Lettera del 17 aprile 2001

 

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Nella lettera:

Testimonianza da Gaza

Riflessione su manifestazione pacifica


Ritorno a Sud di Gaza

Solo un mese fa eravamo li', allo stesso posto, il campo profughi Al-Gharbi di Khan Yunis, al checkpoint di Tuffah, oltre la barriera di sacchi di sabbia eretta al duplice scopo di proteggere il campo dagli attacchi dei militari israeliani e di proteggersi nel lancio di sassi. Solo un mese fa parlavamo con la gente del campo, commentavamo i bombardamenti recenti e i loro effetti, e ci indignavamo alla vista dei chili di spazzatura lasciati pericolosamente a marcire di fianco alle case dei palestinesi. A chiunque era stato vietato avvicinarsi all'area dei rifiuti, chi lo aveva fatto aveva ricevuto in cambio proiettili, sparati dalla vicina postazione israeliana a difesa dell'insediamento di Beit Kulim, facente parte, ma distaccato, del blocco di Gush Katif, dove ha sede "La Stella di David" una grossa scuola per l'insegnamento della Torah. Ricordo che un anziano signore mi disse che presto avrebbero rimosso anche le loro case assieme ai rifiuti: i militari avevano gia' consegnato l'ordine di sgombero ad almeno 15 famiglie. All'epoca si era trattato con i militari; all'indomani, quando le ruspe dell'esercito israeliano erano apparse all'orizzonte, pronte ad annientare speranze di vita, la popolazione si era ribellata e, allora, l'aveva spuntata. Oggi, dopo un mese e qualche giorno, la spazzatura non c'era piu'. Al suo posto una montagna di detriti e calcinacci, resti delle 31 case demolite nella notte tra il 10 e l'11 aprile dalle ruspe e da 3 bulldozer dell'esercito israeliano, entrati nel campo (in area A sotto completa amministrazione dell'Autorita' Palestinese), coperti da 4 carriarmati e dalla flotta, uno dei mezzi piu' efficaci per attaccare Gaza . 4 persone sono morte, altre 31 sono rimaste ferite e oltre 61 famiglie per un totale di circa 300 persone sono senzatetto. Al posto delle loro case, i cui resti del quotidiano vissuto sono ancora ben visibili tra le macerie, ancorate sui calcinacci sono sorte una trentina di tende della mezzaluna rossa palestinese. Quando siamo arrivati la tenda della mezzaluna rossa era affollatissima, un folto gruppo litigava per la distribuzione dei medicinali. Una decina di bambini ci ha accompagnato attraverso le macerie e nelle tende, tra padri che mettevano la bandiera palestinese nelle mani dei figli, donne intente ad organizzare il povero pentolame recuperato per il pranzo e dita alzate in segno di vittoria. Una bambina, Miriam, mi ha chiesto "Il tuo paese e' come la Palestina?" e rispondendosi da sola "No, e' sicuramente molto piu' bello non c'e' la guerra, ma, dimmi, la gente si sposta in macchina o con il carretto da voi?" ...le ho risposto: "con tutt'e due". Abbiamo lasciato il campo di Khan Yunis alla volta di Rafah, dove questa notte e' stato il campo profughi di Brasil, ai confini con l'Egitto, ad essere duramente colpito dall'esercito israeliano. 16 case e 12 botteghe sono state completamente rase al suolo dopo averne cacciato gli abitanti con la forza: 46 persone sono rimaste ferite, di esse 4 gravemente. Lo spettacolo era desolante, le macerie erano ancora fumanti, dai tubi rotti fuoriusciva ancora l'acqua, la gente era intenta a cercare tra le case distrutte brandelli di vita. La rabbia della gente, quando siamo arrivati era in piena esplosione contro i soldati, ma si e' trattato delle solite, innocue pietre, cui pero' seguivano pronte pallottole. I bambini e le bambine si sono avvicinati con timore, poi hanno capito che non eravamo nemici e hanno preso a guidarci in zone "sicure", dove, dicevano, i militari non sparavano. La gente era molto nervosa, una rabbia infinita sporgeva dagli occhi, una frustrazione profonda si avvertiva. Deve essere umiliante e deprimente essere resi profughi continuamente: questa gente, proveniente principalmente dalla zona di Haifa, era stata deportata ad Ashqelon nel 1948 e da qui a Rafah nel 1956, spostata come pedine. Oggi non abbiamo visto i TG italiani, ma sappiamo per certo che non riportano queste cose, i palestinesi sono feriti, uccisi e resi senzatetto quotidianamente e per la maggior parte della pubblica opinione sono solo dei violenti terroristi. Ieri c'eravamo anche noi a Betlemme, ad esempio, alla manifestazione organizzata dal campo della pace israeliano, dai gruppi pacifisti palestinesi e dalle donne in nero italiane, e c'era anche il signor Bonavolonta', corrispondente RAI...abbiamo visto il suo servizio la sera e, anche se ormai il nostro fegato e' provato, non possiamo evitare di restare sconvolti di fronte alla sua continua e ostinata manipolazione dell'informazione allo scopo certo, a questo punto, di nascondere la verita'. Dal servizio sembrava che avessimo fatto una bella e pacifica manifestazione, mentre nella realta' c'e' stato un serratissimo e prolungato corpo a corpo con i militari che hanno provato, sbarrando la strada con le jeep e con i loro fucili, ad impedirci di marciare per incontrare l'altra parte del corteo, quella israeliana, proveniente dal lato di Gerusalemme.


