Dove Sharon porterà Israele?

di Edward W. Said

(da DAWN 8/2/2001)

Si racconta che il famoso scrittore Guy de Maupassant, subito dopo che fu costruita la Torre Eiffel, andasse in giro per la città a dire senza posa quanto non gli piacesse quella grossa struttura. Tuttavia, andava a pranzo ogni giorno nel ristorante della Torre stessa.

Quando gli fu chiesto che cosa giustificasse questo paradosso del suo comportamento, Maupassant rispose tranquillo: "Ci vado perché è l'unico posto a Parigi da dove non si abbia a guardare e nemmeno si possa scorgere la Torre".

La mia impressione generale è che per la maggior parte degli israeliani la loro nazione sia invisibile. Abitare in essa significa una sorta di cecità o incapacità a vedere che cosa sia e che cosa sia stata e, di più, una mancanza di volontà di comprendere che cosa sia stata per gli altri nel mondo e in particolar modo nel Medio Oriente. Quando questo articolo uscirà gli israeliani avranno votato e forse, come è stato previsto da settimane

ormai, Ariel Sharon sarà diventato il Primo Ministro di Israele.

Proprio come è accaduto nei mesi che hanno preceduto e succeduto l'elezione di Ehud Barak, i media statunitensi hanno dedicato grande attenzione a Sharon, nel tentativo di renderlo un candidato plausibile o almeno non così strano o offensivo. Non credo che nessuno fuori di Israele se ne sia davvero convinto, ma è davvero strano che la maggioranza degli israeliani possa considerare di rivolgersi al vecchio assassino mai pentito dei palestinesi, dopo quattro mesi di governo Barak durante il quale si è sparso senza motivo sangue palestinese e si sono puniti collettivamente milioni di arabi

residenti in Cisgiordania, Gaza e nella stessa Israele, senza aver ottenuto nulla.

Secondo le proiezioni elettorali gli israeliani sceglieranno un uomo che porterà più violenza, che, deve essere detto subito, molto probabilmente renderà le future relazioni di Israele con i palestinesi, gli stati arabi e l'intero mondo islamico meno pacifiche e sgombre di difficoltà. La questione è come la gente possa aver optato per una scelta così apertamente controproducente, a meno che innanzitutto davvero non abbia idea di che cosa il mondo pensi di loro, e quindi alcuna idea del fatto che tale distruzione

e crudeltà porterà loro sempre più alienazione e discredito e quindi insicurezza.

Confidare in Sharon ora è un'involuzione ulteriore, un deciso rifiuto del mondo esterno in favore della vecchia e ampiamente discreditata politica di attacco contro gli arabi che ha reso Israele una nazione sempre più malvista e isolata di quanto non sia stata in passato. Certamente la vita procede in Israele come procede in qualsiasi altra nazione ed è ovvio che la maggior parte degli israeliani sono persone normali che vogliono vivere una vita normale, portare avanti le loro famiglie, avere fortuna nel lavoro e continuare a vivere senza paura di catastrofi o guerre. Tuttavia, come popolo, la loro storia collettiva è stata una parte davvero poco favorevole della storia araba moderna e, in particolare per i palestinesi, è stata un continuo disastro.

E così è stato per 50 anni: la vita di una comunità ha significato nell'altra frustrazione e sofferenza, poco a poco, passo passo, inesorabilmente e senza remora. Nessun palestinese ha bisogno che gli si ricordi che ogni trionfo israeliano ha corrisposto simmetricamente ad una perdita palestinese.

Anche dopo il 1967, quando gli israeliani e i palestinesi si sono trovati a mischiarsi insieme demograficamente più di quanto non fosse accaduto fino a quel momento, la distanza e le differenze tra i due mondi si sono accentuate e allargate nonostante la vicinanza dei due popoli. L'occupazione militare non ha mai avuto lo scopo di una comprensione reciproca e così anche gli anni che sono seguiti agli accordi di Oslo hanno portato poca reciprocità, eccetto che per un gruppo di persone privilegiate molto ristretto che comprendeva i responsabili della sicurezza e i negoziatori.

Piuttosto che mettere in relazione l'occupazione militare all'Intifada come la causa e l'effetto, molti israeliani ora sembrano volere che Sharon "tratti con gli arabi", come se "gli arabi" fossero delle mosche o uno sciame di api che da loro noia. I promotori della pace sembra che non abbiano mai capito che le cose stavano andando peggio e non meglio, né sembra che abbiano percepito alcuni fatti: l'incredibile lentezza e

tortuosità di Israele nel lasciare alcuni territori qua e là; le mille riserve e le svariate ore di negoziazioni spese a discutere tutte le più inimmaginabili condizioni che Israele poneva ad ogni stadio del processo, come muovere le proprie truppe da una parte della West Bank all'altra; l'incessante opera di costruzione degli insediamenti; le nuove strade che hanno diviso e spezzettato sempre più la Cisgiordania e Gaza; le frequenti chiusure; l'uso continuo della tortura; la violenza dei coloni in posti come Hebron; il fatto che Barak non abbia restituito alcun territorio.

Si deve anche dire che i palestinesi si sono comportati verso i loro colonizzatori come tutti i popoli colonizzati della storia: si sono ribellati protestando. Ma che cosa è così difficile da capire o cosa c'è di così oscuro in questo fatto? E perché un popolo così evidentemente ben dotato come gli israeliani, ha difficoltà a capire gli aspetti più elementari del comportamento umano?

