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RAFAH: ISRAELE DEVE RENDERE CONTO

Jeff Halper (Israeli Committee Against House Demilitions , ICAHD -- Comitato Israeliano contro la Demolizione delle Case )

(traduzione di Adriana Redaelli)

Il massiccio e crudele attacco del 10 di Gennaio da parte di Israele contro una popolazione civile di rifugiati palestinesi, già impoveriti - 58 o più abitazioni sistematicamente demolite (alcune con gli abitanti ancora nel sonno, secondo il giornale Ha'aretz), almeno 520 persone rimaste senza tetto nel pieno dell'inverno (di cui 300 bambini) - è tanto agghiacciante nel suo concepimento quanto nel suo costo umano.

Anche se le demolizioni sono state presentate come una "ritorsione" per l'attacco di Hamas ad una postazione militare israeliana del giorno precedente, il portavoce dell'esercito israeliano ha ammesso che non c'erano legami tra l'attacco e le demolizioni. Di fatto già da settimane erano pronti piani per demolizioni massicce -- descritte dal portavoce come "un certo numero di strutture demolite per considerazioni tattiche" e si stava solo aspettando il momento "opportuno".

Il generale Tom-Tov Samia, già a capo del comando meridionale delle IDF (Forze di Difesa Israeliane), aveva detto, in una intervista radiofonica rilasciata nello scorso settembre, che "Le IDF devono "radere [al suolo]" tutte le case [nel campo profughi di Rafah, contiguo con il confine egiziano] entro una striscia larga 300-400 metri ... Arafat deve essere punito, e, dopo ogni incidente altre 2-3 file di case devono essere rase [al suolo]... Dobbiamo impiegare questo strumento estremo: funziona ... e sono molto contento che venga usato. Purtroppo lo si usa ancora in dosi troppo piccole. Deve essere fatto in un’unica grande operazione"

La demolizione delle case a Rafah, anche se di dimensioni senza precedenti questa volta, fa parte di una politica a lungo termine, una specie di guerra a bassa-intensità che spesso sfugge all'attenzione del pubblico.

Dall'inizio della seconda Intifada [settembre 2000]:

80 civili palestinesi sono stati uccisi nel campo profughi di Rafah, di questi 22 erano bambini.

 

1125 persone sono state ferite, di cui 108 sono ora gravemente invalide.

 

1400 persone sono rimaste senza tetto (a queste si devono aggiungere le 500 delle ultime demolizioni).

 

69 negozi sono stati distrutti.

 

1600 persone hanno perso il lavoro.

 

520 acri di terra sono stati "ripuliti" e le risorse idriche sistematicamente distrutte. Le stesse IDF definiscono Rafah come una terra "bruciata".

La distruzione delle case a Rafah è chiaramente un crimine di guerra e costituisce una grave violazione dalla Quarta Convenzione di Ginevra che protegge i civili sotto occupazione (e che Israele ha firmato e ratificato). L'Articolo 33 della Quarta Convenzione afferma che: "Nessuna persona sotto protezione può essere punita per un reato che non abbia commesso personalmente. Sono vietate sia le e punizioni collettive che tutte le misure di intimidazione o di terrorismo. Sono vietate le rappresaglie contro le persone sotto protezione e contro le loro proprietà ".

L'Articolo 53 proibisce "Qualsiasi distruzione, da parte della potenza occupante, di beni immobiliari o personali appartenenti a privati sia individualmente che collettivamente" -- un altro chiaro riferimento alla demolizione delle case.

Le demolizioni di massa erano già una violazione particolarmente drammatica e visibile della legge internazionale, ma non sono l'unica. Poiché la Convenzione di Ginevra definisce l'occupazione come una " condizione temporanea" e quindi vieta alle potenze occupanti di rendere permanente la loro presenza, praticamente ogni atto dei 35 anni dell'occupazione israeliana è stato illegale.

E’ vietato alle potenze occupanti brutalizzare la popolazione civile (Articolo 32, che include gli omicidi).

