L’intifada e la salute mentale dei bambini

Il dr Eyad El Sarraj, psichiatra, ha aperto durante la prima Intifada un centro di salute mentale a Gaza City e ha ripetutamente trattato dei problemi fin da allora gravanti sui Palestinesi e specialmente sui bambini e i giovani.

 

La pace e i bambini delle pietre

di Eyad El Sarraj

(da www.gcmhp.org)

Introduzione

L’Intifada di Al Aqsa che ha scosso l’area come un terremoto non era inattesa: numerosi segnali ne indicavano l’imminente scoppio, chiaramente visibili a tutti coloro che li volessero notare.

La prima Intifada (1987-1994) è stata una delle principali ragioni che hanno spinto Israele al tavolo delle trattative che hanno portato agli accordi di Oslo.

Gli eventi hanno dimostrato che questo accordo era terribile: non restituiva ai palestinesi i loro diritti legittimi dando invece a Israele l’opportunità di continuare a costruire nuovi insediamenti ed espandere quelli esistenti. La recente rottura ha dimostrato ancora una volta che l’establishment militare israeliano non vuole una pace che riconosca ai palestinesi i loro diritti ed uno stato. Vuole qualcos’altro.

I bambini sono stati in prima fila durante la prima Intifada. Sono ancora in prima fila in questa Intifada di Al Aqsa. Le immagini di "Mohammad Al-Durra" hanno colpito il mondo intero e emozionato ovunque le persone che le hanno viste. Hanno inoltre messo in luce il ruolo dei bambini nella società palestinese e nella lotta contro l’occupazione.

Al Gaza Community Mental Health Programme (Progetto Comunitario di Salute Mentale di Gaza - GCMHC) abbiamo deciso di parlare con i bambini stessi e di osservarli in azione e a casa. Inoltre molte famiglie hanno portato i loro bambini al Centro per la cura dei danni prodotti da traumi psicologici. Infine abbiamo condotto studi sul campo, attraverso indagini psicologiche, per capire meglio il loro ruolo, l’estensione dei traumi e i loro effetti.

Il linguaggio dell’occupazione

Le parole "arrabbiato" e "atteggiamento di sfida" descrivono con precisione i bambini palestinesi, che sono anche tesi e vigili. Per molti di loro tirare pietre esprime la rabbia contro i soldati israeliani, che rappresentano un obiettivo legittimo.

Questi bambini hanno imparato il linguaggio e il significato dell’occupazione: anche se non tutti sono stati umiliati dai soldati israeliani o non è stato detto che la loro vita non vale nulla, l’ambiente che li circonda invia tali messaggi forti e chiari.

Sami, dodici anni, è stato portato in clinica da sua madre dopo aver tentato il suicidio gettandosi nel fuoco. Le sue gambe sono state gravemente ustionate, e egli appariva ostile, arrabbiato e depresso. "Volevo uccidermi perché mio padre non mi ha voluto comprare un nuovo paio di calzoni della festa. Ha detto di non avere abbastanza soldi. Perché decide di avere figli se non ha un lavoro?". Il fratello di Sami, handicappato, è morto un anno prima; la madre di Sami pensa che il figlio sia cambiato da allora. "Mio fratello Sameer è morto perché aveva freddo. Era bagnato quando l’abbiamo trovato morto. Ha piovuto tutta la notte e dal tetto rotto gocciolava sul suo letto. Non poteva muoversi perché era paralizzato".

Sami rappresenta perfettamente la situazione di molti bambini palestinesi ai quali le famiglie povere non sono in grado di assicurare cure e sicurezza.

I bambini percepiscono facilmente le differenze tra le condizioni di vita dei loro miseri campi e quelle dei nuovi insediamenti israeliani. Queste differenze inducono loro a chiedersi perché i bambini ebrei che vivono negli insediamenti hanno a disposizione grandi e puliti parchi gioco e piscine, mentre nei campi profughi loro hanno fogne a cielo aperto e alti cumuli di immondizia ad ogni angolo di strada. Gli edifici degli insediamenti sono puliti, le strade sono pulite e i prati irrigati anche quando c’è carenza d’acqua nei campi profughi. I bambini palestinesi osservano i coloni israeliani sfrecciare nelle loro macchine veloci e ben protette, proiettando un’aura di potere e sicurezza in contrasto con la loro sensazione di vulnerabilità.

