Le elezioni israeliane e il problema della pace

di Marwan Bishara

 

E’ necessario ricordare oggi che il fine del processo di pace non è quello di aiutare Barak a farsi rieleggere, o Clinton a ottenere il premio Nobel per la pace, ma quello di mettere fine al lungo conflitto tra palestinesi e israeliani.

Barak ha fallito su tutti i fronti e Clinton ha largamente perduto le sue occasioni di mettere fine all’occupazione. Paradossalmente soltanto un accordo favorevole a Israele permetterebbe la rielezione di Barak, mentre un accordo fondato sulla risoluzione 242 dell’Onu, conforme alle richieste minime dei palestinesi, permetterebbe l’elezione del suo avversario, l’infame Sharon, capo della destra. Se Sharoon ha oggi tutte le chances, è perché Barak si è messo contro tutti coloro che lo avevano sostenuto nelle elezioni precedenti, in particolare la minoranza araba e il campo della pace israeliano, che insieme rappresentano un terzo dell’elettorato. I segnali contraddittori da lui emessi hanno totalmente disorientato gli israeliani, per i quali, come per la pace, un governo laburista moderato sarebbe certamente migliore, ma che, disgraziatamente, hanno la scelta tra due generali e non tra due soluzioni.

La scommessa potrebbe essere quella di trasformare il partito laburista, dopo le elezioni, in un vero partito della pace e i suoi generali in veri uomini di Stato. Dopo tutto, presto o tardi Sharon risulterà incapace, come Netanyahu e Barak, di portare pace e sicurezza. Nell’attesa, i palestinesi, che con la loro intifada sono riusciti a fermare gli insediamenti e la politica di bassi servigi di Arafat agli israeliani, dovranno affrontare nuove sofferenze.

Come in ogni altra situazione coloniale, la pace permanente può venire solo dopo la fine dell’occupazione israeliana e la riparazione dell’ingiustizia storica commessa contro di loro, in particolare con lo sradicamento di tre quarti della popolazione durante la guerra del ’48.Ciò non significa necessariamente che i 3,7 milioni di profughi palestinesi registrati torneranno in Israele,una volta riconosciuto il loro diritto. Significa che il diritto al ritorno, a prescindere da come verrà realizzato, è un diritto inalienabile, che deve essere riconosciuto se si vuole risolvere il conflitto, libererà Israele dal suo cupo passato.e aprirà la via alla coesistenza.

Una soluzione equa e durevole dovrà attendere il dopo Clinton e il dopo elezioni e comporterà il ritorno ai principi della Conferenza di Madrid del 1991, i migliori per la pace e per tutti gli interessati.

Se la questione di Gerusalemme e quella dei profughi sono apparse come le più sensibili è perché richiedono una soluzione regionale e garanzie internazionali Questa formula aprirebbe la via anche a discussioni sui problemi dell’acqua, della sicurezza, delle frontiere, della cooperazione economica e, con il ritiro degli israeliani, a una soluzione globale.

Il ritorno al governo degli Stati uniti dell’équipe che aveva voluto la Conferenza come prova della sua disposizione ad applicare, per il Golfo e per la Palestina, posizioni di principio dovrebbe facilitare le cose.

 

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