I Pittori Spagnoli

di Antonio Corriga

 

Particolare del quadro di Antonio Ortiz  dal titolo " La festa della confraternita di Atzara 1908/1909

I colori della Spagna sulla tela di Sardegna

  Il palazzotto di Carmina e Pietro Sias, sprofondato fra i tetti sconnessi del rione più dimesso del paese, si circondava di antico mistero. Qualcosa di tenebroso e oscuro, di non scrutabile, di vagamente demoniaco teneva lontana e sospettosa la gente che solitamente gravita attorno alle dimore dei potenti. Eppure, una volta varcata la soglia e conquistato il privilegio di esservi accolti, quelle pareti biaccose e fresche perché frequentemente ripassate di calce, quei profumi intriganti che sapevano di passato, la maggiorana e il mandarino arsi nei bracieri di rame, i mannelli di lavanda seccata entro gli armadi, gettavano un fascino sottile su di me giovanissimo frequentatore. Le raccolte de "La Domenica del Corriere" e de "L'illustrazione italiana" ordinate scrupolosamente nelle vetrine a muro assieme a ceramiche pretenziose di lustri metallici e di cangianti patine auree, conferivano quel tono distinto che è proprio delle case facoltose e ricche.

La casa Sias era assurta a salotto culturale atzarese dove si discettava di storia e di politica in termini aconfessionali e progressisti, scortati da probabili letture razionaliste derivate, perché no, da pratica di romantica massoneria. Così, mentre Carmina viveva per una scelta, segregata fra i ricordi aviti, Pietro, il fratello, esuberante, ricercato e sufficientemente spregiudicato, faceva sentire la propria autorevolezza in tutti gli anfratti in cui si svolgeva la contraddittoria vita della comunità atzarese. La sua immagine evocava personaggi che non esistevano più ma che aveva egli conosciuto e sentiva vicini; le sue maniere, quel suo garbo di "signore d'altri tempi" lo facevano catalizzatore degli umori del paese. Era ospitale e di fine cultura e gli piaceva esibire quella sua casa dal singolare arredo.

Nelle bianche, gibbose, pareti, alle vecchie, scontate oleografie si frammischiavano con ostentata ricercatezza una serie di dipinti ad olio che rappresentavano soprattutto personaggi atzaresi facilmente individuabili; un austero ritratto dello stesso Pietro Sias che indossava una calda paglietta, dipinto da Antonio Ortiz Echague de Guadalajara, campeggiava sulla parete principale dello stesso autore, un dettaglio a grandezza naturale forse ricavato dalla grande composizione "La festa delle Patronesse" esposto a Roma nel 1909 ed ora al Museo di San Telmo a San Sebastian in Spagna. Era opera di Ortiz un sintetico studio quasi monocromatico di terre brune e di ocra che ritraeva una giovinetta. Una coppia di buoi aggiogati era forse lo studio di un particolare per la grande tela su "Il ritorno alla festa di San Mauro" che Eduardo Chicharro avrebbe voluto presentare alla Accademia di Belle Arti di Spagna in San Pietro in Montorio a Roma quale pegno per il privilegio d'essere di questa borsista. Di Eduardo Chicharro era pure la tela con "Figure in controluce" ed il bozzetto "Figure di Mamoiada".

Altre opere di questi straordinari artisti si ammiravano presso altre abitazioni di Atzara; il ritratto di Bartolomeo De Murtas con il relativo studio preparatorio in bianco e nero ed un ritratto di Luisa Manis realizzato anche esso con i carboni minerali e di proprietà della famiglia Asoni. A proposito di quest'opera, ricordo che Filippo Figari, in una delle frequenti conferenze presso l'aula magna dell'Istituto d'Arte per la Sardegna a Sassari, mentre confessava la suggestione e la grande influenza esercitata dai giovani pittori spagnoli sugli artisti sardi di quel momento, definiva questo disegno come esemplare e di rara fattura. Analoga, onesta dichiarazione, a proposito di questa influenza, ha fatto Stanis Dessy: «Ma soprattutto influirono su me e su tanta pittura sarda ch'è venuta dopo, gli "spagnoli di Atzara". Di costoro e della loro opera, si parlava come di qualcosa che tutti avremmo dovuto conoscere. Il "Pranzo a Mamoiada" di Ortiz era considerato il nonno se non il padre di tutta la pittura sarda che si è sviluppata in quegli anni ruggenti del nostro folclore».