Il linguaggio dell’occupazione invia il messaggio che la vita non vale la pena di essere vissuta e che i bambini nati negli insediamenti sono considerati una fortuna mentre i bambini palestinesi nati nei campi profughi, nelle città o nei villaggi non valgono nulla. L’ambiente manda il messaggio che i palestinesi sono nati per essere gli spaccalegna e gli scavatori di pozzi per i coloni e per l’economia israeliana. I bambini sono testimoni dell’umiliazione dei loro padri e fratelli maggiori quando questi fanno la fila al "mercato degli schiavi" sperando venga loro offerto uno dei pochi lavori disponibili - costruire un altro insediamento israeliano.

I bambini palestinesi hanno vissuto esperienze traumatiche che li hanno resi speciali e pericolosi allo stesso tempo. Nel 1991 un team di ricerca del GCMHP ha condotto uno studio sul campo su un campione di 2279 bambini: i risultati di questo studio hanno mostrato i potenziali effetti sulla loro psiche.

I ricercatori hanno riscontrato che il 92,5% dei bambini sono stati esposti a inalazioni di gas lacrimogeni e il 85% hanno avuto le loro case invase dalle forze dell’ordine. Uno dei fattori più allarmanti concerne l’essere stati "testimoni del pestaggio del padre". Lo studio mostra che il 55% sono stati umiliati e il 42,5% sono stati testimoni del pestaggio del padre.

Tali esperienze lasciano un segno sulla percezione di sé e del mondo. "Se mio padre non è in grado di proteggere sé stesso - si chiedono i bambini - come potrà proteggere me?". La reazione inevitabile è un misto di paura, frustrazione, debolezza, rabbia e, forse più tragicamente, ribellione nei confronti del padre. Talvolta i bambini si identificano con i soldati israeliani quali simboli di potere. Infine si sentono spinti all’esterno a cercare nuovi eroi da sostituire ai loro padri che hanno fallito la prova.

Un altro studio ha mostrato che l’esposizione a traumi porta i bambini a soffrire di sintomi quali la paura del buio, dato che la notte è spesso scenario di eventi spaventosi; soffrono inoltre di regressione che si manifesta bagnando il letto e della preoccupazione verso eventi violenti, che si riflette nel peggioramento dei risultati scolastici. In aggiunta soffrono degli effetti della violenza e della fatica.

La Costruzione di un Eroe

Le strade sono il luogo naturale di gioco dei bambini di Gaza. Essi vivono ad un ritmo di vita che li rende diversi dai bambini di tutti gli altri luoghi: ribelli, colorati, dinamici. Essere un bambino a Gaza significa essere affascinato dalla strada, incitato dai graffiti sui muri e irritato dai soldati israeliani che pattugliano il suo territorio a piedi o sulle loro jeep. Una folla riunita di attivisti che si preparano ad uno scontro con i soldati riempie l’aria di apprensione ed eccitazione.

Ora non è più un gioco. I giocattoli sono jeep vere e i nemici dei veri soldati. Eccolo là, sta aspettando te. Adesso puoi vendicare l’umiliazione di tuo padre. Questo è quello che puoi fare per sconfiggere la tua paura. Adesso puoi unirti agli eroi, magari diventando uno di loro.

In termini psicologici, lanciare sassi è una forma per riconoscere e identificare il problema, un passo cruciale nella formazione di un bambino dell’Intifada. E’ questo un modo per rigettare la definizione di sé imposta dall’occupante; è un processo di esternalizzazione del complesso di schiavitù proiettato sui bambini, nel loro essere più profondo. Attraverso questi comportamenti i bambini decidono di affermare sé stessi e di esercitare il loro diritto ad una vita più libera e migliore.

"Tornando a casa da scuola un giorno ho trovato una grande folla davanti alla casa di mio zio. Mi è stato detto che mio cugino di diciassette anni era stato ucciso dalle pallottole degli israeliani. Da allora ho cominciato a chiedere e a capire di più sull’Intifada" dice Marwan, ragazzo di tredici anni di Gaza - "Ora, se non vengono loro vado io a cercarli. Dobbiamo combatterli e liberare il nostro paese da questi maiali. Se solo potessi avere un’arma li ucciderei tutti".

