Lettera del 2 gennaio 2001

 

Dal 9 novembre 2000 questa "lettera di notizie" e' inviata tramite e-mail dai cooperanti di organizzazioni non governative italiane a centinaia di indirizzi. Chi non volesse piu' far parte di questa lista e' pregato di comunicarcelo . Confidiamo nella diffusione di questi nostri contributi.

Il nostro sito: http://web.tiscalinet.it/intifada2000 e' aggiornato al 21/12/2000 anche nella presentazione grafica

PROTEZIONE E SOLIDARIETA' INTERNAZIONALE PER IL POPOLO PALESTINESE : dal 2 DICEMBRE 2000 - IO, DONNA

VADO IN PALESTINA

Interposizione nonviolenta in difesa della popolazione civile,iniziative con donne palestinesi e israeliane e altro organizzato dalle Donne in Nero - Donne Associazione per la pace-prossimi gruppi in partenza Sabato 6 gennaio e cosi via fino a quando sara' possibile-per iscrizioni e informazioni: LUISA MORGANTINI TEL. 0348-3921465- SEGRETERIA 06-69950217-FAX

06-69950200-EMAIL lmorgantini@europarl.eu.int

Ogni tanto arrivano messaggi di non consegna delle email ad alcuni indirizzi. Non sappiamo se poi vengono successivamente consegnate dai server. Chi ritenga di non aver ricevuto tutte le ns lettere puo' richiederle o leggerle sul sito quando sono inserite.

 

Abbiamo ricevuto diversi messaggi di auguri da amici conosciuti e sconosciuti. Ricambiamo collettivamente ringraziando anche per gli apprezzamenti al nostro impegno, cosi' come per le critiche che servono sempre quando sono costruttive.

 

 

Tra domenica e lunedi 4 palestinesi morti ( un bambino di 10 anni ferito nei giorni scorsi e 1 ammazzato dai coloni a Hizma mentre guidava la sua auto).

Ieri 2 morti palestinesi a Tulkarem.

A Gaza e' stato ucciso un contadino mentre lavorava il suo terreno. Subito dopo l'esplosione di una bomba vicino all'insediamento di Dugit, i soldati hanno iniziato a sparare a casaccio e hanno colpito il contadino.

 

GIORNALISMO: QUESTO SCONOSCIUTO

Se cerchiamo di fare controinformazione non possiamo evitare di verificare quanto le fonti ufficiali del giornalismo dicono e scrivono su quanto accade in Palestina. Per cui siamo costretti a ritornare sull'argomento della corretta e completa informazione, soprattutto perche' sappiamo che anche giornalisti ci leggono.

Sia la RAI con Filippo Landi che il Corriere della sera e la Repubblica hanno riportato con enfasi un'affermazione di Marwan Bargouthi, responsabile del partito Fatah. Secondo queste testate l'esponente ha minacciato di "tagliare le mani" ai palestinesi che firmeranno un accordo che non dia risposte positive su Gerusalemme , i profughi e gli insediamenti. Noi chiediamo che questi giornalisti dicano pubblicamente da dove hanno ricavato questa affermazione. Perche' e' possibile che ci sia sfuggita questa notizia , nel qual caso faremo ammenda , ma tale affermazione l'abbiamo letta e sentita solo dai media italiani. Stamattina abbiamo setacciato i quotidiani Ha'aretz e Jerusalem Post (israeliani), Al Quds (palestinese), i siti di CnnItalia , Cnn World, BBC, Reuters, ma di questa affermazione non c'e' traccia. Ieri eravamo a Ramallah, alle celebrazioni di Fatah dove ha parlato Bargouthi, nessuno ci ha riferito questa cosa, ieri sera abbiamo incontrato personalmente Bargouthi e durante circa un'ora di chiacchierata non abbiamo ascoltato una parola che potesse avvicinarsi a quella frase. Quindi siamo veramente curiosi di conoscere quando e dove l'esponente palestinese ha detto "taglieremo le mani".

Altrimenti ognuno potra' trarre le sue conclusioni su come gli italiani fanno giornalismo.

 

A proposito della manifestazione di ieri a Ramallah: la RAi si e' premurata di far vedere il corteo degli incappucciati e l'esibizione delle armi ma non ha mostrato che c'erano anche donne, giovani, anziani e stranieri vestiti normalmente e senza armi. Come dire che l'immagine ad effetto secondo la Rai fa audience oppure serve a diffondere l'idea che tra i palestinesi sono tutti violenti e terroristi?

