Un piano di Sharon per colpire l'idea di un possibile dialogo

 di Ennio Polito

Nel breve spazio di un numero di Haaretz – il numero di giovedì 10 maggioleggiamo notizie e commenti che riflettono preoccupazioni per l’erosione della democrazia israeliana non meno vive di quelle suscitate dagli orrori dell’aggressione contro la popolazione della striscia di Gaza. Sono preoccupazioni che dovremmo tutti condividere. Ma dubitiamo che certa stampa, sempre pronta a esaltare la democrazia israeliana come un valore raro nel Medio oriente – ciò che è purtroppo vero – ma anche a considerare questo un tratto innato, capace di convivere in eterno con la sopraffazione del buon diritto dei palestinesi e perfino di legittimarla– ciò che, invece è meno probabile – ne faccia giungere anche solo una flebile eco ai suoi lettori.

(Condividiamo questo dubbio con i redattori della ”Lettera dei cooperanti italiani in Palestina”, che si sono assunti per dolore e per rabbia di fronte a quanto sta accadendo il compito di “fare le pulci” alla versione di comodo così diffusa in telegiornali e corrispondenze. Abbiamo torto? Domandatevi quanti dei quotidiani che hanno a Gerusalemme corrispondenti e inviati “veri” hanno dato notizia delle proposte che Uri Avnery, scrittore e giornalista israeliano che mezzo secolo fa militava tra i terroristi dell’Irgun e oggi dirige l’organizzazione Gush Shalom ha sottoposto alle altre componenti del movimento pacifista).

La notizia che riguarda Susan Sontag, ebrea newyorkese, saggista e scrittrice di fama mondiale, per la verità qualche giornale l'ha data. Ma Haaretz ci racconta qualcosa di più e, in parte, di diverso. Per chiarezza, ricordiamo per prima la versione più semplice. Della Sontag non si conosceva fino a pochi giorni fa un solo pronunciamento che non suonasse lode e solidarietà per Israele. Ora, nel ricevere il “Premio Gerusalemme per la libertà dell’uomo e della società” dalle mani del sindaco Olmert (uomo del Likud, primo cittadino di una capitale “rubata”, insieme con la patria, ai palestinesi), ella ha sentito il dovere di condannare tanto “l’uso sproporzionato della potenza di fuoco” contro i civili quanto il rifiuto, da parte di Sharon e di Peres, di porre fine agli insediamenti, i quali dovranno comunque essere “demoliti, nel quadro di un accordo di pace”. “Sono convinta”, ha soggiunto, “che la dottrina della responsabilità collettiva come motivazione di punizioni collettive non ha giustificazioni sul piano militare, né su quello etico. Mi riferisco anche alla distruzione delle abitazioni dei civili, degli orti e degli uliveti, alla privazione dei loro mezzi di sussistenza, dell’accesso all’impiego, alle scuole, ai servizi medici, in relazione con attività ostili verificatesi nelle vicinanze”. E, a proposito dei coloni: “Non ci sarà pace con i palestinesi se la costruzione di altri alloggi non sarà fermata, in attesa di demolirli”.

Parole che hanno suscitato “un’ondata di applausi” tra il pubblico e l’uscita di altri in segno di protesta. La conclusione della scrittrice è stata in chiave pluralista: “Accetto il premio come un omaggio a tutti gli scrittori e a tutti i lettori in Israele/Palestina che lottano per creare una letteratura fatta di singole voci e dia molteplici verità”.

Non sta a noi, naturalmente, interpretare alla lettera questo accenno, ma sembra logico collegare la parola “lotta” con altri due titoli che fanno riscontro, sul giornale, alle dichiarazioni della Sontag. Il primo si riferisce a un’indiscrezione, a firma dello stesso cronista, secondo la quale funzionari dello Shin Bet, il potente servizio segreto per l’interno, stanno convocando scrittori, poeti, giornalisti ed editori appartenenti alla comunità palestinese di Israele e in possesso della nazionalità israeliana per chiedere spiegazioni su questa o quella frase dei loro scritti suscettibile di essere definita “nazionalista estremista”. Dal canto suo, l'ex- viceesindaco di Gerusalemme, Meron Benvenisti, ci fa sapere che sul tavolo di Olmert c'era, al momento della premiazione, una proposta governativa di chiudere a tempo indeterminato la presidenza e la gestione di Sari Nusseibeh sull’università araba di Gerusalemme, Al Quds.

E’ lo stesso Benvenisti, anche lui scrittore, giornalista e uomo di cultura, a collegare nel suo articolo, amaramente intitolato “Quale libertà, quale società?”, la vicenda del premio conferito alla Sontag e la campagna di repressione della cultura palestinese all’interno di Israele, campagna di cui Nusseibeh rischia di essere la prima vittima. Il centro del suo ragionamento è che Nusseibeh aveva tutti i requisiti – la rappresentatività sociale e culturale, l’apertura intellettuale, la tendenza e la disponibilità a far da ponte tra due mondi - per essere il candidato naturale al premio e che gli è stata preferita la Sontag soltanto perché gli organizzatori erano incapaci di estendere la nozione di “libertà” a un palestinese. La Sontag, dunque, è caduta “per ingenuità” in una trappola (i cui promotori, va detto a suo onore, non ha mancato di inchiodare). Nusseibeh resta, qualunque cosa dica o faccia, “una minaccia per la sicurezza di Israele” e, invece di essere premiato, è messo alla porta.

Non è il solo bersaglio. Benvenisti parla di una lista di obbiettivi da colpire nel quadro di un piano messo a punto dal ministro della sicurezza, Uzi Landau, che si basa sull'idea di una contraddizione insanabile tra dialogo e guerra. "Il dialogo è escluso, perché se vi fosse un interlocutore nella discussione, ciò equivarrebbe al riconoscimento di un'entità indipendente, premessa di una'divisione della sovranità sul Monte del Tempio' "

Su questo terreno, a giudicare dal resoconto dei colloqui tra gli agenti dello Shin Bet - improvvisati “lettori di poesia”, come ironizza il cronista – e gli scrittori palestinesi, le autorità israeliane sembrano molto più a loro agio che non sui problemi della libertà umana e sociale. Risuonano nomi fittizi ( forse gli intramontabili “poliziotto buono” e “poliziotto cattivo”) e frasi da “duro” di bassa forza (“Che cosa intendeva dire con quella frase?”, “Lei scrive poesie pericolose”. O “Stia attento, su di lei sappiamo tutto, abbiamo un intero dossier”; per non parlare di “Lei viaggia troppo, ci dica chi sono i suoi contatti oltremare”, rivolto, curiosamente a un cantante).

Frasi che potrebbero far sorridere, ma sarebbe una reazione fuor di luogo. A qualsiasi altra latitudine, questa si chiamerebbe ingerenza, intimidazione e così via, in Israele il cronista usa gli stessi termini ma ha l'accortezza di riferirli alla percezione degli interrogati (e così, implicitamente, ci fa sapere che anche un ebreo ha motivo di tenersi alla larga dai servizi segreti). Inoltre, in quegli scritti, in quelle poesie, in quelle canzoni ci sono troppi nomi di ragazzi palestinesi morti ammazzati.

 

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