Tirare pietre diventa essenzialmente una forma di terapia non solamente per i bambini ma per l’intera nazione palestinese. Anni di debolezza e frustrazione lasciano il passo alla resistenza attiva e alla difesa. Il senso collettivo di orgoglio offeso e di umiliazione si è trasformato in una notte in uno stato di rispetto di sé. Divisioni interne, recriminazioni e violenza comune sono state sostituite da solidarietà, unità e coesione. Tutto ciò si fonde di fronte ad un nemico comune. Depressione e destino sfortunato spariscono ed un senso di euforia e di eccitazione prevale. I bambini diventano eroi di prima linea; vengono poi dimenticati nel momento in cui i politici si affacciano per rivendicare i successi.

Per un raro momento nella storia del conflitto e con la partecipazione dei piccoli eroi, i palestinesi hanno assaporato la vittoria nel momento in cui hanno preso realmente in mano il controllo della propria vita, ribellandosi all’occupazione. In effetti il morale dei palestinesi è ciò che ha permesso loro di affrontare i negoziati da eguali. Oggi la questione è quale siano i risultati dell’Intifada e se la dirigenza li userà per rimettere sui giusti binari i negoziati.

Traumi

Le vittorie tuttavia non sono a buon mercato. I palestinesi dovranno ancora soffrire molto: fino dalla nascita sono stati testimoni degli spasmi e dell’agitazione del loro paese. E’ ancora viva la loro memoria collettiva della divisione della Palestina, degli esodi di massa verso freddi e amari esili, della guerra di Suez, della guerra di ottobre, dell’invasione del Libano, della vita sotto occupazione militare sfidata dalla prima Intifada. Ora è l’Intifada di Al Aqsa che promette la salvezza per il futuro ma infligge sofferenze nel presente. I palestinesi sperano che tali sofferenze si accompagnino alla nascita della libertà e di una vita dignitosa.

Ma è dura. Per ogni atto di ribellione e difesa, gli israeliani reagiscono con maggiore repressione e brutalità. I bambini sono particolarmente colpiti. Dalla politica dello "sparare per uccidere" e delle "ossa spezzate" fino ai raid e ai pestaggi notturni, i bambini sono obbligati a confrontarsi con le nuove sfide di questi giorni. Essi non possono permettersi il lusso dell’infanzia mentre devono assumersi le preoccupazioni dell’età adulta.

Se sei un bambino di Gaza devi preoccuparti di essere inseguito, arrestato, picchiato e sparato; devi preoccuparti di tuo fratello maggiore arrestato qualche settimana prima, che ti manca e ti preoccupa come a tua madre che dice che la Croce Rossa non ha sue notizie. Sei anche preoccupato per tuo padre: riuscirà a ottenere un permesso di lavoro e sarà in grado di portare i soldi per il cibo, oggi? Sei profondamente preoccupato per il tuo amico che è all’ospedale per una ferita di arma da fuoco; hanno detto che è stata una pallottola di gomma, ma è uscito molto sangue dalla testa. Non gli hai potuto parlare all’ospedale, perché era incosciente.

I "bambini delle pietre" non sono fatti di pietra: soffrono pene e paure. La vastità della loro esposizione a eventi traumatici è terribile anche dal punto di vista statistico: in base alla ricerca del GCMHP, il 42% dei bambini è stato picchiato, il 4,5% ha avuto ossa spezzate o ferite gravi, e il 19% è stato arrestato per un breve periodo di tempo.

Issa è un bambino di sette anni del campo profughi di Bureij. Sua madre dice che è completamente cambiato negli ultimi nove mesi; lamenta mal di testa, bagna il suo letto durante la notte ed è aggressivo nei confronti delle sorelle. Dice che Issa ha difficoltà a dormire e che frequentemente si sveglia nella notte tremando dal terrore. Issa era normale fino a quando una notte i soldati sono penetrati nella casa e hanno picchiato il padre e il fratello maggiore. Issa dice "ho sempre paura dei soldati; hanno più volte picchiato i miei amici a scuola e i miei insegnanti. Scappo quando li vedo arrivare. Li vorrei picchiare, ma sono molto forti e sono armati. Uccidono".