Queste opere probabilmente, non erano che la parte meno significativa della produzione di questi due giovani se si presume che la parte migliore l'abbiano trasferita a Roma e Madrid, centri di provenienza, ed in Argentina dove Ortiz si trasferì qualche tempo dopo avere terminato il soggiorno sardo. Frequentarono Atzara, in quegli anni, Antonio Ballero, la cui famiglia vi possedeva una bella tenuta con casolare, ed il De Quiros di cui il Ballero ci ha lasciato un ritratto di straordinaria freschezza e modernità oggi proprietà del Municipio atzarese. Questo processo d'informazione, che, mobilitando le giovani energie artistiche di allora, aveva coinvolto sicuramente lo stesso Francesco Ciusa di cui si fa menzione in qualche lettera di Ortiz, aveva attratto Giuseppe Biasi e Filippo Figari e finirà col condizionare a lungo ed in profondità l'elaborazione di un linguaggio autoctono, le scelte stilistiche, il timbro pittorico e le stesse tematiche fatalmente collegate a quel filone del "costumbrismo" che informava tanta pittura iberica nei lustri a cavallo tra il vecchio ed il nuovo secolo.

E' importante ricordare che quando si verifica la immigrazione dei giovani spagnoli verso la Sardegna e verso Atzara in particolare, Chicharro vi giunge, come dicevamo, nella primavera del 1900, l'arte sarda continuava a patire di quell'astemia culturale che per secoli, ma nell'Ottocento in particolare, aveva posto la Sardegna in condizioni di totale emarginazione rispetto a tutti quei fermenti creativi e innovatori che segnavano l'Italia continentale ed in misura maggiore la Francia e la stessa Germania con l'articolato movimento impressionista. L'arrivo pressoché improvviso e apparentemente immotivato dei pittori iberici nell'isola trova la situazione artistica sarda incantata dagli orpelli di culture stanche e tediose e perciò superate e fuori del tempo, soprattutto se riferite a quanto contemporaneamente andava attraversando l'Europa col conseguente stravolgimento di moduli e schemi che non reggevano i ritmi imposti dall'affermarsi di moderne tecnologie nel campo dell'ottica e della visuale ma anche nel senso di quella concettualità rigorosa che deve presiedere il rapporto fra architettura e costruzione pittorica.

Con Chicharro, Ortiz Echague, De Quiros arrivano in Sardegna e ad Atzara segnali più o meno riflessi e messaggi sugli assetti verso cui si indirizza la ricerca delle correnti pittoriche europee degli ultimi decenni del secolo appena trascorso. Reciproche mutuazioni franco iberiche, anche in qusto caso, fanno si che Manet e Courbet siano in qualche modo presenti nella stesura cromatica e nel taglio compositivo del ritratto di Pietro Sias di Ortiz Echague così come nelle "Figure in controluce" di Chicharro si avverte la lezione degli epigoni dell'impressionismo, con qualche ritardo, forse e, come diceva Richard Scheurlen, per evidenti contrazioni gestuali dovute alla giovane età; fatto che tratteneva nei pittori spagnoli lo slancio mediante il quale costoro cercavano la via d'uscita dal mondo tenebroso e drammatico che incupiva il cromatismo e il vigore delle tele di Ignacio Zuloaga.

Ma era la pittura di Joaquin Sorolla, il valenciano più illuminato dai movimenti che scuotevano l'arte europea, a stimolare e sollecitare, soprattutto su Ortiz Echague, l'acquisizione delle nuove concezioni del colore e del primato della luce. Stanis Dessy lo annovera fra i componenti il gruppo degli spagnoli di Atzara ma non disponiamo di alcun riferimento certo a questo proposito. L'arrivo di Eduardo Chicharro ad Atzara avviene alla fine di maggio del 1900 e coincide con le celebrazioni delle festività di San Mauro che si tengono nel complesso monumentale arroccato in una delle ultime prominenze della catena del Monte. Dai racconti che ne facevano quei vecchi che lo avevano conosciuto, il giovane "straniero" divenne fatalmente oggetto di curiosità, in quanto personaggio atipico, studiato e spiato nei suoi comportamenti, forse talvolta bonariamente canzonato ma anche amato e ammirato per quei prodigi nell'esercizio artistico.