Invece la notizia della caccia all'arabo messa in atto dagli estremisti ebrei a Gerusalemme Ovest, che si sono lanciati contro i venditori di falafel, ritenuti evidentemente tutti arabi, non e' passata.

 

Cosi' come le testate italiane non hanno dato la notizia, questa si' riportata dall'Associated Press, da Ha'aretz e dal Jerusaleme post, sul ferimento di un palestinese vicino Beit Hadassah , da parte dei soldati.

L'esercito ha subito dichiarato che Jadallah al Jabarri, questo e' il nome dell'uomo, stava correndo verso i soldati e non ha risposto al loro alt. I soldati allora hanno sparato in aria e dopo alle gambe dell'uomo che si avvicinava. Peccato per l'esercito che un operatore dell'Associated press era presente e ha filmato tutto. L'uomo stava parlando con i soldati, quindi era gia' vicino a loro . E all'improvviso i soldati gli hanno sparato. Dopo che il filmato e' stato reso pubblico , l'esercito ha dichiarato di aver aperto un'inchiesta. Il comandante della zona ha detto che i soldati sono sotto pressione, che temono per la loro vita ecc ecc. Ma l'articolo del Jerusalem Post conclude ricordando che quei soldati erano in servizio in quel luogo solo da 24 ore ! Se non ci fosse stato quel giornalista sul posto ancora una volta l'esercito avrebbe affermato il falso.

 

 

DALLE DONNE IN NERO riceviamo :

NABLUS – 31.12.2000

Partiamo da Gerusalemme per Nablus viaggiando sulla by pass road per evitare il passaggio nei villaggi palestinesi, visto che abbiamo la targa israeliana. Nei pressi di Bitin siamo fermati da coloni armati dell’insediamento di Ofra, che non vorrebbero farci passare perche’, qualche ora prima, uno di loro e’ morto in un "incidente" (sapremo poi che si tratta del figlio di Kahane, il coordinatore dei coloni). Ci dicono che possono passare solo gli israeliani, rispondiamo che viaggiamo con targa israeliana, ribattono che possono passare solo gli ebrei e che hanno un accordo con i militari che li autorizza a fermare chiunque. Quando Luisa dice di essere una europarlamentare, telefonano o fingono di telefonare e poi ci danno via libera.

Riprendiamo la strada lungo la quale vediamo numerosi insediamenti ben difesi e, vicino, le strade sbarrate che conducevano ai villaggi palestinesi. Ci fermano ancora, questa volta sono i militari – in una postazione creata dopo il 29 settembre.

A Nablus andiamo subito al PGU, il sindacato nazionale, dove incontriamo Shaer Saed, segretario generale dei sindacati palestinesi, e Abla Masruje, responsabile del settore femminile.

Dopo le presentazioni e i saluti di benvenuto (l’impressione e’ che non siano solo rituali, tutte le autorita’ ci tengono a sottolineare l’importanza per loro della nostra visita, sembra effettivamente importante per loro), Saed ci illustra con una serie di dati la situazione che si e’ venuta a creare dopo la chiusura dei territori, che ha impedito all’80% circa della popolazione di muoversi da villaggi e citta’, ed ai lavoratori di raggiungere il posto di lavoro. In tutta la Cisgiordania erano circa 175.000 gli occupati in Israele, la maggior parte ora e’ disoccupata; fino a poco tempo fa venivano concessi solo dai 6 ai 10000 permessi, mentre circa 20000 lavorano in nero entrando in modo illegale in Israele. Anche i lavoratori impiegati all’interno della Cisgiordania sono stati impossibilitati a muoversi sia per i posti di blocco sia per il pericolo, rappresentato piu’ dai coloni che dai militari. In questa emergenza il sindacato si trova ad operare come ente di assistenza.

Grazie alle donazioni provenienti per lo piu’ da Arabia Saudita, Oman, paesi europei, Banca Mondiale, e’ stato distribuito una tantum un sussidio di 600 shekel a circa 80000 famiglie. Molti lavoratori sono stati colpiti direttamente dalla violenza, circa 10000 sono stati feriti e 1850 hanno riportato handicap permanenti. Infine c’e’ il problema delle famiglie delle vittime; per questo si e’ costituito in ogni regione un Comitato di emergenza.