Quando la battaglia si accende, i bambini con le loro pietre combattono per il loro diritto ad esistere; combattono il mostro demoniaco dei loro sogni. Quando la battaglia finisce si ritrovano a parlare della gioia di aver costretto il nemico a ritirarsi o del loro dolore per i compagni caduti. Quelli che cadono rimangono in un angolo doloroso dei cuori e delle menti dei loro compagni combattenti.

Ma la morte non può essere immaginata e deve essere conquistata; i morti diventano martiri, benedetti in cielo. I bambini sanno che là la vita è piena di gioia e nessun bambino soffre. Il martirio e la morte per la salvezza della propria terra diventano il grado più alto del coraggio, come se la vittoria sulla morte richiedesse il sacrificio della propria stessa vita.

Durante la notte il bambino si accuccia tra i suoi genitori, terrorizzato dai mostri che potrebbero improvvisamente saltare oltre il muro per catturare la propria preda. Nel suo sogno un mostro estrae la sua arma per sparare, il bambino cerca di sfuggirgli. La madre lo sveglia: ha bagnato ancora il letto. La madre decide allora di portarlo alla clinica, l’indomani; ha preso molte volte questa decisione, ma il figlio non è mai a casa durante il giorno. E’ preoccupata, tre dei suoi figli bagnano il letto, "cosa diavolo sta loro succedendo". Non lo chiede a nessuno, non può chiederlo al marito: è troppo stanco e di cattivo umore dopo essere uscito dal carcere, ne ha passate troppe. E’ preoccupata anche per lui: "forse anche lui avrebbe bisogno di vedere un medico?".

Dopo la prima Intifada ci siamo chiesti quale sarebbe stato il destino dei ragazzi delle pietre e come sarebbero state le loro vite. C’è stato un periodo nel quale la gente si preparava alla pace. Ora i bambini, il cui futuro ci preoccupa, stanno infiammando l’Intifada di Al Aqsa; stanno sacrificando le loro vite in una dura sfida alla morte.

Molti in tutto il mondo si stanno chiedendo "cosa spinge questi bambini a sfidare il pericolo?". Spiace che molti di questi non siano innocenti nel loro domandare, ma nascondano il pensiero che le madri palestinesi stiano spingendo i loro figli verso il pericolo senza curarsi delle conseguenze. Invece gli stessi dovrebbero chiedersi "perché i soldati israeliani uccidono i bambini? cosa ci fanno soldati e coloni sulla terra palestinese?".

Queste persone non hanno voluto vedere i veri criminali e si sono rivolti alla vittima, che è più semplice da accusare. Questa domanda apparentemente innocente implica che le madri palestinesi non hanno sentimenti materni per proteggere i loro figli. Questo porta loro a pensare che i palestinesi siano esseri che non raggiungono il livello dell’umanità: sono peggiori persino dei cani e dei gatti che proteggono i loro cuccioli dal pericolo.

Questa è l’essenza del pensiero razzista, che avvilisce il senso umanitario, perché è più facile accusare la vittima, e in questo modo si evita il senso di colpa.

Malgrado tutte le sofferenze, le morti, le ferite, gli handicap permanenti dei bambini che hanno perso occhi, braccia o gambe, i traumi degli scontri e la partecipazione ai funerali, lo shock di vedere tutto ciò alla televisione, i bambini restano bambini, in Palestina come in ogni altro luogo. Noi vogliamo per loro pace e tranquillità nelle loro case, un padre capace e una madre in grado di curarli, la possibilità di giocare con i loro amici nei giardini e nei parchi di divertimento. Noi vogliamo che i bambini restino attaccati al piacevole mondo dell’infanzia.

Le terribili circostanze hanno costretto i bambini palestinesi ad una precoce coscienza politica e identificazione nazionale, prendendosi responsabilità degli adulti, superando questi sul campo di battaglia. Oggi questi bambini hanno bisogno delle nostre attenzioni e della fine immediata della spirale di violenza, così che le future generazioni non ne rimangano ostaggio.

(trad. Guerre&Pace e Salaam Ragazzi dell’Olivo — Comitato di Milano)

Torna all’indice di sezione

Torna all’indice generale