Quando vi giunse Chicharro, ad Atzara la vita scorreva liscia, senza grandi ansie e senza sfarzi ma anche senza la biblica miseria che attanagliava altre comunità. Le varianti al tran-tran giornaliero erano costituite dal rincorrersi puntuale delle festività scandite in un programmato calendario ricorrente in quei periodi in cui l'interruzione non intacca i ritmi produttivi. La più attesa di queste, rutilante di colori e rumorosa, era quella di San Mauro che impegnava l'ultima settimana di maggio. Il tempio di San Mauro, sotto l'acrocoro in cui insistevano rovine di un antico convento di monaci greci, si fregia di un tronfio rosone gotico catalano presente in altri coevi edifici della zona. Addobbata di ex voto di "miracolati" e di un arredo liturgico piuttosto modesto, s'affaccia su un suggestivo patio circondato da alcuni ombrosi olmi centenari e da qui si ammira il bel casolare rosato dei Ballero nella collina che fronteggia simmetricamente quella di San Mauro. La festa di San Mauro richiamava gente d'ogni parte della Sardegna, sia perché ricca di attrazioni, sia perché a lato della festa religiosa e civile, vi si svolgeva uno fra i più importanti mercati di bestiame. Affluivano a San Mauro folle di pellegrini devoti e mesti, imploranti sofferenti, ma anche avventurieri e mercanti e tra la folla disordinata vi si confondeva solitamente qualche temerario latitante. Tra le baracche improvvisate, nel rincorrersi di musiche ancestrali o lo snodarsi delle danze, s'accendeva furiosa la morra ed esplodevano le risse di ladri e avvinazzati. Già nel pianoro si esibivano gli ardimentosi cavalieri che mostravano i propri destrieri scalpitanti fra nuvole di polvere, grida di donne esagitate, urla di bambini atterriti. Tale fu l'impressione che ne ricevette Chicharro, da progettare, subito dopo, una grande composizione in cui fosse rappresentato il "ritorno dalla festa di San Mauro".

La chiesetta sconsacrata di San Giorgio è stata a più riprese l'atelier ideale per diversi pittori specialmente quando questi si sono trovati ad affrontare tele di dimensioni ragguardevoli come "Il ritorno dalla festa di festa di San Mauro" di Chicharro o successivamente, quando il secondo spagnolo Antonio Ortiz Echague vi dipinse la grande tela de "La festa delle patronesse" e più tardi ancora quando un altro pittore della scuola iberica, Eduardo De Castillo, preparò gli studi per "Il pane".

Noi pensiamo che la causa che ha spinto Chicharro verso Atzara la si trovi in una curiosa concomitanza: le celebrazioni giubilaiche dell'Anno Santo avevano richiamato un folto gruppo di pellegrini sardi organizzati da alcune nobili famiglie cagliaritane, come riportato dal Bollettino Ufficiale dei pellegrinaggi del Gazzettino Sardo, organo diocesano cagliaritano. A questo gruppo si aggregò una mezza dozzina di atzaresi di cui faceva parte quel Bartolomeo Demurtas che diventerà l'elemento determinante per condurre in Sardegna Eduardo Chicharro. Si conobbero infatti a Roma alle celebrazioni vaticane, il giovane spagnolo fu attratto dal caratteristico abbigliamento della comitiva. Invitato a visitare Atzara, non si fece pregare ed ottenuta l'autorizzazione dell'Accademia vi si trasferì. Effettivamente il paesaggio, il clima, la tipologia degli abitanti offriva materiale ideale e stimolante per la sua pittura rigorosamente costruita, di forte modellato plastico.

Vi si fermò e si sarebbe trattenuto a lungo se un attacco violento di malaria non lo avesse costretto a rifare le valigie. Nei primi mesi dell'anno successivo rientrò all'Accademia di San Pietro di Montorio della quale diventerà per lunghi anni direttore. E fu lo stesso Chicharro a convincere il nuovo borsista Antonio Ortiz Echague de Guadalajra a puntare su Atzara. Questi, a sua volta, vi soggiornò per qualche anno prendendo alloggio presso quella locanda da "Puerto Escondido" di "Giorgigheddu Maccioi" col quale, a causa delle difficoltà economiche, aveva avuto alterchi più o meno vivaci e frequenti e spesso di pubblico divertimento.