Della situazione delle donne che lavorano ci parla Abla Marsuje: le donne costituiscono solo il 14% della forza lavoro e di conseguenza nel sindacato inizialmente erano l’8%, ma ora, dopo 5 anni in cui e’ stato creato un Dipartimento femminile, sono salite al 20 %. L’obiettivo e’ qdi aumentarne la presenza non solo nella base, ma anche a livelli intermedi e dirigenziali, in tutta la Cisgiordania. A tutt’oggi nell’esecutivo nazionale, composto da 34 membri, c’e’ una sola donna. Per raggiungere questo obiettivo, si lavora su piu’ livelli: far conoscere alle donne i loro diritti, migliorare i diritti delle donne sul lavoro, avere donne nei settori amministrativi e dirigenziali. Non e’ un lavoro facile, c’e’ stato un dibattito, a cui hanno partecipato uomini e donne, sui diritti delle donna nel lavoro e nel sindacato e sono emerse forti resistenze maschili alla presenza di donne nei settori dirigenziali.

Per aiutare le donne nei posti di lavoro e’ necessario un lavoro di formazione ed informazione, pubblicare materiali sulla condizione femminile (in questo senso molto importante e’ stato un finanziamento del sindacato danese per un progetto autogestito dalle donne). Il Dipartimento femminile e’ l’unico che continuamente fa pubblicazioni sulla condizione delle donne.

L’ANP ha elaborato un codice del lavoro, che, pur costituendo un passo in avanti, non risponde pienamente alle aspettative delle donne, quindi il Dipartimento ha pubblicato un commento, anche perche’ alcune lacune del codice non permettono al Sindacato una difesa totale dei diritti delle donne che, di conseguenza, hanno poca fiducia in esso.

Le donne nella regione di Nablus sono occupate nei servizi (scuola sanita’…), nel settore tessile e, a livello familiare, nell’agricoltura, ma complessivamente sono poche quelle che lavorano anche perche’ la mentalita’ corrente, vista la scarsita’ di lavoro, privilegia l’occupazione maschile e inoltre non considera il lavoro per la donna come un diritto. Le condizioni di lavoro sono molto precarie, le donne, pur di guadagnare qualcosa, accettano qualsiasi lavoro, anche pesante.

Il discorso molto interessante di Abla e’ interrotto dall’arrivo di una notizia drammatica, che condizionera’ il resto della giornata: Tabet Tabet, medico ed uno degli 11 dirigenti ai Al Fatah, e’ stato ucciso a Tulkan mentre usciva di casa, probabilmente da unita’ speciali israeliane.

Interrompiamo l’incontro per recarci nella sede del governo, un imponente edificio che precedentemente fungeva da prigione, dominato all’ingresso da una gigantografia di Arafat.

Incontriamo Mohamed Alool, governatore della regione di Nablus, che, pochi giorni fa ha perso il figlio ucciso dai soldati israeliani. Il governatore ringrazia per la nostra presenza in un momento cosi’ critico, spiega che i palestinesi ora non hanno altra scelta che quella di difendersi e difendere il proprio popolo. Sottolinea con forza i continui attacchi dell’esercito e dei coloni nei confronti di civili, ad es. i contadini mentre raccolgono le olive, la distruzione degli ulivi e del raccolto, i bombardamenti sulle citta’ e persino sulle scuole. Il popolo palestinese e’ sotto assedio, per questo ci sono tanti bambini e giovani feriti mentre svolgono le attivita’ della vita quotidiana. Ogni diritto umano e’ calpestato; vengono colpiti anche i medici sulle ambulanze mentre trasportano i feriti. Gli effetti di questa situazione influiscono su lavoro (vedi incontro al sindacato), salute (il problema degli spostamenti per gli ammalati), educazione (studenti e insegnanti non possono raggiungere le scuole). "Siamo uno stato occupato, per questo chiediamo il ritiro dell’esercito israeliano. Noi siamo contro la violenza, ma non c’e’ altro mezzo perche’ da anni subiamo violenza. Anche l’ultima proposta di Clinton, una coalizione tra USA e Israele, e’ molto ambigua e vuole farci rifiutare per far vincere le elezioni a Barak e dare il Nobel per la pace a Clinton".

