Lettera del 29.12.2000

"lettera di notizie" e' inviata tramite e-mail dai cooperanti di organizzazioni non governative italiane a numerosi indirizzi.Chi non volesse piu' far parte di questa lista e' pregato di comunicarcelo . Confidiamo nella diffusione di questi nostri contributi.

Il nostro sito: http://web.tiscalinet.it/intifada2000 e' aggiornato al 21/12/2000 anche nella presentazione grafica

PROTEZIONE E SOLIDARIETA' INTERNAZIONALE PER IL POPOLO PALESTINESE : dal 2 DICEMBRE 2000 - IO, DONNA VADO IN PALESTINA

Interposizione nonviolenta in difesa della popolazione civile,iniziative con donne palestinesi e israeliane e altro organizzato dalle Donne in Nero - Donne Associazione per la pace-prossimi gruppi in partenza Sabato 30 dicembre - Sabato 6 gennaio e cosi via fino a quando sara' possibile-per iscrizioni e informazioni: LUISA MORGANTINI TEL. 0348-3921465- SEGRETERIA 06-69950217-FAX 06-69950200-EMAIL lmorgantini@europarl.eu.int

In questa Lettera:

Corrispondenza da Nablus

Il piano di Clinton

Le donne in Nero

Da Nablus

Finalmente abbiamo potuto raggiungere telefonicamente un'amica palestinese a Nablus che ci ha raccontato qualcosa della situazione. Iara, questo il suo nome , ci ha descritto la situazione dentro la citta' come tranquilla e al momento non vi sono emergenze alimentari o di medicinali. Piu' problemi continuano ad esserci per la cura dei malati (feriti o di altro tipo) che devono essere trasportati fuori citta' , in altri ospedali. Spesso le ambulanze sono bloccate dai soldati e ci sono stati vari casi di morti durante il trasporto. La citta' e' ancora praticamente chiusa dall'inizio dell'Intifada. Solo una by pass road (circonvallazione ) e' percorribile e mentre prima si entrava e usciva dalla citta' in pochi minuti , ora si impiega un'ora. Inoltre e' pericolosa essendo spesso bloccata dai coloni israeliani, residenti nei molti insediamenti che circondano Nablus. Fuori dalla citta' e dalla Area A (palestinese) invece continuano gli scontri con i tiri di fucile e mitragliatrici. A suo parere pero' al momento non vi e' un'attivita' organizzata dalle forze politiche di contrasto ai soldati e ai coloni. Sono gruppi spontanei di persone che si autorganizzano. Sulle ultime proposte di Clinton ci ha detto che la questione dei profughi e' quella piu' sentita. Nell'area di Nablus vi sono diversi rifugiati e la maggioranza della popolazione non e' d'accordo nel chiudere la partita su questo versante. Ma le notizie -dice- ancora non sono molto chiare. Ci siamo lasciati con l'impegno di risentirci nei prossimi giorni.

Questo e' quanto ha riportato la CNN sulla proposta di mediazione americana. Ma gia' ieri un portavoce di Barak ha dichiarato che il premier non ha mai detto che la proposta americana verrebbe accettata da Israele cosi' come e' stata posta, in particolare sulla soluzione Spianata delle Moschee.

TERRITORI

Proposta americana:

- Ai palestinesi va il 95 per cento della Cisgiordania. Israele prende in affitto per 20 anni il tre per cento della Cisgiordania, corrispondente al centro di Hebron, e l'uno per cento nel Nord della striscia di Gaza. In cambio del cinque per cento della Cisgiordania che rimane sotto il suo controllo, Israele cede i territori a Sudest della striscia di Gaza.

- Israele mantiene il controllo degli insediamenti ebraici più grandi intorno a Gerusalemme, rinunciando in cambio a 60-70 insediamenti in Cisgiordania e nella striscia di Gaza.

- Realizzazione di un corridoio di una quindicina di chilometri che tagli in due la Cisgiordania e porti dal Mar Morto a Gerusalemme.

L'Autorità nazionale palestinese ha chiesto ulteriori precisazioni sulle porzioni di territorio che otterrebbe in Cisgiordania e nella striscia di Gaza, ma ha rifiutato con forza l'ipotesi di un corridoio che tagli il suo territorio.

Nessuna posizione ufficiale su questo punto, ma Israele si è detto disposto ad accettare il piano così com'è se lo faranno anche i palestinesi.

