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Nella lettera:
Testimonianza da Gaza
Riflessione su manifestazione pacifica
Ritorno a Sud di Gaza
Solo un mese fa eravamo li', allo stesso posto, il campo profughi
Al-Gharbi di Khan Yunis, al checkpoint di Tuffah, oltre la barriera
di sacchi di sabbia eretta al duplice scopo di proteggere il campo
dagli attacchi dei militari israeliani e di proteggersi nel lancio
di sassi. Solo un mese fa parlavamo con la gente del campo, commentavamo
i bombardamenti recenti e i loro effetti, e ci indignavamo alla
vista dei chili di spazzatura lasciati pericolosamente a marcire
di fianco alle case dei palestinesi. A chiunque era stato vietato
avvicinarsi all'area dei rifiuti, chi lo aveva fatto aveva ricevuto
in cambio proiettili, sparati dalla vicina postazione israeliana
a difesa dell'insediamento di Beit Kulim, facente parte, ma distaccato,
del blocco di Gush Katif, dove ha sede "La Stella di David" una
grossa scuola per l'insegnamento della Torah. Ricordo che un anziano
signore mi disse che presto avrebbero rimosso anche le loro case
assieme ai rifiuti: i militari avevano gia' consegnato l'ordine
di sgombero ad almeno 15 famiglie. All'epoca si era trattato con
i militari; all'indomani, quando le ruspe dell'esercito israeliano
erano apparse all'orizzonte, pronte ad annientare speranze di vita,
la popolazione si era ribellata e, allora, l'aveva spuntata. Oggi,
dopo un mese e qualche giorno, la spazzatura non c'era piu'. Al
suo posto una montagna di detriti e calcinacci, resti delle 31 case
demolite nella notte tra il 10 e l'11 aprile dalle ruspe e da 3
bulldozer dell'esercito israeliano, entrati nel campo (in area A
sotto completa amministrazione dell'Autorita' Palestinese), coperti
da 4 carriarmati e dalla flotta, uno dei mezzi piu' efficaci per
attaccare Gaza . 4 persone sono morte, altre 31 sono rimaste ferite
e oltre 61 famiglie per un totale di circa 300 persone sono senzatetto.
Al posto delle loro case, i cui resti del quotidiano vissuto sono
ancora ben visibili tra le macerie, ancorate sui calcinacci sono
sorte una trentina di tende della mezzaluna rossa palestinese. Quando
siamo arrivati la tenda della mezzaluna rossa era affollatissima,
un folto gruppo litigava per la distribuzione dei medicinali. Una
decina di bambini ci ha accompagnato attraverso le macerie e nelle
tende, tra padri che mettevano la bandiera palestinese nelle mani
dei figli, donne intente ad organizzare il povero pentolame recuperato
per il pranzo e dita alzate in segno di vittoria. Una bambina, Miriam,
mi ha chiesto "Il tuo paese e' come la Palestina?" e rispondendosi
da sola "No, e' sicuramente molto piu' bello non c'e' la guerra,
ma, dimmi, la gente si sposta in macchina o con il carretto da voi?"
...le ho risposto: "con tutt'e due". Abbiamo lasciato il campo di
Khan Yunis alla volta di Rafah, dove questa notte e' stato il campo
profughi di Brasil, ai confini con l'Egitto, ad essere duramente
colpito dall'esercito israeliano. 16 case e 12 botteghe sono state
completamente rase al suolo dopo averne cacciato gli abitanti con
la forza: 46 persone sono rimaste ferite, di esse 4 gravemente.
Lo spettacolo era desolante, le macerie erano ancora fumanti, dai
tubi rotti fuoriusciva ancora l'acqua, la gente era intenta a cercare
tra le case distrutte brandelli di vita. La rabbia della gente,
quando siamo arrivati era in piena esplosione contro i soldati,
ma si e' trattato delle solite, innocue pietre, cui pero' seguivano
pronte pallottole. I bambini e le bambine si sono avvicinati con
timore, poi hanno capito che non eravamo nemici e hanno preso a
guidarci in zone "sicure", dove, dicevano, i militari non sparavano.
