Lettera dell'8 aprile 2001

 

In questa lettera:

Corrispondenza da Jabalia

Articolo da Haretz


"Ritorno a Jabalia" - di Lino Zambrano

Lascio alle spalle il piazzale desolante e desolato del confine di Eretz. Esco dalla Striscia di Gaza dopo due giorni di permanenza, trascorsi per la maggior parte nel campo profughi di Jabalia. Eretz e' desolante anche con il nuovo capannone e i nuovi uffici con l'aria condizionata destinati al controllo delle auto e dei passaporti degli stranieri e dei diplomatici. Le innovazioni non possono nascondere le garitte tutte intorno da dove spuntano i fucili. Desolato perche' il vociare che accompagna l'entrata e l'uscita dei lavoratori palestinesi non lo senti. Da settembre poche decine sono coloro che hanno ancora un lavoro. Tutto e' silenzio, anche quel corridoio protetto da sbarre e tettoia in ferro, freddo d'inverno bollente d'estate, che e' la via di passaggio per i sottopagati che vanno a lavorare in Israele. Loro non hanno l'aria condizionata. Eretz, la porta del purgatorio, un purgatorio chiamato Striscia di Gaza. Un posto in una condizione indefinita, dove hanno aspettato il cambiamento fino ad Oslo e che, dopo dieci anni di speranza, forse ora non sperano piu'. Jabalia ti colpisce subito per due cose. Il grigio e la polvere mista a sabbia. Il grigio dei muri, con i mattoni forati a vista, non ci sono le possibilita' economiche per gli intonaci, e il grigio delle lamiere sui tetti delle baracche. Ma non servono per gli attrezzi agricoli. Ci abitano esseri umani. Cinque, sette, dieci per stanza, i materassi uno sull'altro durante il giorno per fare spazio, la notte tutti insieme per terra. E poi la sabbia. Ovunque. Sulle auto, sulle persone, sul cibo, sui tetti. Le strade sono di sabbia. Qui a Jabalia non c'e' l'asfalto o il porfido. Cammini che sembri di stare in spiaggia o nel deserto, il deserto dell'immobilita'. Un'immobilita' che i rifugiati vivono da cinquantatre anni. Jabalia e' divisa tra il villaggio e il campo profughi. Centomila persone in poco piu' di un chilometro quadrato. Senza fogne, alcuni senza acqua ed elettricita'. Ho visto la prima volta Jabalia nel 1991, rimasi impressionato, dopo dieci anni che altro termine usare ?. Penso solo che sono passati dieci anni ma nulla e' cambiato. I profughi non sono stati neanche baciati da Oslo, la responsabilita' e' rimasta all'Unrwa, l'agenzia delle Nazioni Unite, l'autorita' palestinese non puo' intervenire e forse non ha neanche la forza economica per un intervento del genere. Sono al Centro di recupero scolastico diretto da Hussam Hamdouneh. Continuo volontariamente a seguire il progetto integrato tra affido a distanza e sostegno alle attivita' del centro portato avanti dal Comitato milanese di Salaam Ragazzi dell'olivo. In poche settimane 40 bambine e bambini tra i 6 e gli 11 anni hanno incontrato una famiglia italiana. Il centro ha due sedi, circa 230 bambine e bambini delle elementari usufruiscono dei suoi servizi. Il personale del centro, in collaborazione con le maestre, individua gli alunni che presentano difficolta' nell'apprendimento e nel mantenere il livello scolastico dei coetanei, visitano le famiglie, cercano di conoscere i motivi del disagio, invitano le famiglie a mandare i figli al centro a fronte di una retta assolutamente simbolica o gratuitamente. Ma il centro non e' solo doposcuola, e anche un luogo dove i bambini giocano e vengono seguiti da consulenti che li aiutano a superare i loro disagi e le loro angoscie. In questi due giorni incontriamo dieci di questi bambini. In altre venti famiglie sono andato la volta scorsa. Visito, accompagnato da Hussam e due collaboratrici assistenti sociali, i luoghi dove i bambini vivono e dovrebbero fare i compiti che le maestre assegnano. Non sono pedagogista o psicologo ma posso immaginare le difficolta' di un bambino a trovare la serenita' per il suo studio giornaliero, che a quell'eta' tocca anche i bambini del mondo ricco. Padri disoccupati o deceduti, condizioni di vita degradate, sovraffollamento, difficolta' o assenza di possibilita' di condividere con i genitori il proprio percorso scolastico. Incontrare queste famiglie e vedere con i propri occhi le loro