Ma, poniamo che una persona possa pensare per un momento che tutto ciò che è stato fatto ai palestinesi come parte del processo di pace avrebbe potuto portare ad una soluzione positiva - sì positiva - allora questa persona deve avere uno stranissimo senso di sé, la psicologia più bizzarra del mondo.

Questo senso invertito delle cause e degli effetti, che cosa rivela di questa persona? Suggerisce di credere che la punizione ed il sadismo davvero migliorino le relazioni tra le persone?

Questo è puro sadismo punitivo: non serve alla sicurezza o a scopi a lungo termine eccetto a rendere un inferno la vita di tutti i palestinesi che nel corso normale della loro vita hanno speso la maggior parte del tempo a percorrere una strada durante la quale sono stati sottoposti a infiniti ritardi, svolte, perquisizioni, umiliazioni, interrogatori e che per la maggior parte del tempo non sono riusciti a percorrere fino in fondo la strada a causa del capriccio israeliano. C'è qualcuno che può pensare che questa sia la strada giusta e come si può pensare così, a meno che uno non sia davvero così fuori dal contatto con la realtà?

Io posso immaginare abbastanza facilmente che gli israeliani che erano in favore di queste procedure fossero per tutti gli altri aspetti della vita come le altre persone. Solo quando si trattava di arabi le cose si credeva che fossero differenti. Per quanto ne so io nemmeno una volta un leader israeliano si è fermato e ha detto, per esempio: "Abbiamo trattato ingiustamente queste persone, li abbiamo buttati fuori dalle loro case, abbiamo distrutto la loro società e li abbiamo spogliati di tutto, almeno ricordiamoci di questo e cerchiamo di rendere loro la vita più semplice ora." Durante le lunghe e tortuose sessioni dei negoziati del processo di pace non è mai stato nemmeno sussurrato alla stampa che un leader israeliano avesse detto qualcosa di magnanimo o avesse suggerito che sentiva uno scrupolo di coscienza per ciò che è stato fatto ad un intero popolo nel nome di Israele.

Tutto quello che abbiamo sentito è che ogni particella di terra che veniva discussa, veniva concessa ai palestinesi con migliaia di condizioni annesse, che una Palestina già divisa doveva essere divisa ancora tre, quattro e chissà quante volte ancora per tenere i palestinesi separati, e così che i palestinesi avrebbero dovuto saltare ancora chissà quanti ostacoli e attendere ancora anni prima di raggiungere qualcosa di simile ad uno stato autonomo vero. E centinaia di prigionieri politici sono ancora tenuti reclusi, e i palestinesi cittadini di Israele sono ancora tenuti nei loro poveri villaggi, con le loro scuole e amministrazioni locali di serie B, impossibilitati ad acquistare o affittare terra per ragioni religiose ed etniche, così che Israele possa mantenere una maggioranza ebraica padrona, e così gli israeliani ebrei possano spadroneggiare su altra gente senza aver da pensare a loro e senza vederne nemmeno tanti attorno.

Non è necessario essere Aristotele o De Gaulle per capire che la politica ufficiale di Israele di cecità non avrebbe portato mai alla vittoria, non più di quanto sia stato un successo la politica di Sharon in Libano, o di quanto abbia avuto successo la politica di "pace" di Barak nel fermare l'Intifada Al Aqsa. Come Maupassant nel ristorante della Torre Eiffel, un'Israele condotta dal generale falco sprofonderà sempre di più in una

condizione dove non potrà trovare una via di fuga o la vittoria. Invece che ritrarsi in se stessa, Israele si sta certamente legando sempre di più al mondo arabo nella peggiore maniera possibile, con il suo esercito, i suoi coloni, i suoi conquistatori e i suoi declamanti ideologi, mentre i suoi cittadini, i suoi artisti la sua gente normale è paralizzata da una visione di fuga e di critica severa che ora non ha più possibilità di realizzarsi di quante ne avesse prima.

Oggi le fantasiose idee di potere di Israele, così come sono rappresentate dalle persone che preferiscono Sharon, nella migliore delle ipotesi sono un semplice ritardo, e sanguinario peraltro, di ciò che saranno i risultati di un sistema di apartheid che funziona solo se due popoli accettano che il più forte si imponga sul più debole. Ma dal momento che questo non accade (e non è mai accaduto nella storia) sarà sempre improbabile che un popolo accetti benevolmente la propria sottomissione. Perché gli israeliani in massa si autoingannano a pensare che questo possa funzionare in un'area così piccola e nella geografia così satura di storia com'è quella della Palestina?

E' difficile credere che fino a che gli israeliani crederanno nel miracolo di un'Israele miracolosamente separata dal suo contesto circostante – una nozione bizzarra che Sharon ha promosso nella sua campagna elettorale – gli ebrei israeliani possano sembrare cittadini di un moderno stato laico piuttosto che membri di una setta di culto. E in qualche modo è vero che la storia della prima Israele come uno nuovo stato di pionieri è un'idea che proviene da un culto utopico, sostenuto da persone la cui energia per la maggior parte è stata spesa nel chiudersi al contesto e vivere nella fantasia di un'impresa pura ed eroica.

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