La gente era molto nervosa, una rabbia infinita sporgeva dagli occhi,
una frustrazione profonda si avvertiva. Deve essere umiliante e
deprimente essere resi profughi continuamente: questa gente, proveniente
principalmente dalla zona di Haifa, era stata deportata ad Ashqelon
nel 1948 e da qui a Rafah nel 1956, spostata come pedine. Oggi non
abbiamo visto i TG italiani, ma sappiamo per certo che non riportano
queste cose, i palestinesi sono feriti, uccisi e resi senzatetto
quotidianamente e per la maggior parte della pubblica opinione sono
solo dei violenti terroristi. Ieri c'eravamo anche noi a Betlemme,
ad esempio, alla manifestazione organizzata dal campo della pace
israeliano, dai gruppi pacifisti palestinesi e dalle donne in nero
italiane, e c'era anche il signor Bonavolonta', corrispondente RAI...abbiamo
visto il suo servizio la sera e, anche se ormai il nostro fegato
e' provato, non possiamo evitare di restare sconvolti di fronte
alla sua continua e ostinata manipolazione dell'informazione allo
scopo certo, a questo punto, di nascondere la verita'. Dal servizio
sembrava che avessimo fatto una bella e pacifica manifestazione,
mentre nella realta' c'e' stato un serratissimo e prolungato corpo
a corpo con i militari che hanno provato, sbarrando la strada con
le jeep e con i loro fucili, ad impedirci di marciare per incontrare
l'altra parte del corteo, quella israeliana, proveniente dal lato
di Gerusalemme.
Sabato c'e' stata la manifestazione organizzata al posto di blocco
militare di Betlemme. Organizzata dal Centro palestinese per il
riavvicinamento dei popoli di Beit Sahour ha visto l'adesione delle
Donne in nero italiane e di altre organizzazioni internazionali
e israeliane. L'obiettivo era far incontrare il corteo proveniente
da Betlemme con quello da Gerusalemme, composto essenzialmente da
pacifisti israeliani. La partecipazione palestinese al corteo da
Betlemme era bassissima, predominante la presenza di internazionali.
In totale non piu' di duecento persone con gli israeliani. Non conosciamo
i dettagli della preparazione della manifestazione ma da notizie
raccolte sembra che questa bassa partecipazione palestinese sia
stata voluta, per "garantire" il carattere "non violento" della
marcia. Non possiamo e non vogliamo entrare nel merito delle scelte
dei palestinesi, rispettando il loro diritto di auto-organizzazione
e pratica politica. Ci domandiamo se manifestazioni del genere possano
portare a risultati positivi, limitando la partecipazione palestinese
anziche' verificare se questo modo di manifestare possa diventare
pratica comune. E verificando innanzitutto la reazione dei militari
israeliani. I soldati in questo caso non hanno attaccato il corteo,
anche se hanno cercato di impedire l'avvicinamento al posto di blocco,
ma cosa sarebbe successo se la presenza dei palestinesi fosse stata
piu' visibile? Abbiamo assistito a manifestazioni precedenti ai
posti di blocco, dove il "campo " palestinese era predominante ma
assolutamente pacifico. E i soldati si sono comportati in modo completamente
diverso, non hanno esitato a lanciare bombe-suono prima e proiettili
dopo. Non sara' un caso che un soldato a Betlemme abbia detto ad
una italiana : "Non vi preoccupate, non faremo nulla, siete stranieri..."
ovvero sarebbe stata altra musica se avessero visto piu' palestinesi.
Come d'altronde succede ogni giorno. Ecco, forse il problema e'
questo: manifestazioni di questo tipo rischiano di non inserirsi
nella quotidianita' del conflitto e di far apparire l'occupazione
in una luce diversa.
Intanto Israele ha ri-occupato un'area A palestinese a sud di
Gaza. Sharon torna a bombardare il Libano. Si vede che non ne puo'
fare a meno e lo fa sentire giovane, come anni fa. La situazione
e' sempre piu' critica. Ieri missili hanno raggiunto anche Beit
Sahour, Beit Jala e Al Khader, oltre al bombardamento su Gaza. Anche
stasera si sentono colpi da Gilo verso Beit Jala.