condizioni fa capire perche' non possono ancora pagare per l'arroganza israeliana. La strada e' sempre meno trafficata. E' il periodo di Shabat che inizia. Questo, e il limite di velocita' a 90 imposto sulle strade israeliane, lascia spazio ai pensieri. E aiuta ad elaborare cio' che hai dentro. Anche questo paesaggio in fondo e' triste, anche se c'e' la luna piena. Come si puo' pensare che un intero paese si fermi dal venerdi sera. Forse anche questo e' uno dei motivi della forsennata costruzione di strade a 4 corsie da parte degli israeliani, con uno scempio dell'ambiente assolutamente inaccettabile per lo standard italiano. Ma visto che i trasporti pubblici si bloccano come farebbero i non religiosi a muoversi? Negozi chiusi, stazioni di benzina deserte, fermate degli autobus vuote. Un po' di colore solo dai rivenditori di fiori, evidentemente arabi che danno agli israeliani la possibilita' all'ultimo momento di adempiere il rito dei fiori in casa durante il sabato. Guardare negli occhi i bambini di Jabalia mi fa pensare anche a quanto sia diversa questa Intifada da quella del 1987. Ricordo che in quegli anni eravamo tutti d'accordo nel definire i bambini palestinesi belli, allegri, consapevoli di vivere una grande speranza. Ricordiamo tutti le fotografie che facevano il giro dell'Italia. Penso che quella fosse l'Intifada della speranza. La speranza di un popolo che stava lottando per un futuro diverso e migliore, c'era l'occupante ma i bambini sorridevano quando ti incontravano, pensavano che loro avrebbero avuto un futuro nuovo. Oggi i bambini non sorridono piu', i loro visi sono tristi, gli occhi sembrano spenti. Il direttore del centro mi diceva che il giorno dopo i bombardamenti e' praticamente impossibile svolgere le lezioni. Ognuno vuole raccontare solo della notte trascorsa e di cio' che ha provato. Ma sulle loro faccine si vede la paura, l'angoscia, il ricordo delle notti dopo notti svegliati dalle cannonate, le immagini di morte che la televisione manda in continuazione sostituendole ai cartoni animati, i funerali dei parenti, degli amici , dei vicini. E gli adulti sono irascibili, depressi, per strada e' venuta meno l'affabilita' verso lo straniero, il diverso. Ayah, una bimba incontrata in una delle famiglie, e' nata il 26 dicembre. E' la nipote di un bambino affidato, vive con la famiglia della madre e del padre, sono 24 persone in 3 stanze. Il padre l'ha concepita ma non e' riuscito a vederla nascere. Gli israeliani lo hanno ammazzato a Eretz il 10 novembre. Ayah non conoscera' le mani del padre che la sollevera' al cielo. In questo luogo la speranza sembra svanita, questa e' l'Intifada della disperazione. Nella notte e' stata bombardata una stazione della polizia palestinese a Beit Laya, un altro campo profughi. Ero a Gaza citta' ma si e' sentito chiaramente il mortaio. La mattina siamo passati li' davanti. Completamente distrutta. Intorno la non-vita del campo si apprestava a trascorrere un altro venerdi. Come gli ex-abitanti a sud della citta' di Gaza, della zona vicino alla strada che porta a Khan Younis. Per un chilometro a destra e per un chilometro a sinistra tutto distrutto, alberi e case. Gli abitanti non ci sono piu', i contadini non ci sono piu'. Spazzati via dalle ruspe dell'esercito israeliano. Un paesaggio devastato e irriconoscibile. E siamo stati anche sulla strada di Al Muntar, dove Mohammed,14 anni, per oltre un mese , tutti i giorni, fronteggiava i carri armati con le sue pietre. Ricordate la famosa foto ? Ci hanno raccontato che, il giorno che e' stato ucciso, il soldato che aveva sparato e' salito sul carro armato ballando ed applaudendosi. Ecco la deviazione per Nizzanim. Continuo il mio viaggio solitario verso Gerusalemme. Nizzanim, una spiaggia definita da Israele riserva naturale. Buona parte degli israeliani potra' andare domani al mare, il rito del barbecue e' diffuso, nessuno chiedera' loro se hanno il permesso. Forse non andranno quelle migliaia di fanatici coloni che occupano terra palestinese in Cisgiordania. Ma certamente non trascorreranno una giornata spensierata quelli di Jabalia, anche se hanno la sabbia. A pensarci bene non e' il purgatorio, e' ,come prima, l'inferno.