Intanto e’ arrivata, accompagnata da Luisa, Dalal Salem, una degli undici dirigenti di Al Fatah, figlia di profughi del ’48, vissuta nel campo di Balata. "Per conoscere e capire la situazione – ci dice – e’ fondamentale venire in Palestina. In tutto il mondo per trovare soluzione ai problemi bisogna fare i conti con le cause dei problemi stessi. Oggi siamo arrivati al momento finale, non piu’ alla fase intermedia in cui si cerca gradualita’ e fiducia. Le cause iniziali di questa situazione sono: sicurezza, terra, Gerusalemme e rifugiati. Su questi 4 punti si deve raggiungere l’accordo." Interrogata sul ruolo delle donne, risponde "molti conoscono il ruolo della donna palestinese nella prima Intifada. In Palestina la donna ha mantenuto coerente il tessuto sociale in piena occupazione, nonostante tutte le difficolta’ che ha dovuto affrontare. La donna sostiene l’onere non solo dei figli (in media 7,2 persone per famiglia), ma anche l’economia e l’educazione. Se la donna palestinese non fosse cosi’ forte e coraggiosa, la societa’ palestinese non sarebbe cosi’ forte e non si sarebbero raggiunte tante conquiste".

Ci rechiamo poi in municipio.

Si respira una forte tensione nei corridoi affollati, mentre da fuori riecheggiano gli spari di una manifestazione spontanea. Ghassan Shakah, sindaco di Nablus, un uomo che ha sempre fortemente creduto nella pace, non riesce a nascondere il suo dolore, la sua disperazione di fronte a quello che sta accadendo in Palestina: "Il Governo israeliano – dice – ha fatto la scelta politica di assassinare i leader di Al Fatah" e intanto Arafat e’ ricattato dalle inaccettabili proposte di Clinton e assediato dalle pressioni di ben 42 ministri di vari paesi, che gli hanno chiesto di accettarle. Questo e’ uno shoc per i palestinesi, che vogliono una pace giusta e durevole per tutti e non capiscono l’atteggiamento della Comunita’ internazionale. "Siamo vicini al suicidio palestinese – afferma – ma non moriremo da soli".

Chiede l’aiuto di tutti coloro che hanno a cuore la pace, perche’ non si sa cosa succedera’. Ribadisce che questa non e’ una guerra tra israeliani e palestinesi: i palestinesi non hanno armi, solo fucili e sassi e andare contro un carro armato o un elicottere in queste condizioni e’ un suicidio, ma bisogna difendere i propri diritti. Non c’e’ altra scelta che difendersi, ripete con voce rotta dall’emozione. Poi si riprende e dice che continua a sperare che ci sia un futuro per i giovani palestinesi ed israeliani.

Con un gruppo ristretto andiamo a visitare il Centro di terapia del linguaggio (Nablus Society for Womens Action) che ci e’ presentato da Rauda Basir. ll centro e’ costituito dal 1992 per affrontare i problemi di linguaggio sorti nei bambini a causa di choc durante la prima Intifada. Organizza training ai bambini e corsi per i genitori, terapie individuali e di gruppo, si occupa anche di bambini con ritardo mentale. Vi lavora un’equipe di 9 specialisti che segue a rotazione 28 bambini; il resto del personale e‘ volontario. Il centro e’ sostenuto da donazioni di palestinesi e donazioni dall’estero. Le famiglie pagano una piccola quota. L’Associazione per la Pace sostiene da anni questo centro.

L’ultimo appuntamento della giornata e’ a Kufer Hallil, alla periferia di Nablus, dove andiamo accompagnati da una camionetta di militari palestinesi. Dalle colline sovrastanti (zona C) i militari israeliani hanno bombardato le case (zona A) provocando vittime e distruzione. Saliamo a piedi tra le vie del villaggio accompagnati da uno stuolo sempre piu’ numeroso di bambini, incontriamo un ferito e dei parenti delle vittime. I militari sono molto preoccupati per noi, ci raccomandano di restare in gruppo perche’ la situazione e’ rischiosa dato che. dalle loro postazioni sulla collina, i militari israeliani controllano tutto. Il paese e’ a lutto e molte case espongono una bandiera nera. Solo la presenza vivace e curiosa dei bambini alleggerisce la tristezza di questa visita.

Risaliamo sul pullman e ripercorriamo all’indietro il tragitto del mattino, questa volta senza blocchi imprevisti.

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