Nell'indifferenza generale, la Palestina (e Israele) verso la catastrofe

L'accelerazione degli eventi in Afghanistan, "liberazione" di Kabul, l'assassinio di quattro giornalisti occidentali ed altro ancora, ha messo la sordina a cio' che succede in Palestina. I media occidentali per poter, in tempi normali ed anche di guerra, parlare dei palestinesi hanno bisogno di morti, e molti al giorno.
Nel momento dello "stallo bellico" in centro Asia (bombardamenti ininterrotti sulla popolazione civile afghana) si continuava a ripetere che la ripresa del "dialogo" tra israeliani e palestinesi era una condizione essenziale per la soluzione dei problemi.
Ora che in meno di quarantott'ore dodici bambini palestinesi sono rimasti vittime dell'aggressione israeliana (sette uccisi e cinque feriti), piu' l'assassinio "preventivo" di tre leaders di Hamas tra cui Mahmu d Abu Hanud e la morte di due uomini e una donna ad un posto di blocco israeliano, l'occidente torna a parlare di Palestina.
Cio' che piu' di altro ha colpito il nostro immaginario "giustificazionista" e' stato l'assassinio dei cinque fratellini di K han Yunis, un campo profughi della striscia di Gaza, dilaniati da una mina piazzata dalle squadre speciali dell'esercito israeliano sulla strada che ogni giorno percorrevano per andare a scuola. Non e' un caso che nelle ore successive alla tragedia da tutte le parti si invocava l' "incidente" (si sa: in guerra succede!). Le versioni si incrociavano: una cannonata sulla scuola (non sarebbe stata la prima volta), un proiettile anticarro inesploso preso a calci dai bambini, ecc. Solo in tarda serata la verita': l'esercito israeliano su ordine del generale Mofhaz aveva piazzato una potente mina antiuomo, sotterrandola sotto la sabbia (a Gaza le strade asfaltate si contano sulle dita di una mano). Naim (14 anni), Amr(13 anni), Anis (12 anni),  Muhamed (12 anni) e Akram (6 anni) non hanno avuto bisogno di prendere a calci un bel niente, e' stato sufficiente il peso del passo di uno di loro per cancellarli dalla faccia della terra. L'identificazione e' stata possibile solo grazie agli zainetti di scuola, ai quaderni.
Dall'inizio della rivolta nel settembre del 2000 i bambini palestinesi (ne sono morti oltre duecento e alcune centinaia sono stati feriti) sono stati dipinti come "provocatori" nel momento in cui tiravano pietre, "intrusi" in un conflitto a fuoco se venivano assassinati da un proiettile sparato  alla testa tornando da scuola, "piccoli terroristi" se venivano dilaniati dalle cannonate contro le loro case o le loro scuole.
Dopo l'eccidio di Khan Yunis l'esercito e' costretto ad ammettere che quella mina aveva come obiettivo quello di far saltare in aria un certo numero di palestinesi, possibilmente adulti, poco importa se politicamente significativi. La giustificazione, sempre la stessa da un anno, sarebbe stata: sono rimasti vittime di un ordigno che preparavano per colpire i civili israeliani.
La morte dei cinque bambini, pero', apre uno scorcio sulla strategia del terrore che gli israeliani adottano fin dal 1947. E' chiaro che se anche fossero morti degli adulti il crimine non sarebbe stato meno grave. I campi profughi di Gaza sono i piu' densamente popolati al mondo, da oltre un anno la popolazione di Gaza vive reclusa, impossibilitata ad uscire dalla striscia, quindi e' evidente che la strategia e' colpire nel mucchio .. Terrorizzare i civili, come nel caso di Deir Yassin, Ramla, Jaffa tutti villaggi "svuotati" dopo stragi di donne, uomini, vecchi e bambini inermi. All'epoca l'hanno chiamata guerra d'indipendenza, oggi la chiamano "sicurezza preventiva". Oggi come allora e' solo terrorismo. O ggi come allora gli israeliani sono coperti dal giustificazionismo della coscienza sporca dell'occidente nei confronti del genocidio nazista, i  "democratici" dell'epoca fecero poco e nulla per salvare i sei milioni di ebrei europei assassinati nei campi di sterminio, i "democratici" di oggi fanno poco e nulla per impedire il massacro lento ma inesorabile dei palestinesi. Barak nel novembre del 2000 dichiaro' che se non fosse stato controproducente per la "loro causa" avrebbe sicuramente avallato un "bel massacro di mille o duemila civili" per "sfoltire" Gaza e Cisgiordania.
La cosiddetta "cautela" israeliana e', quindi, dettata da questioni di immagine.

A chi servono gli integralisti islamici?