Dal quotidiano israeliano Ha'aretz (Edizione Inglese) del 28/03/2001

Tentando di far sembrare l'altro piu' brutale

di Amira Hass

Nel corso del primo fine settimana di Marzo venivano uccisi quattro civili palestinesi che non erano stati coinvolti in alcuno scontro violento con le forze israeliane; allo stesso tempo un bambino di Gaza moriva a causa delle ferite infertigli dalle forze di difesa israeliane (IDF) che a bordo di una jeep rispondevano al suo lancio di sassi con una raffica di mitra. Mustafa al Rimlawi, un ritardato mentale di 42 anni, residente nel campo profughi di Al Bureij nella Striscia di Gaza, pare non fosse a conoscenza dei cambiamenti che hanno avuto luogo nella Striscia da Settembre mentre vagava senza meta alle 2 del mattino di Venerdi 2 Marzo. I soldati israeliani, da dietro le loro fortificazioni, hanno presupposto che fosse un terrorista armato di una bomba. Gli hanno cosi' sparato ferendolo alla testa - in effetti gliel'hanno fatta saltare la testa. Lo stesso pomeriggio Obei Darraj di nove anni era a casa sua ad El Bireh un quartiere ai piedi di Psagot (insediamento israeliano ndt). Proiettili sparati dalla direzione di questo insediamento ebraico lo ferivano mortalmente. Nel quartiere sottostante alcune persone stavano distribuendo doni ricevuti in beneficenza e cibo in occasione dell' imminente festa religiosa. Secondo testimonanze dei residenti locali ne e' nata una lite fra alcune persone e un ragazzo armato ha sparato uno o due colpi in aria. Una fonte militare afferma che in quel momento una pesante sparatoria era in atto verso Psagot e l' IDF rispondeva al fuoco con armi leggere e mitragliatrici. Non veniva riportato alcun ferito fra gli Israeliani. Quello stesso Venerdi' nel campo profughi di Qalandia, Abd al Karim Abu Asba, ventitreenne, padre di una bambina, stava raggiungendo il negozio di alimentari sulla strada principale. Sembra che sulla collina di fronte, che ospita una postazione militare nel campo di atterraggio di Qalandia (Atarot), fosse in atto uno scontro fra bambini che lanciavano sassi e soldati dell' IDF che stavano rispondendo al lancio di sassi con armi da fuoco. Una pallottola colpiva Abu-Asba. Secondo la fonte militare disordini avevano luogo ad Atarot e l'IDF stava rispondendo con i mezzi speciali destinati a disperdere la folla. Lo stesso Venerdi' sera a Gaza Mohammed Hilis di 13 anni moriva a causa delle ferite. Sabato 3 Marzo, ore 17.30, Aida Fatahia, 43 anni, veniva uccisa mentre passeggiava in una delle strade principali di El Bireh con suo marito e sua figlia colpita da una pallottola sparata dalla direzione di Psagot. Un'altra pallottola colpiva la figlia. Quasi nello stesso momento un'altra pallottola sparata dalla direzione di Psagot entrava da una finestra dell'ufficio di Kadura Faris, membro del Consiglio Legislativo Palestinese, che si trova nel centro del paese lontano da ogni possibile "fonte di fuoco Palestinese". Fortunatamente nessuno dei presenti in ufficio a quell'ora veniva ferito. Secondo fonti militari non ci sono rapporti di particolari incidenti accaduti quel giorno. In altre parole l'IDF non conferma alcun sparo da parte di forze Israeliane il 3 Marzo. I palestinesi continuano ad essere uccisi e feriti. Le loro morti sono viste dagli israeliani come un male necessario o come