Gerusalemme

Proposta americana:

Il piano del presidente americano Bill Clinton prevede la sovranità palestinese sulla Spianata delle Moschee, il terzo luogo sacro dell'Islam. Israele manterrebbe il controllo dei siti archeologici sotto la superficie e sul sottostante Muro del Pianto e su tutto il pendio occidentale della collina. Ai palestinesi va inoltre il controllo dei quartieri arabi di Gerusalemme.

I palestinesi vogliono la sovranità anche sui siti archeologici sotto la superficie della Spianata delle Moschee e chiedono dettagli sul destino dei quartieri ebraici che si trovano nella parte araba della città.

Gli israeliani sono disposti a cedere la Spianata delle Moschee solo se i palestinesi rinunceranno al diritto di rimpatrio dei profughi.

Profughi

Proposta americana

Secondo quanto riportato dai giornali israeliani, il piano americano mette da parte il "diritto al ritorno" per buona parte dei tre milioni e mezzo di palestinesi cacciati da Israele e dai Territori dal 1947. Soltanto una parte dei profughi troverà posto nel nuovo stato palestinese, ancora di meno in Israele. Sarà costituito un pacchetto di aiuti internazionali per compensare i profughi e favorirne l'insediamento definitivo in Libano, Siria e Giordania, dove vivono.

I palestinesi non si sono espressi su questo punto.

Gli israeliani ritengono questo punto fondamentale per fare concessioni sulla Spianata delle Moschee.

Sicurezza

Proposta americana

Le truppe di Israele rimangono nella valle del Giordano pattugliando i confini per un periodo di tempo fra tre e sei anni. In seguito vengono sostituite da una forza internazionale.

I negoziatori dell'Autorità nazionale palestinese hanno chiesto di conoscere i dettagli di questa proposta.

Nessuna posizione ufficiale su questo punto, ma Israele si è detto disposto ad accettare il piano così com'è se lo faranno anche i palestinesi.

Dalle Donne in Nero riceviamo :

26 dicembre 2000

Beit Jala, Ayda e Dheisheh

Arriviamo al Campo di Dheisheh e ci uniamo al gruppo di volontari tra cui alcuni/e italiani/e dello SCI (Servizio Civile Internazionale) per andare a Beit Jala dove assistiamo a uno spettacolo teatrale ambulante dell'Enad Theatre. Recitano dalla piattaforma di un camion una favola, rivolta ai bambini, in cui i personaggi principali, Milad (Natale) e Ramadan, attraverso una serie di avventure, giungono al lieto fine. Il tema e' quello della relazione tra cristiani e musulmani in questo periodo in cui le due feste sono quasi coincidenti.

Visita nel Campo di Ayda di alcune case colpite da proiettili sparati da edifici nelle vicinanze; i fori nei muri, i danni all' esterno come all'interno delle abitazioni testimoniano l'uso tanto di proiettili a forte penetrazione (tanto da trapassare tre o quattro pareti) quanto di altri che esplodono nell'impatto, provocando una miriade di schegge. Un uomo ci accompagna nei tre piani della sua casa, dove abitavano la sua famiglia con sei figli e quelle di due suoi fratelli con sei e quattro figli ( e avevano anche la madre in visita). La casa e' stata colpita il 23 novembre e attaccata da elicotteri il 3 dicembre. In tanti gli hanno chiesto: "perche' proprio la tua casa?" "Ci ho pensato tanto, - risponde - ma l'unica ragione che riesco a trovare e' che la mia casa e' proprio di fronte alle postazioni di tiro."

Torniamo al campo di Dheisheh e incontriamo Ziad Abbas e Majdi Dana cui chiediamo di chiarirci il senso della posizione espressa la sera prima, quando, alla nostra telefonata come Donne in Nero per prendere accordi, ci e' stato risposto che non avrebbero accettato la presenza di israeliane.

Ziad afferma che il problema non consiste nel non volerle/i incontrare, anzi afferma di essere aperto e flessibile, ma ritiene che in questa fase i "buoni rapporti" tradizionali non servono, ma che ognuno deve fare il proprio lavoro dentro la propria societa'. I Palestinesi non chiedono solidarieta', ma che i pacifisti svolgano azioni piu' incisive per cambiare l'opinione pubblica israeliana, "perche' non vanno a bloccare le strade verso gli insiediamenti?" esemplifica Ziad.

Ci presentano poi le attivita' del Centro Culturale di Ibdaa e i loro programmi di scambi internazionali tra giovani, sottolineando che preferiscono lavorare direttamente a livello di base che con le ONG.