Mahmud Abu Hanud era chiamato "sette vite". Questo soprannome se lo era guadagnato grazie al fatto di esser sfuggito a molti tentativi di eliminazione da parte dell'esercito. Ora gli israeliani sono riusciti nel loro intento: sette missili hanno polverizzato la sua automobile.
Ai suoi funerali a Nablus hanno partecipato oltre cinquantamila palestinesi, trasformandoli in un chiaro messaggio politico. L'Intifada non si ferma ne' con le stragi di innocenti ne' con l'assassinio di leaders politici.
La strategia israeliana e' chiara, oggi piu' che mai: far giungere i palestinesi allo zenith dell'esasperazione.
Hamas, dopo l'assassinio di Abu Hanud, ha "sfondat o" anche in una citta' come Betlemme da sempre ostica nei suoi confronti. Dimostrazioni in quella citta' si sono susseguite imponenti.
L'arrivo in Israele del generale Zinni, come "mediatore", qualche gior no fa aveva spinto Sharon, Peres & c. ad allentare l'assedio di Jenin. Osserviamo, non en passant, che l'animo di Zinni gia' in zona non e' parso molto scosso dall'eccidio di Gaza.
Nessuno poteva illudersi che non ci sarebbe stata una reazione, che puntualmente e' arrivata.
Nella notte tra il primo ed il due dicembre in diversi attacchi di kamikaze oltre trenta israeliani sono stati uccisi fra Gerusalemme ed Haifa, molti sono stati feriti e molti fra questi sono gravissimi.
Precisiamo che non ci esalta, in nessun caso, la morte di civili (a questo proposito vorremmo sapere dove erano le "anime belle" nelle stess e ore degli attentati di Gerusalemme, quando le agenzie occidentali annunciavano il bombardamento da parte degli Usa di una colonna di profughi afghani in fuga da Khandhar. I civili morti, evidentemente, per qualcuno non sono tutti uguali!). Ma alcune osservazioni sono necessarie, per non perdersi nella disperazione che di questi mesi.
C'e' differenza fra cinque bambini che saltano su una mina piazzata da un esercito di occupazione e dodici giovani che saltano in aria insieme agli attentatori, molto probabilmente coetanei? Si, c'e' una grossa differenza .. La differenza non consiste nel "pesare i morti", ma nel fatto che i palestinesi non hanno modo alcuno di difendersi dalle incursioni israeliane, dai bombardamenti, dalle ruspe che demoliscono le loro case (centinaia dal 28 settembre 2000 ad oggi), dallo sradicamento dei loro vigneti, uliveti, dai tiratori scelti che falcidiano chiunque abbia oltre 12 anni.
All'epoca della lotta di liberazione algerina ad un dirigente del Fln arrestato dai francesi, un giornalista chiese perche' il Fln facesse attentati indiscriminati nella parte "francese" di Algeri, utilizzando i cestini delle donne, imbottendoli di tritolo. Il dirigente algerino rispose: "mi dia i suoi bombardieri ed io le daro' i miei cestini". In quel momento, per stroncare la resistenza algerina i francesi bombardavano al napalm interi villaggi. A chi si scandalizza solo per alcuni morti e non per altri, i palestinesi potrebbero rispondere in modo analogo. Certo gli attentati suicidi sono una tragedia (anche per chi decide di farsi saltare in aria), ma dobbiamo chiederci: hanno altre alternative?
In molti rispondono che l'alternativa e' la ripresa del dialogo. Si, ma che tipo di dialogo? Dal 1993 al 2000 Arafat non ha fatto che cedere ai diktat israeliani, rischiando in piu' di un'occasione la guerra civile tr a i palestinesi.
La seconda Intifada affonda le sue radici nella verifica, che i palestinesi hanno fatto molte volte, che gli innumerevoli accordi sottoscritti dall'Anp non hanno portato a nulla, anzi, se possibile, hanno peggiorato le loro condizioni di vita.
Gli integralisti islamici servono, per paradossale che possa sembrare, moltissimo a Israele. Israele fin dalla prima meta' degli anni ottanta ha cercato di far crescere le formazioni islamiche per poter avere un'alternativa all'Olp, troppo "laica". Arafat per quanto arrendevole e accomodante, per molti anni ha accettato di fatto il ruolo di "poliziotto" di Gaza e Cisgiordania, non puo' valicare l'ultimo confi ne, quello della resa definitiva.
Questi ultimi attentati, inoltre, servono a Sharon da un lato per poter giustificare il prossimo massacro di Stato, che sicuramente ci sara', dall'altro per poter sostenere la "fine dell'era Arafat". Gia' da a lcuni giorni i giornali israeliani avevano rivelato che il governo israeliano ha deciso di trovare qualcun altro che non sia Arafat per condurre trattative "segrete" (che tanto segrete non sono se ne parla il piu' diffuso quotidiano israeliano Haaretz).
Certo Arafat ha commesso molti errori, ma non nel senso che pensa la leadership israeliana. Dopo Arafat e' difficile che Israele trovi altri leaders palestinesi disposti a trattare col cappio al collo.
Inoltre per quanti sforzi gli israeliani abbiano fatto dal 1948 ad oggi non sono riusciti a trovare il quisling palestinese per arrivare ad annettersi Gaza e Cisgiordania con la finzione dell'autonomia senza speranza di indipendenza vera.

Il vicolo cieco

La politica israeliana sta portando il popolo palestinese alla disperazione piu' cieca e il popolo israeliano verso il baratro, ma la cosiddetta "comunita' internazionale" non sembra accorgersene.
A poche ore dagli attentati Kofi Annan, segretario generale dell'Onu, il presidente Usa Bush, il segretario di stato Usa Powell, il nostro ministro degli esteri Ruggiero, Joska Fischer a nome del "socialdemocratico" Shroeder e tanti altri hanno "intimato" ad Arafat di arrestare i responsabili e a processarli. Ipocriti! Come non sapessero che il primo responsabile e' a Washington, accusato formalmente, per altro, in Belgio delle stragi di Sabra e Chatila.
Ora come non mai per uscire da questo tremendo vicolo cieco e' indispensabile sostenere, e senza "ma!", la lotta del popolo palestinese.
Se ci tiriamo indietro ora pagheremo, tutti, il prezzo piu' alto.
La fine dell'occupazione militare, vera e non la finta di Oslo, lo smantellamento delle colonie, restituzione del diritto al ritorno per i milioni di profughi nelle loro case. Queste le uniche condizioni possibile per avviare un dialogo credibile fra le parti, che porti ad una pace giusta e duratura.

Cinzia Nachira, 2-3 dicembre 2001

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