E' proibito il saccheggio (Articolo 33 che si applica all'uso estensivo che Israele fa delle risorse idriche soprattutto perchè ne nega l'utilizzo alla popolazione palestinese locale). E' proibito l'uso di punizioni collettive (sempre Articolo 33 che include l'imposizione di chiusure prolungate, di coprifuoco, come pure le demolizioni).

Alle potenze occupanti è proibito depauperare la popolazione locale, o impedirle di procurarsi il sostentamento, come ha fatto Israele nei dieci anni di "chiusura" dei Territori Occupati.

L'Articolo 49 proibisce le deportazioni e qualsiasi "trasferimento forzato" e ciò includerebbe anche pratiche comuni come la revoca delle carte di identità dei Palestinesi residenti a Gerusalemme [i Palestinesi residenti a Gerusalemme hanno una carta di identità speciale, la carta blu], o l'impedire ai Palestinesi il rientro in patria dal lavoro, lo studio o i viaggi all'estero".

La Quarta Convenzione di Ginevra mette inoltre fuori legge gli "insediamenti" "La potenza occupante non trasferirà parte della sua popolazione civile nei territori che occupa" (Articolo 49).

L'Articolo 64 vieta le modifiche al sistema legale tese, tra l'altro, all'alienazione di terre e altre proprietà, cosa che Israele ha fatto tramite espropriazioni massicce.

Come tutti i patti relativi ai diritti umani, la Quarta Convenzione di Ginevra ritiene responsabili gli individui che abbiano commesso "gravi violazioni" della Convenzione (Articolo 146), inclusi, secondo l'Articolo 147, molti degli atti che costituiscono una pratica di routine sotto l'Occupazione e che sono apparsi in evidenza in modo così tragico a Rafah: l'omicidio intenzionale, la tortura e il trattamento disumano, l’infliggere intenzionalmente sofferenze o lesioni gravi, le deportazioni illegali e l'estensiva distruzione o espropriazione di beni.

Ed ecco il tocco finale: con l'aiuto dei suoi legali in patria e della comunità internazionale Israele ha agito nella più assoluta impunità nei confronti della legge internazionale, ed è riuscita a sottrarsi alle sue responsabilità. Lo ha fatto in molti modi.

In primo luogo presentandosi cinicamente al mondo come "vittima". Begin fu il primo a trasformare l'Olocausto in uno strumento politico per dare autorevolezza morale alle sue politiche di colonizzazione aggressiva e all'invasione del Libano, usando nel contempo in modo assai efficace il senso di colpa cristiano/occidentale per distogliere le critiche dalle sue azioni. La Germania, per esempio, ha un ruolo nella politica estera dell'Europa, ma il suo "rapporto speciale" con Israele le impedisce di chiedere conto ad Israele delle violazioni. Quindi i tentativi Europei di porre un limite alle azioni di Israele incontrano spesso il veto dei Tedeschi (con l'attivo sostegno dell'Olanda e della Gran Bretagna, e, di recente, dei governi di destra dell'Italia e della Spagna).

Ed è qui il punto: essere "vittima" è di grande convenienza. Le vittime non hanno responsabilità, non sono imputabili proprio perchè ... sono vittime.

Così Israele possiede uno dei più sofisticati eserciti del mondo (di recente ha firmato contratti miliardari per forniture sia all'esercito cinese che a quello indiano), possiede 200-300 testate nucleari (che ne fanno la quinta potenza nucleare mondiale) e tiene sotto controllo le vite di tre milioni di Palestinesi tramite un'occupazione belligerante, ma si fa passare per "vittima" del terrorismo e demolisce le case di 500 profughi per "autodifesa".

Edward Said ha detto: "Non essendo in grado di persuadere il mondo a imputare ad Israele la responsabilità delle sue azioni, i Palestinesi, sono diventati le vittime delle vittime, isolati, senza potere, e senza un posto dove andare".

In secondo luogo Israele sostiene che non esiste occupazione, e di stare semplicemente "amministrando" la Cisgiordania e Gaza (dopo aver formalmente annesso "Gerusalemme Est") fino a che lo status finale non sia stato negoziato.