Ziad si sofferma in particolare sui programmi di istruzione per le ragazze e sul fatto che le donne occupano sempre piu' ruoli attivi nel Centro e nel Campo.

27 Dicembre 2000

27 dicembre 2000, Gerusalemme, National Palace

Incontro con Mikado del Coordinamento dei gruppi pacifisti di Israele

Nella prima parte della mattina abbiamo incontrato Mikado, il quale ha aperto il suo intervento invitandoci a non farci prendere in giro dal corso dell'attuale negoziato: non dobbiamo credere che allora la situazione tornera' alla normalita', in Palestina si continuera' a morire, solo l'argomento scomparira' dai media. Quanto a questo nuovo processo di "pace", non ci sono ancora elementi per dire se e' un bluff, o quali siano le effettive intenzioni delle due parti: cio' che si puo' dire fin d'ora e' che il governo israeliano va alle trattative doppiamente delegittimato, in quanto il premier e' dimissionario e non gode della maggioranza del Parlamento.

Il messaggio per noi resta il seguente: qualsiasi cosa ci diranno, ricordare sempre la realta' dell'occupazione che continua, e tenere d'occhio la situazione di chiusura dei territori e il protrarsi dell'imposizione del coprifuoco, come a Hebron.

Quanto alla situazione interna pre-elettorale in Israele, la situazione e' la seguente: dai poll risulta che una maggioranza del 60% o piu' sostiene la candidatura di Sharon, ma la stessa percentuale vuole la conclusione di un accordo che porti almeno alla tregua. Quindi Barak ha assolutamente bisogno di concludere la trattativa prima delle elezioni. Ma l'accordo al tempo stesso ha bisogno di essere anche credibile, e questo Barak non riesce a farlo: dice di volere l'accordo, ma senza dividere Gerusalemme, di volere l'accordo, ma senza smantellare gli insediamenti dei coloni, e in questo modo le sue promesse non convincono nessuno. In realta' non c'e' una leadership in grado di disegnare una vera strategia, e men che meno di convincere la gente che si tratta di una buona strategia.

Sul punto fondamentale degli insediamenti, ci ha spiegato che ne esistono di due tipi: quelli grandi e vicini a Gerusalemme (che si chiamano block) in cui abita la maggioranza dei coloni, e nel progetto di Israele verrebbero annessi alla "loro" Gerusalemme: gli altri, che lui chiama "ideologici" in quanto non retti da una vera logica ne' produttiva ne' abitativa, e che potrebbero essere smantellati. Ovviamente i coloni che vi abitano non intendono assolutamente rinunciare, e il rischio e' che per bloccare un eventuale processo di smantellamento possano organizzare un "piccolo" massacro ai loro stessi danni, chiudendo automaticamente il dialogo. Eppure una maniera per neutralizzare il potere dei coloni ci sarebbe: Barak o chi altro potrebbe dividere il loro schieramento esplicitando quali insediamenti verrebbero protetti e quali ceduti in cambio della pace, dividendo quindi le ragioni degli uni da quelle degli altri e isolando le frange estremiste.

In realta' starebbe al movimento per la pace di Israele concepire e sviluppare una strategia per la pace in grado, ad esempio, di rompere la logica che, nella testa dei coloni, identifica la permanenza negli insediamenti con una vita di maggior benessere (molti vengono da periferie degradate di grandi citta', e hanno migliorato molto la loro vita trasferendosi nelle "colonie"). Cio' che assolutamente e' sbagliato e', come in tutti i piani patrocinati dagli Usa, pensare di poter smantellare gli insediamenti con un piano di lungo termine: se lo si fa lo si deve fare invece in fretta, perche' piu' il processo e' lungo piu' si danno occasioni per creare incidenti.

