenze, con i carri o a cavallo, ma anche — perché no? — pedibus calcantibus, questi artisti giravano molto. Per esempio, tra i dipinti di Edoardo Chicharro risulta un bozzetto con "Figure di Mamoiada" e nella esposizione di Ortiz del 1909 figurava un "Pranzo a Mamoiada’ considerato da taluni un riferimento di fondo per la nuova pittura sarda, e ancora il dipinto "Donne di Dorgali".

Per quanto riguarda il tipo di esistenza ad Atzara, non solo vanno immaginati gli inviti ad amichevoli festini ed a qualche bevuta, ma vanno tenuti presenti alcuni ritratti, ancora conservati dalle famiglie, che denotano senza dubbio l’apprezzamento della loro arte ed una buona convivenza. Alcuni elaborati di questo genere riguardano sia maggiorenti come Pietro Sias sia giovani donne, come i bei bozzetti a carboncino raffiguranti Antioca Virdis e Luisa Manis, entrambi di Ortiz .

Dal punto di vista artistico, lo stile delle opere in questione è ancora, sostanzialmente, accademico per quanto concerne i bozzetti, mentre le opere più finite e impegnative aderiscono strettamente al verismo "populista" tanto diffuso in Europa con in più una nota vivace e decorativa espressa attraverso colori brillanti che squillavano dentro una composizione ricca di contrasti e chiaroscurali. Sono modi nei quali si riflette una situazione culturale di passaggio tra le preferenze romantiche ottocentesche per i toni caldi e profondi e la lezione impressionistica dei colori puri.

Tra gli spagnoli, mentre potremmo definire Ortiz come il più creativo, la personalità di maggiore spicco era senz’altro Edoardo Chicharro. Colto, dotato di talento teorico (forse guastato da una certa pedanteria), apprezzato in patria per la sua pittura severa, aperta con attenta misura alle novità, Chicharro continuò, tra un viaggio e l’altro in patria, a mantenere un riferimento costante verso l’Italia dove restò poi a dirigere l’Accademia di Spagna a Roma.

Per quanto riguarda le influenze culturali provocate da tali importantissime presenze esterne, pur senza sopravvalutarne la portata, si può affermare che furono notevoli sotto diversi profili (modello del luogo Atzara per Biasi, Figari, ecc., penetrazione di un modello modernista iberico per la Sardegna...).

Per farsene un’idea adeguata, occorre partire da un dato di fatto. Nella nostra isola non esisteva, in quel periodo, una vera ed incisiva tradizione moderna. Naturalmente si contavano alcune eccezioni di valore individuale: ad esempio, la più avanzata delle correnti italiane, quella divisionista, aveva un convinto ed unico assertore in Antonio Ballero. Un altro operatore sardo, Giacinto Satta, coltissimo e tentato dai modelli stilistici europei della seconda metà dell’Ottocento, si fermava comunque alle soglie dell’impressionismo.

Dunque, non può essere contestata la funzione culturalmente propulsiva esercitata sui pittori spagnoli i quali, per quanto ancora in via di maturazione, erano validi portatori di stimoli derivanti dal prestigioso ambiente artistico madrileno e del modernismo barcellonese. Credo proprio che si debba a un simile avviamento formale iberico il fatto che la cultura artistica sarda, di fronte alle esasperate alternative del primo ventennio del nostro secolo, divise tra le avventure estetiche d’avanguardia e le poetiche moderate delle Secessioni, scegliesse di operare con una sua originalità all interno di queste ultime.

Ritengo che a questa prima indicazione, offerta da stranieri del folklore come fonte di ricerca sociale o di pretesti formali, si debbano l’orientamento in tal senso dell’arte sarda nella prima metà di questo secolo ed il metodo della peregrinazione presso i santuari della tradizione. A cominciare da Atzara così cara a Filippo Figari, e dalle Barbagie in genere, sino al Campidano di Oristano apprezzato da Ballero e da Carmelo Floris, al Logudoro ed alla mitica Teulada, luoghi cari a Biasi e Mario Mossa Demurtas. Alla loro indicazione di valore si deve anche la conoscenza e imitazione dei pittori spagnoli del XX secolo da parte di molti artisti nostrani.