La truffa del piano Clinton

di Michel Warschawski, tratto da Rouge n° 147

Traduzione di Titti Pierini

(l’articolo è scritto prima del rifiuto palestinese del piano Clinton, lo proponiamo ugualmente perché coglie e spiega bene le ragioni di fondo della posizione palestinese. NdR)

 

In viaggio per Washingnton, Yasser Arafat deve aspettarsi un incontro difficile con il presidente uscente Bill Clinton. Dopo aver subito l’assalto delle capitali europee, del presidente Mubarak, di dirigenti arabi e russi perché accetti il "piano di mediazione" americano, è a Washingnton che egli dovrà tener testa al padrino di questa mediazione truccata. Ce la farà?

Ancora una volta la comunità internazionale è unanime nel salutare gli "enormi compromessi" accettati da Israele grazie alla mediazione di Clinton, e mostra di non comprendere come sia possibile che i palestinesi possano rifiutare una proposta così generosa. Ora, evidentemente, non è così. La proposta americana è inaccettabile, e rifiutata dall’insieme delle correnti politiche palestinesi anche se le più lucide tra di esse sanno che non sarà facile dire no a una coalizione che comprende Clinton, Putin, Chirac, Mubarak, il giordano Abdallah, il marocchino Mohammed VI e molti altri ancora.

Un piano vago.

In un editoriale pubblicato dal quotidiano palestinese "El-Ayyam", il suo capo redattore, Akkram Haniyeh, un intimo di Yasser Arafat, che era presente a Camp David nel luglio scorso, spiega perché, come quella, questa mediazione non può avere l’appoggio dei palestinesi. Innanzitutto, perché non è un piano ma tutt’ al più una seconda dichiarazione di principi che "crea più problemi di quanti ne risolve. Simili principi generali avranno bisogno di dozzine di accordi supplementari per essere applicati….Sarebbero necessari dieci mesi di negoziati difficili su un soggetto anche meno importante della via dei Martiri a Hebron (accordo che, 5 anni dopo, non è mai stato applicato da Israele!). Immaginiamoci allora quanti anni saranno necessari per arrivare ad un accordo sulle frontiere tra le diverse zone a Gerusalemme, o tra le colonie e i villaggi palestinesi vicini….". Quindi, contrariamente a ciò che vogliono farci credere certi giornalisti, il piano Cilnton non comporta alcuna carta geagrafica, ma delle idee generali e delle percentuali: a Gerusalemme i quartier ebrei saranno israeliani, i quartieri arabi palestinesi; dal 5 all’8% della Cisgiordania sarà annesso ad Israele; ci sarà uno scambio di territori; tre blocchi di colonie saranno annessi ad Israele, ecc. Nulla si dice sul meccanismo di arbitrato nel caso in cui, ancora una volta, Israele tenterà d’imporre una lettura massimalista dell’accordo, o di trascinare all’infinito le cose. Nel piano Clinton, come dopo la firma della dichiarazione di principi di Oslo, i palestinesi sono alla mercé del veto israeliano, ma questa volta hanno imparato la lezione, e non sono disposti a gettarvisi una seconda volta.

La seconda ragione del rifiuto palestinese risiede nel fatto che questo piano, accettando il principio dell’annessione di territori occupati, legalizzando le colonie, e rifiutando il diritto al ritorno dei rifugiati, si fa beffa del diritto nel senso espresso più volte dalle risoluzioni delle Nazioni Unite. "Le numerose dichiarazioni palestinesi secondo le quali qualsiasi accordo dovrà essere conforme alla legalità internazionale sono una posizione di principio, non delle dichiarazioni a scopo mediatico." Per quel che riguarda Gerusalemme, Hainyeh spiega: "Suggerendo una sovranità israeliana sul sottosuolo di Haram el Sharif (la Spianata delle Moschee, ndt), gli americani dimostranno di non aver tratto alcuna lezione dal fallimento di Camp David e dall’Intifada. Simili suggestioni alimentano il fuoco e rischiano di scatenare una guerra religiosa".

Il diritto al ritorno dimenticato

Più iunaccettabile ancora è il rifiuto del diritto al ritorno dei rifugiati. "La proposta che riguarda la questione dei rifugiati —il cuore del problema palestinese- viola la risoluzione 194 che riconosce esplicitamente il diritto a ritornare nelle loro case, e lo sostituisce con una nuova installazione, un ritorno nello Stato palestinese e delle compensazioni economiche."

Non c’è dubbio che la maggior posta in gioco della mediazione di Clinton è di imporre ai palestinesi la rinuncia al diritto dei rifugiati a reintegrarsi nel loro paese e a recuperare i loro beni immobili. Per realizzare questo, Clinton è pronto a chiedere ad Israsele di rinunciare al sogno folle di una sovranità ebraica su tutta Gerusalemme-Est e soprattutto su Haram el Sharif. Ma per Yasser Arafat è come se gli si proponesse, dopo avergli tolto i suoi due figli, di firmare un accordo secondo il quale gliene si restituirebbe uno, con un braccio amputato, a condizione che accetti di uccidere il secondo con le proprie mani.

E il redattore di "El Ayyam" conclude: "Per i palestinesi, ciò che è importante è di arrivare ad un accordo finale che abbia veramente un carattere finale. Cioè un accordo in cui tutti i dettagli siano definiti, comprese le mappe, un accordo che non abbia bisogno di una dozzina di accordi supplementari per poter essere applicato nei fatti, e che non contenga né brecce né mine…L’amara esperienza degli ultimi sette anni esige che qualsiasi accordo finale sia veramente tale." Ben detto, e giusta conclusione dopo sette anni di manipolazioni e trucchi. Ma la direzione palestinese avrà la forza d’imporre questa posizione, che non è che di buon senso? La guerra di guerriglia che poco a poco sostituisce l’ Intifada gliene offre i mezzi. Ed anche se essa non è sufficiente per strappare il Diritto, essa non di meno ha capacità di usura sulla società israeliana, di ciò i segni sono sempre più evidenti, che presto o tardi obbligherà il nuovo governo Barak-Sharon a rivedere al ribasso le loro esigenze.

Per ulteriori informazioni si può consultare il sito: http://www.alternativenews.org

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