Alla domanda sulle organizzazioni pacifiste e sui loro rapporti reciproci ci racconta che il gruppo di Peace Now, un tempo numericamente talmente consistente da mobilitare fino a 100-200.000 persone, si e' attualmente molto ridimensionato: in compenso ha accettato di collaborare, cosa che prima non faceva, con i gruppi piu' radicali. Ci sono molte e frequenti manifestazioni per la fine dell'occupazione, ma non sono manifestazioni di massa come per la prima Intifada. Quanto al movimento dei soldati obiettori di coscienza, ci ha detto che il movimento era nato durante la guerra del Libano, quando 50 soldati della riserva si rifiutarono di andare a combattere la'. Poi, durante la prima Intifada, si rifiutarono di assolvere a compiti di polizia contro le manifestazioni dei palestinesi. All'inizio questo movimento era ritenuto illegale e addirittura anticostituzionale, ma dopo due anni di guerra in Libano erano diventati quasi degli eroi. Attualmente l'esercito di ruolo e' diventato molto piu' grande per l'aumento della popolazione, e quindi non si usa quasi piu' la riserva per questi compiti: I casi di obiezione di coscienza si sono quindi ridotti, attualmente sono 4 o 5, che comunque non sono stati perseguiti penalmente: in compenso diventa molto piu' significativo quando a obiettare sono soldati in servizio effettivo.

Rispondendo a una domanda sui rapporti fra pacifisti israeliani e attivisti di questa seconda Intifada, ha risposto di aver notato una grande crescita di forza e consapevolezza in questi ultimi, che si pongono rispetto a loro in maniera diversa rispetto al passato: non chiedono di essere sostenuti o aiutati, rimandano il movimento pacifista israeliano alle sue responsabilita' primarie, cioe' cambiare la mentalita' nel proprio paese, e valutano attentamente se e quando accettare gesti concreti di solidarieta'.

Quanto alla popolazione palestinese di Israele, all'inizio in Galilea c'e' stata soprattutto rabbia per la mancanza di reazione da parte dei pacifisti israeliani e quindi la loro 'fratellanza' veniva rifiutata. Soltanto a fine ottobre si e' fatta una manifestazione a Haifa con migliaia di persone e all-inizio di dicembre un seminario tra organizzazioni arabe del nord e gruppi pacifisti per discutere 'Percha' collaborare?'. C'e' un rovesciamento importante nei rapporti: i pacifisti pregano di collaborare e i palestinesi rispondono: 'Fate il vostro lavoro a Tel Aviv.' . E' stata una buona lezione: erano gli ebrei a doversi mettere alla prova, i palestinesi esprimevano molta fierezza. Sono passaggi importanti, di cui Mikado dice di essere contento, cosi' come per la questione del 'diritto del ritorno' che ora viene posta come un punto irrinunciabile mentre per la maggioranza delle forze della pace era ancora un tabu'. L'atteggiamento paternalista tradizionale non regge piu': in Galilea pagano un prezzo duro, ci sono villaggi isolati come nella West Bank, ma i palestinesi sono forti, non sono demoralizzati.

Un altro punto sviluppato concerne i cambiamenti nella composizione della popolazione in Israele e quindi eventuali futuri cambiamenti nel concetto di cittadinanza: attualmente ci sono un 20-% di arabi, un 10% di russi non ebrei e un 5% di lavoratori stranieri, il che compone un 35% totale: quindi gli ebrei nello stato degli ebrei sono il 65%. In un futuro non lontano, soprattutto se almeno una parte dei profughi palestinesi potesse fare ritorno, potrebbero diventare minoranza. Il che aprirebbe le porte a una riscrittura della costituzione non scritta di Israele, mettendo fine al suo essere uno stato confessionale e aprendo interessanti prospettive di multiculturalita', multireligiosita' ecc. Nel prossimo decennio sara' la sfida meggiore in Israele, ci sara' uno scontro duro, gli arabi condurranno la lotta, si sviluppera' tendenza al pluralismo culturale: si e' nel pieno della ridefinizione di Israele come stato ebraico, verso una nuova societa' multiculturale.

A una domanda sui cambiamenti di coscienza delle nuove generazioni ha risposto che in realta' l'attuale nuova generazione e' duplice: da una parte i figli della classe media "labour oriented" vivono un contesto di fusione etnica che trent'anni fa era inconcepibile, e lo trovano del tutto normale. Dall'altra parte gli ultra ortodossi, che alla fondazione dello stato erano considerati quasi cittadini di serie B, in quanto "non moderni", non abbastanza occidentali ecc., alla seconda generazione si ritengono depositari della natura stessa dello stato e si preparano per prenderne la direzione (al giorno d'oggi il 30% degli ufficiali dell'esercito e' religioso, mentre prima erano un'eccezione rarissima). Sono ancora una minoranza, ma una minoranza molto combattiva e motivata, mentre i figli del labour sono una maggioranza, ma alquanto disinteressata ai problemi della cosa pubblica, un po' come succede nel resto dei paesi dell'Occidente industrializzato.