Israele sostiene che il termine "occupazione" si riferisce unicamente alla conquista di un territorio che appartiene ad un altro stato sovrano, e poiché nessuno stato aveva la sovranità sui Territori prima del 1967, legalmente non c'è occupazione. (Ciò detto, con chi avverranno i negoziati? Se i Palestinesi non possono avanzare pretese legali sui Territori Occupati, perchè Israele negozia con loro? Se lo fanno, allora ci deve pur essere un'occupazione).

Nessun paese del mondo appoggia questa Israele. Anche gli Stati Uniti, tra il 1967 e il 1993, consideravano l'occupazione dei Territori illegale e sostenevano l'applicazione della Quarta Convenzione di Ginevra. Sfortunatamente (ma non è sorpresa) gli USA modificarono la loro posizione all'inizio del "processo di pace" di Oslo. Gli Stati Uniti accettarono allora il reclamo di Israele secondo il quale, se la legge internazionale avesse costituito la base dei negoziati, gli Israeliani avrebbero perso i Territori Occupati, visto che la loro pretesa su di essi ovviamente non aveva fondamento. Di conseguenza gli USA declassarono i Territori Occupati a "territori contesi". (Gli Americani descrivono la loro posizione negoziale a Oslo una "ambiguità costruttiva ") .

Questo ha tolto il terreno di sotto i piedi ai Palestinesi, li ha costretti a negoziare su ciascuno degli insediamenti, su ciascuna delle strade, su ogni centimetro di terra da una posizione estremamente debole. Ha inoltre dato ad Israele modo di sottrarsi ai provvedimenti della Convenzione di Ginevra e a tutti gli altri strumenti della legge internazionale.

E veniamo qui al principale motivo per il quale Israele è stata in grado di mantenere la sua Occupazione per più di una generazione a dispetto della sua manifesta illegalità e malgrado ogni sforzo di imputargliene la responsabilità: si tratta dell'Amministrazione Americana e, di recente, del Congresso Americano. L'azione efficace dell'AIPAC (il Comitato Americano-Israeliano per gli Affari Pubblici, ossia la lobby Israeliana al Congresso), l'acritico e perfino disonorevole ruolo svolto dalla comunità ebraica Americana che ritiene che il sostegno dato alla destra israeliana costituisca un "sostegno ad Israele", insieme all'influenza della Destra Cristiana -- e certamente all'anti-arabismo seguito all'11 settembre -- hanno creato a Washington un impenetrabile ombrello di sostegno che rende Israele e la sua occupazione intoccabili.

L'Europa non ha una politica estera indipendente (anche se è partner commerciale di Israele molto più importante di quanto lo siano gli Stati Uniti), l'ONU e le sue agenzie per i diritti umani sono stati neutralizzati; il mondo Arabo segue a ruota.

Il popolo palestinese resta assolutamente isolato se si eccettuano i suoi pochi sostenitori internazionali e gli ancora più pochi sostenitori israeliani.

La demolizione di case è una delle espressioni più crudeli della politica di repressione di Israele. Può essere paragonata a uno stupro, che viola le persone nella loro più essenziale e intima umanità nel momento in cui il contenuto delle case -- mobili, documenti, giocattoli, vestiti, i beni più cari della famiglia -- viene gettato fuori (nel caso di Rafah, nel fango dell'inverno), la casa viene distrutta davanti agli occhi terrorizzati dei bambini. Dal 1967 Israele ha distrutto più di 7000 case e ha lasciato decine di migliaia di Palestinesi traumatizzati e senza tetto.

Per noi membri del'ICHD (Comitato Israeliano contro la Distruzione delle Case) è impossibile fare visita a Rafah e portare la nostra solidarietà alle famiglie, o intraprendere la ricostruzione delle case, come facciamo in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Ovviamente organizzeremo proteste e cercheremo di mobilitare l'opinione pubblica.

Ma, oltre a questo, abbiamo fatto voto di portare in tribunale i colpevoli, dalle più alte cariche del governo (Sharon e Ben-Eliezer), alle alte cariche militari (il comandante Shaul Mofaz, il capo del comando meridionale Doron Almog), ai soldati che hanno guidato i bulldozer.

Israele deve essere giudicato per le sue azioni, e la comunità internazionale (inclusi gli USA) deve assumersi la responsabilità di por fine a questa occupazione illegale, crudele e gratuita.