Antonio Ortiz Echague, nato a Guadalajra nel 1883 aveva appena ventiquattro anni quando giunse in Sardegna. Eduardo Chicharro lo aveva presentato agli amici Antonio Ballero e Francesco Ciusa e la compagnia di costoro visitò i dintorni di Nuoro fermandosi a lavorare per qualche tempo a Mamoiada e a Dorgali. In compagnia di Ballero conobbe Atzara e qui decise di trattenersi più a lungo. Antonio Ortiz Echague è certamente la figura più intrigante degli spagnoli di Atzara. La sua pennellata larga e pastosa, quel modellare i volumi e gli impasti con disinvoltura perizia fanno della sua pittura un riferimento di eccezionale interesse. L'eleganza tonale della pittura secentesca e del Velasquez in particolare, trasmettono suggestione e incanto. Era stato un ragazzo prodigo e nella maturità uno dei pittori più affermati del periodo. Il pittore castigliano troverà ad Atzara le stesse amicizie che avevano sorretto qualche anno prima Eduardo Chicarro. Tra la popolazione vi era persino una maggiore disponibilità a posargli e rendergli più agevole l'operare in ogni circostanza. Tuttavia quando si accinse a dipingere la grande tela de "La festa delle patronesse" nella chiesetta di San Giorgio ebbe modo di soffrire molto la incomprensione ed il sabotaggio per la direzione di alcune giovani modelle in quanto "questa professione apparteneva nelle metropoli a categorie di donne classificate di dubbia moralità", risolvette l'incidente eseguendo studi staccati e frammentari che poi ricollocava puntigliosamente nella grande composizione delle tante figure che si muovono asimmetricamente attorno al grande tavolo imbandito a festa e che costituisce in qualche modo lo sviluppo compositivo e trionfale del "Pranzo a Mamoiada".

E'pensabile che tutte queste presenze abbiano costituito un motivo d'attrazione tanto forte da richiamare osservatori d'eccezione seppure giovanissimi come Giuseppe Biasi e Filippo Figari i quali iniziarono in tal modo una sorta di pellegrinaggio devoto e sempre più intenso verso il paese del Mandrolisai dove si andavano gettando le basi per una sorta di accademia spontanea che si andrà sviluppando in forma quasi continuativa per lunghi anni. Percorreranno la pista atzarese Antonio Ballero, Giuseppe Biasi, Filippo Figari, Mario Delitala, Carmelo Floris e Stanis Dessy. Figari prese dimora ad Atzara nell'aristocratico palazzo dei Conti di San Martino dove poté attrezzare uno studio ampio e idoneo ad ospitare le grandi tele per la sede delle Corporazioni, del Palazzo di Piazza Carmine a Cagliari e della pala "La moltiplicazione dei pani" della "Parrocchiale di Arborea" oltre ad un notevole numero di quadri da cavalletto.

Casa Figari costituiva nell'Atzara degli anni Trenta un richiamo di aristocratica sacralità. Era egli stesso, in quanto personaggio, oggetto di sconfinato rispetto e venerazione. Figari aveva sposato e portato con sé ad Atzara una donna di rango, teatrale e con pretese canore da grande soprano che soleva accompagnarsi con un maestoso pianoforte per gorgogliare ininterrottamente arie e romanze di opere liriche celebrate. Nel 1935 Figari creò l'Istituto D'Arte per la Sardegna a Sassari e nel 1936, durante un viaggio nella costa napoletana, conobbe a Positano il pittore tedesco Richard Scheurlen. Rimase colpito dalla freschezza della pittura in plein-air che il tedesco faceva per le strade scoscese di Positano; grandi tele con figure colte in tutta la spontaneità dei movimenti e immerse in una atmosfera rarefatta in cui la luce del sole radente, scintillando nei profili principali delle masse compositive, conferiva quella mobilità che mancava nelle immagini figariane, sempre scenografiche e perciò sottomesse al compromissorio linguaggio accademico delle sue grandi decorazioni. Scheurlen, instancabile viaggiatore, attento e colto conoscitore dei movimenti artistici europei, si fece agevolmente convincere a visitare Atzara dove la sua pittura avrebbe trovato più che altrove occasioni ispiratrici ancora più coerenti. E vi si trasferì per viverci e lavorarci per circa una quindicina d'anni, allargando in tal modo quella catena iniziata qualche lustro addietro. Contrariamente a quanto si può pensare, Richard Scheurlen non ha solo amato Atzara, né si è fatto condizionare ad osservatore passeggero, ma ne ha carpito il fascino intimo, è entrato nel profondo della sua anima, ne ha colto l'essenza reale.

La presenza di questi personaggi ha introdotto nel costume di vita del paese, elementi di duttilità e progresso culturale che per continuità e dimensioni ha travalicato gli angusti confini che lo limitavano. Oggi si avvera un grande sogno. Il Museo Regionale d'Arte che si inaugura, presentando le opere scelte di Eduardo Chicharro e di Ortiz Echague, conferma la fortuna di averli ospitati. Così, quelle opere che arredavano casa Sias, Demurtas e Asoni indicavano giusto.

Pubblicato su L’Unione Sarda del 14 Agosto 1995