Ramallah: con il Women's Community and Al-Fatah Organization partecipiamo ad un giro di visite di solidarieta' nel giorno dell'Aid Al-Fitre (festa di fine Ramadan).

All'ospedale incontriamo ragazzi feriti durante gli scontri, alcuni dei quali sono bloccati a Ramallah perche' non possono raggiungere le loro case a Gaza e Gerusalemme a causa della chiusura delle diverse aree.

Campo profughi di Am'ari: nelle strade i bambini, vestiti a festa, giocano con i nuovi giocattoli, pistole e mitra di plastica.

Visitiamo la famiglia di Thayer Ali Dawood di 17 anni, ucciso il 20 ottobre. La madre ci dice che e' stato colpito alla testa in un giorno in cui c'eano scontri. Aveva finito le scuole e lavorava, era il secondo dei figli (tre sorelle e tre fratelli) e le condizioni della famiglia sono dure. La famiglia e' profuga dal 48 e proviene dall'area di Gerusalemme. Sono presenti le due nonne, una delle quali, tra le lacrime, ripeteva: " ci hanno preso tutto, cosa vogliono ancora?".

Famiglia di Saber Khumees Brash (?) ragazzo di 15 anni, ucciso il 14 novembre a Al-Baluah. La madre racconta che e' stato colpito al cuore con un proiettile ad alta velocita' di tipo esplosivo, era nell'ottava classe, era bravo a scuola, ma voleva sempre partecipare agli scontri. Il manifestino commemorativo riporta una foto che gli era stata scattata da un giornalista mentre tirava pietre e che la famiglia ha avuto dopo la morte del ragazzo.

Saber era andato insieme al fratello maggiore, anche lui ferito alla spalla, ed e' stato colpito. Viene chiesto alla madre perche' non tengani i ragazzini lontani dagli scontri, e lei risponde che e' impossibile controllarli tutto il tempo e che, in ogni caso, sono pieni di forza e di rabbia. Anche questa famiglia e' profuga del 48 e proviene dalla zona di Ramla.

Segue un lungo giro di distribuzione di cibi e dolci ai soldati di guardia ai posti di blocco. Le donne del Comitato prevedevano di raggiungerne 25, ma dopo una decina di consegne, si rendono conto che il tempo non basta e notano anche il nostro disagio. Se non altro, ci siamo fatte un'idea di quanto sia complicato il controllo dei confini di un territorio relativamente piccolo come quello dell'area di Ramallah.

Ultime visite alle famiglie di Majid Ibrahim Hussein Awanda e di Mahmoud Ibrahim Al-Amuasi.

Il primo, un ragazzo di di 15 anni e' stato ucciso il 21 ottobre, colpito alla testa mentre tornava da una visita al fratello in ospedale . La madre, alla fine dell'incontro ci dice: " cio' che vogliamo e' che ci siano riconosciuti i nostri sentimenti di madri" mentre l'informazione ufficiale dice di loro che mandano i figli a morire.

Il secondo, di 22 anni, lavorava nella polizia e si era sposato da 4 giorni quando e' stato ucciso, il 22 ottobre. La madre dice di lui: " E' nato coraggioso ed e' morto coraggioso, era come un leone, dignitoso, tutti lo amavano perche' aiutava tutti." Era stato a 13 anni nella prima Intifada, e' stato colpito di notte in piu' parti del corpo, ma, dice la madre " e' nostro dovere difendere la nostra terra e la nostra liberta', dobbiamo sacrificarci perche' c'e' di sacro solo Dio e la nostra terra."

Gerusalemme Ovest, sera

Alle 19 partecipiamo alla fiaccolata di protesta organizzata in occasione della Hannukah (celebrazione rituale di un'antica Intifada, quella degli ebrei che lottavano per liberarsi della dominazione ellenica) davanti alla casa del primo ministro per commemorare la morte dei tanti bambini palestinesi caduti durante l'Intifada e chiedere una pace giusta. Al nostro arrivo sono presenti una trentina di manifestanti che a turno prendono la parola per raccontare una loro testimonianza e chiedere la fine dell'occupazione e una pace giusta. Ognuno di loro accende una fiaccola al termine del suo intervento. La manifestazione si e' svolta pacificamente, erano presenti i gruppi italiani delle donne in nero, dell'Assopace e i cooperanti, e si e' conclusa un'ora dopo.

 

Torna all’indice di sezione

Torna all’indice generale