di sola responsabilita dei Palestinesi. Nel caso di incidenti dove avviene uno" scontro a fuoco" viene dato grande credito e fiducia ai rapporti dell' IDF che confermano che in effetti uno "scontro a fuoco" e' avvenuto e che i soldati israeliani usando i mezzi sofisticati a loro disposizione hanno chiaramente identificato sia la fonte dello sparo che il pericolo da esso derivante. Naturalmente gli stessi mezzi sofisticati sono stati impiegati quando i soldati israeliani giungevano alla conclusione che Rimlawi stava portando una bomba. Quando un bambino di 9 anni vienne ucciso a casa sua, i mezzi sofisticati e le armi di precisione non possono servire da giusta spiegazione. Evidentemente non sono stati sparati colpi precisi. Per questo i Palestinesi vengono incolpati di aver sparato da posizioni in aree residenziali e per cio' di aver messo in pericolo gli innocenti residenti locali. Quando una donna muore passeggiando vicino una scuola nel centro di un paese palestinese nessun israeliano si da la pena di ricordare che il proiettile che l'ha uccisa e' stato sparato da un area residenziale vale a dire da un insediamento ebraico israeliano. La decisione dell'esercito israeliano di costituire, dall'inizio della presenza israeliana nei territori, basi militari nel mezzo di aree popolate da palestinesi e di posizionare carriarmati e mitragliatrici dentro ad insediamenti ebraici non e' considerato agli occhi degli israeliani come illeggittimo o come un atto aggressivo vis a vis nei confronti della popolazione palestinese. Quando un giovane viene ucciso nel suo quartiere mentre alcuni bambini lanciano pietre nessuno e' preparato a mettere in dubbio se sia giusta la risposta israeliana che e' invariabilmente molto piu' dura dell'operazione palestinese; "questa e' una guerra" viene detto agli Israeliani, "che e' stata iniziata dai Palestinesi e questi sono i risultati". Nel senso che questa e' considerata una guerra fra due parti che si equivalgono, nonostante quella che affronta l'esercito israeliano sia la forza che e' sempre tacciata di essere terrorista e crudele, il nemico illegitimo che viola tutte le regole, norme e accordi scritti. E' vero naturalmente che un cecchino palestinese che vede una neonata, Shalhevet Pass, attraverso il mirino di un fucile e decide di assassinarla e' un individuo crudele. Crudelta' e' anche richiesta nel piazzare bombe al centro di aree residenziali israeliane o autobus affollati. Agli occhi degli israeliani, grazie allo loro abilita' di dimenticare immediatametne ogni palestinese ferito o ucciso , c'e' una gara continua a chi e'capace della brutalita' peggiore. I Palestinesi emergeranno sempre vincitori in questa competizione. I soldati israeliani e i bambini israeliani non potranno mai essere crudeli. Gli israeliani in generale non sono mai crudeli persino dopo aver imposto per 34 anni il controllo sopra una popolazione che chiede la propria indipendenza.


13 - 20 Aprile iniziative di azione diretta e non violenta in Palestina palestinesi - israeliani - internazionali insieme contro l'assedio e la fine dell'occupazione israeliana partecipano Donne in Nero e non solo, Associazione per la pace iscrizioni email lmorgantini@europarl.eu.int tel 0039 06 69950217 fax 0039 06 69950200


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