Sabato c'e' stata la manifestazione organizzata al posto di blocco militare di Betlemme. Organizzata dal Centro palestinese per il riavvicinamento dei popoli di Beit Sahour ha visto l'adesione delle Donne in nero italiane e di altre organizzazioni internazionali e israeliane. L'obiettivo era far incontrare il corteo proveniente da Betlemme con quello da Gerusalemme, composto essenzialmente da pacifisti israeliani. La partecipazione palestinese al corteo da Betlemme era bassissima, predominante la presenza di internazionali. In totale non piu' di duecento persone con gli israeliani. Non conosciamo i dettagli della preparazione della manifestazione ma da notizie raccolte sembra che questa bassa partecipazione palestinese sia stata voluta, per "garantire" il carattere "non violento" della marcia. Non possiamo e non vogliamo entrare nel merito delle scelte dei palestinesi, rispettando il loro diritto di auto-organizzazione e pratica politica. Ci domandiamo se manifestazioni del genere possano portare a risultati positivi, limitando la partecipazione palestinese anziche' verificare se questo modo di manifestare possa diventare pratica comune. E verificando innanzitutto la reazione dei militari israeliani. I soldati in questo caso non hanno attaccato il corteo, anche se hanno cercato di impedire l'avvicinamento al posto di blocco, ma cosa sarebbe successo se la presenza dei palestinesi fosse stata piu' visibile? Abbiamo assistito a manifestazioni precedenti ai posti di blocco, dove il "campo " palestinese era predominante ma assolutamente pacifico. E i soldati si sono comportati in modo completamente diverso, non hanno esitato a lanciare bombe-suono prima e proiettili dopo. Non sara' un caso che un soldato a Betlemme abbia detto ad una italiana : "Non vi preoccupate, non faremo nulla, siete stranieri..." ovvero sarebbe stata altra musica se avessero visto piu' palestinesi. Come d'altronde succede ogni giorno. Ecco, forse il problema e' questo: manifestazioni di questo tipo rischiano di non inserirsi nella quotidianita' del conflitto e di far apparire l'occupazione in una luce diversa.


Intanto Israele ha ri-occupato un'area A palestinese a sud di Gaza. Sharon torna a bombardare il Libano. Si vede che non ne puo' fare a meno e lo fa sentire giovane, come anni fa. La situazione e' sempre piu' critica. Ieri missili hanno raggiunto anche Beit Sahour, Beit Jala e Al Khader, oltre al bombardamento su Gaza. Anche stasera si sentono colpi da Gilo verso Beit Jala.