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I PACIFISTI ISRAELIANI PREPARANO

"DOSSIER" SUI CRIMINALI DI GUERRA ()

ENNIO POLITO

"Nel 1983, feci visita al professor Yeshayahu Leibowitz. Mi domandò come mai non fosse possibile trovare nelle forze armate israeliane cinquecento ufficiali decisi a non servire nei Territori occupati. Era convinto che quei cinquecento rifiuti sarebbero bastati per porre fine immediatamente all'occupazione. Oggi penso che avesse ragione".

Venti anni dopo quell'incontro, il professor Leibowitz, filosofo e studioso del giudaismo, uomo di pace e critico inflessibile della classe dirigente, figura paterna per generazioni di bene intenzionati, non è più tra i viventi, ma il suo nome risuona ancora ovunque si parli di riconciliazione storica con il popolo palestinese. Il suo visitatore, il colonnello pilota Yigal Shohat, ha lasciato l'aviazione per la professione di chirurgo e rimpiange amaramente di essere stato lui stesso uno dei cinquecento irreperibili. L'esercito è rimasto nei territori palestinesi, i figli succedono ai padri e l'occupazione è divenuta strage quotidiana.

Parte da questa constatazione e dalla decisione di alzare il tiro contro una politica del governo e dei vertici delle forze armate che include il ricorso su larga scala a veri e propri crimini di guerra un "forum" indetto dai pacifisti israeliani. Da un articolo del loro leader, Uri Avnery, apparso sul diffuso quotidiano Maariv, emerge un discorso semplice e chiaro, che chiama in causa il generale Saul Mofaz, capo di stato maggiore: chi si macchia di atrocità potrà essere chiamato presto o tardi a rispondere del suo operato davanti al tribunale internazionale dell'Aja, o, come è accaduto a Londra a Pinochet e allo stesso Sharon in Belgio, davanti a un tribunale di un altro paese, presso il quale non troverà connivenze. Dal vertice in giù, fino al semplice soldato, nessuno può dormire sonni tranquilli. In un paese dove sono molti a pensare che contro i palestinesi tutto sia lecito, il discorso sui limiti dei doveri è l'inizio.

Al "forum", Shohat non nasconde i suoi dilemmi. La difesa è un dovere, l'occupazione non lo è. Tanto più che il suo stesso prolungarsi serve e alimenta le pretese sui territori stessi. Da qui il "messaggio morale" del rifiuto. Per i piloti, il discorso è più complesso perché i limiti territoriali sono meno significativi. Ma anche per il valore che essi attribuiscono alla loro professionalità.. Dovrebbero, invece, imparare a "far domande", a discutere gli ordini, a rifiutare quelli che appaiono loro illegali: quelli che una sentenza della Corte suprema, del lontano 1956, classifica sotto la voce "bandiera nera". "Io penso", dice, "che i piloti degli F -16 dovrebbero rifiutarsi di bombardare le città palestinesi, dovrebbero immaginare le loro città sotto lo stesso tipo di attacco. Immaginare che Arafat abbia un caccia e lo mandi a bombardare il quartier generale della polizia di Tel Aviv, in via Dizengoff, essendosi convinto che ciò indurrebbe Sharon a lasciare i territori Accetteremmo il bombardamento delle nostre città come un legittimo mezzo di guerra?"

Ma i crimini di guerra non vengono sempre dal cielo. "I conducenti dei bulldozer dovrebbero rifiutarsi di demolire le case. E che dire di chi autorizza le rappresaglie? Che cosa penserà il generale Dov Zavka, capo dell'amministrazione civile del governo militare, alla fine della sua giornata? Si compiacerà per aver distrutto una coltivazione di fragole di cinquanta acri? Chi gliene ha dato il diritto?"

Nel dibattito, il giurista Eyal Gross, dell'università di Tel Aviv, interviene sul diritto-dovere, per gli Stati, di punire i crimini contro l'umanità e ricorda che proprio Israele ha stabilito un precedente con il caso Eichmann. "Sarebbe interessante", dice, "vedere quale seguito avrebbe un'iniziativa europea contro un ex-capo dei nostri servizi segreti, che, diversamente da un capo di governo, non gode dell'immunità" Dov Tamari, ex-generale e ora ricercatore sociale, parla delle guerre contro i popoli e cita l'esperienza israeliana nel Libano, dove "smantellare l'infrastruttura terroristica" significava in realtà praticare la strage di massa.

Il professor Adi Ophir, della facoltà di filosofia di Tel Aviv, propone che siano le Ong a intraprendere la preparazione di dossier sui responsabili di crimini, a cominciare dal ministro della difesa e leader laburista, Ben Eliezer, del quale "sappiamo molte cose".

Shulamit Aloni, già ministro dell'istruzione, dà per scontato il ricorso di Sharon al ricatto dello "antisemitismo". Perciò "dobbiamo dire agli europei e al mondo intero e ripeterlo in modo chiaro ed esplicito che lottare contro un'occupazione non ha nulla a che vedere con l'antisemitismo". "Sì", conclude, "è tempo di cominciare a preparare quei dossier".

Come era da aspettarsi, l'indomani del "forum" porta invettive e minacce, per bocca del ministro degli interni, Meir Sheetrit, che propone di perseguire, invece, "quei pazzoidi sovversivi" e, intanto, di tagliare loro l'accesso alla radio. E' propaganda politica, vietata dalla legge, sostiene l'Authority radiofonica. E' un pubblico servizio di informazione sui rischi di "bandiera nera", ribatte il "blocco della pace". E segna una serie di punti all'attivo dell'iniziativa.

.Primo, la Corte suprema gli riconosce il diritto di "far conoscere in onda il suo punto di vista".

Secondo, i maggiori organi di stampa danno spazio e rilievo al "forum" e alla decisione di preparare i "dossier". Così Ha'aretz e Yediot Aharonot , che sottolineano l'impatto del tema "crimini di guerra" sull'attualità politica, in particolare sullo scontro fra "le forze della vendetta" e quelleche appoggiano la proposta americana di tregua. Il settimanale Hair pubblica integralmente in prima pagina l'intervento di Shohat e illustra l'argomentazione con fotografie di Sharon, Mofaz e Ben Eliezer.

Terzo: il "blocco della pace" scrive che la stampa comincia a mostrarsi meno riluttante ad affrontare i termini reale della pace e a non seguire più ciecamente i comunicati del governo.

Comincia una dura, cruciale partita.