121 personalità palestinesi lanciano

UN APPELLO URGENTE ALL’OPINIONE PUBBLICA ISRAELIANA

 

Nel febbraio di quest’anno noi, universitari e militanti palestinesi, abbiamo rivolto un appello all’opinione pubblica israeliana, nel quale esprimevamo il nostro timore che il processo di pace avviato a Oslo, così come è andato avanti nei sette anni passati, portasse inevitabilmente a contrapporci sempre di più (e magari anche alla guerra), e non all’obiettivo che vogliamo raggiungere: una definitiva riconciliazione storica che consentirebbe ai nostri due popoli di vivere in pace, nel rispetto della dignità umana e in rapporti di buon vicinato.

Esprimiamo la nostra preoccupazione rispetto al fatto che gli accordi di Oslo fossero stati utilizzati da Israele, nonostante lo negasse, per un’espansione delle colonie senza precedenti che ha portato quasi a raddoppiarne la popolazione, e per protrarre l’esproprio di suolo palestinese. I palestinesi si sono visti limitare severamente la loro libertà di movimento, mentre le violenze dei coloni contro le nostre comunità si sono sviluppate senza vedersi imporre alcun limite. Contro questa situazione la popolazione palestinese non ha beneficiato di strumenti di protezione politici, legali o fisici.

Mentre l’occupazione militare costituisce una realtà palpabile che ci attanaglia quotidianamente, dopo Oslo è stata mascherata in un modo che contrasta con il diritto internazionale e la protezione che questo potrebbe recarci. Attualmente viviamo in una serie di pezzettini di terra isolati gli uni dagli altri, che sono stati presentati come l’embrione di un nascente Stato palestinese. Secondo la logica deformata che ha dominato i negoziati, la sola strada che si offra alla direzione palestinese per allargare questi "bantustan" sarebbe quella di fare concessioni che legittimerebbero una serie di esigenze israeliane, contrarie al diritto internazionale: abbandonare i nostri diritti nazionali su Gerusalemme-Est, permettere ai coloni di restare nei Territori occupati e rinunciare al diritto al ritorno dei profughi palestinesi.

La direzione israeliana (del Likud o del Partito laburista che sia) ha continuato a presumere, dato il rapporto di forza militare che le è indiscutibilmente favorevole, di essere in grado di imporre all’Autorità palestinese la propria ingiusta visione di una regolamentazione definitiva, pretendendo con ciò agli occhi del mondo che il conflitto sarebbe risolto. L’illusione che si possa realizzare un accordo del genere solo con il Presidente Yasser Arafat, che poi lo imporrebbe al suo popolo, dimostra la miopia politica ed ha portato alla critica situazione cui ci troviamo attualmente di fronte.

Molti di noi sono scesi in strada nel corso delle ultime settimane, senza impugnare fucili o pietre. Portavamo fiaccole, per commemorare la morte dei nostri studenti, dei nostri vicini o parenti che tentano di farsi sentire dal mondo pagando con la vita, come noi non siamo riusciti a fare con le nostre parole. L’idea ingenua e pericolosa che i palestinesi scendano in strada seguendo gli ordini di Arafat non è solo un affronto alla nostra intelligenza ma è anche il segno della mancanza di comprensione della situazione in cui viviamo.

Ci rendiamo perfettamente conto che il conflitto rischia in qualsiasi momento di imboccare la spirale che lo potrebbe trasformare in una guerra etnico/religiosa, come stanno già dimostrando i pogrom contro i cittadini arabi di Nazareth, il linciaggio dei due soldati israeliani a Ramallah e i numerosi assalti di folle contro sinagoghe e moschee. Il gesto profondamente arrogante e irresponsabile del governo Barak, che ha autorizzato Ariel Sharon a dare mostra di sé ad Haram al-Sharif, dimostra non solo un’allarmante imprevidenza, ma la stessa più totale indifferenza nei confronti della sensibilità palestinese, araba e musulmana. L’uso di armi da guerra contro i civili palestinesi inermi che manifestavano in quei luoghi il giorno dopo, o in occasione delle proteste successive, dimostra il più completo disprezzo per la vita dei palestinesi.

Il testardo ricorso all’escalation nell’uso della forza militare israeliana per schiacciare la sollevazione in atto, per terrorizzare la popolazione palestinese ed imporle la sottomissione, attesta l’ostinato e pericoloso rifiuto di aggredirne la cause. Nell’immediato, l’esercito potrà anche (con il costo di parecchie vite) soggiogare l’attuale ondata di proteste. Ma alla lunga non riuscirà a soffocare la volontà di un popolo alla ricerca - giusta e del tutto legittima - di un suo posto nel mondo. Questo ci condannerà a rivivere, ancora e ancora, la crisi attuale.

Siamo tutti convinti che tra israeliani e palestinesi si potrebbe negoziare una pace giusta ed equa, che riconoscesse il diritto all’autodecisione. Ma, come l nostre comunità, abbiamo perso la speranza di risolvere le attuali iniquità nel quadro degli accordi di Oslo e dell’esclusiva "tutela" americana sul processo. Crediamo che dobbiamo ricercare un fondamento equo per la pace, che dovrebbe necessariamente avere come punti di partenza i seguenti principi generali:

- i negoziati debbono basarsi sul principio che tutte le terre occupate da Israele nel 1967 sono, di fatto, Territori occupati e che non si potrà raggiungere la pace se non fermando questa occupazione, cosa che potrà consentire ai palestinesi di esercitare il loro diritto all’autodecisione e alla sovranità;

- Gerusalemme-Est fa parte di questi Territori palestinesi occupati da Israele nel 1967, per cui qualsiasi regolamentazione finale dovrà comprendere la sovranità palestinese su Gerusalemme-Est e il reciproco impegno al riconoscimento di Gerusalemme come capitale dei due Stati;

- il riconoscimento da parte di Israele delle proprie responsabilità verso i profughi palestinesi del 1948 è una condizione preliminare per ricercare una soluzione giusta e stabile al problema dei profughi, in conformità con le pertinenti risoluzioni dell’ONU;

- entrambi le parti devono riconoscere le affinità storiche e spirituali di ognuna per quanto riguarda siti e luoghi all’interno delle rispettive frontiere e devono riconoscere e garantire il diritto d’accesso e la protezione dell’altro popolo in questi siti entro i rispettivi confini;

Crediamo che l’attuazione di tali principi consentirebbe una pace giusta e quindi stabile ed autentica. La coesistenza tra i nostri due popoli, che tra di noi auspichiamo, sarà possibile solo se la pace si fonderà su un accordo giusto. Questo richiede l’ammissione dell’ingiustizia storica perpetrata ai danni dei palestinesi. La pace e la coesistenza non saranno possibili se si impone una soluzione ingiusta, contraria alla volontà popolare.

Questa terra è destinata ad accogliere i nostri due popoli. L’esigenza di una soluzione basata sul rispetto e l’accordo reciproco si impone, non solo per la ricerca della sicurezza e della stabilità, ma anche per quella della libertà e della prosperità delle future generazioni.

Speriamo che nonostante le tragedie delle ultime settimane possa emergere tra i nostri due popoli una nuova e giusta visione della pace. (Novembre 2000)

[Seguono 121 firme di personalità palestinesi, il cui elenco è stato pubblicato da Inprecor, nn. 453-454, dicembre 2000/gennaio 2001, p. 41 (www.lagauche.com)]

 

Torna all’indice di sezione

Torna all’indice generale