PALESTINA - BALSAM
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Sabra e Chatila, l'incubo infinito

di Umberto de Giovannelli

(Tratto da www.ilnuovo.it)

LA STORIA/ Ecco alcuni stralci delle terribili testimonianze dei sopravvissuti alla strage voluta nel 1982 da Sharon nei campi profughi palestinesi: torture, abusi sessuali, vilipendio di cadavere.

Un viaggio all'inferno. Chiamato Sabra e Chatila. Un viaggio agghiacciante dentro una delle pagine più raccapriccianti della storia mediorientale. E al centro di questo viaggio nel tempo c'è lui, Ariel Sharon, attuale primo ministro israeliano, che ai tempi delle stragi nei campi profughi palestinesi ricopriva l'incarico di ministro della Difesa e quindi era il massimo responsabile sul terreno delle operazioni militari in Libano.

Diciannove anni dopo, quei massacri diventano oggetto d'indagine per il Tribunale di Bruxelles al quale si sono rivolte 28 persone vittime di violenze, o parenti di vittime di quella mattanza di vite umane perpetrata dalle milizie cristiane libanesi. In 48 ore, dal 16 al 18 settembre 1982, i falangisti massacrarono fra 800 e 1500 palestinesi. L'intervento dei miliziani, una verità acclarata anche dalla commissione d'inchiesta istituita allora da Israele, era stato accompagnato da un dispiegamento attorno ai due campi di "Tsahal", l'esercito dello Stato ebraico, che aveva occupato Beirut Ovest dopo l'assassinio del presidente libanese Bashir Gemayel, avvenuto il 14 settembre.

Fin qui la storia. Che ricostruisce un evento, tragico, ma non restituisce un volto, un nome, alle donne violentate e poi squartate, ai bambini fatti oggetto di tiro al bersaglio, agli anziani sgozzati e poi ricoperti di sterco.

La storia di Souad: un incubo che non si cancella. Diciannove anni dopo, alcune di queste storie individuali ritornano alla luce e con esse una ferita mai rimarginata, anche nella coscienza democratica di Israele. Sono passati 19 anni da quei giorni maledetti, ma per Souad Srour Al Mar'eh è come se le lancette del tempo si fossero fermate a quelle ore che segnano una vita. Souad aveva allora 14 anni ed era un'adolescente gioisa, piena di vita.

Ma la "vita" si è spenta nei suoi occhi che ancora oggi si velano di lacrime quando ricostruisce ciò che accade la sera del 17 settembre 1982. "Hanno bussato alla porta di casa - racconta Souad -: erano 13 soldati armati. Non abbiamo fatto in tempo a pronunciare una parola che subito hanno iniziato a sparare".

Souad fa fatica a proseguire. "Ciò che non dimenticherò mai - dice - è il sorriso sulle labbra di quegli assassini. Godevano nel dare la morte, ci chiamavano animali, cagne maledette...". La prima a cadere, prosegue il racconto di Souad, "è stata la mia sorellina, colpita alla testa, mio padre al petto, ma respirava ancora". Souad resta sola, in balià dei suoi aguzzini. Ciò che ha visto basterebbe per segnare la sua vita.

Ma ciò che sta per accaderle è, se possibile, ancor più agghiacciante. Ogni notte, da quella notte, Souad Srour Al-Mareh è visitata da quell'incubo. Non può dimenticare, non vuole dimenticare. Perché da quella notte, dice, "avverto il dovere morale di parlare, di gridare anche per le centinaia di donne palestinesi che non possono più farlo". E allora Souad si fa forza, e ritorna a quella notte di inferno. "Smisero di sparare - ricorda -. Le loro attenzioni si rivolsero contro di me, la loro preda. Li supplicai di non farmi del male, lo stesso fece mio padre ancora in vita. E quelli continuavano a ridere. Poi mi violentarono. A turno, ripetutamente. E continuavano a ripetere: sporca cagna palestinese, è quello che ti meriti". Poi se ne andarono. Non prima di aver orinato e defecato sul suo corpo. Ma l'inferno non è ancora finito.

Perché uno dei tredici falangisti torna sui suoi passi e spara alla schiena di Souad. Da allora Souad trascina le gambe, e il ricordo dell'orrore è ancora più indelebile. A farle forza è un desiderio di giustizia che riempie le sue giornate, che dà senso alla sua esistenza: "Spero che Sharon sia processato e impiccato", dice.

Denunce e inchieste Senza emozione, senza più lacrime. Le 28 denunce presentate alla Procura di Bruxelles contro Ariel  Sharon sono secretate. Ma le due associazioni filo-palestinesi che hanno garantito l'assistenza legale alle vittime o ai parenti delle vittime di Sabra e Chatila hanno fatto trapelare frammenti delle 28 denunce. Raccapriccianti i particolari descritti, segno di un odio disumano.

Se "è un uomo" il falangista che deflora una bimba di sette anni e poi squarta il suo corpo una baionetta. Se è un uomo quello che per sommo sfregio accatasta i corpi dei vecchi uccisi vicino a quello dei maiali, simbolo di impurità per i musulmani. Nel 1983 una commissione d'inchiesta israeliana, la commissione Kahan, concluse il suo lavoro riconoscendo una "responsabilità indiretta" di Sharon per aver trascurato "il pericolo di atti di vendetta e di un bagno di sangue" se i falangisti entravano nei campi. Sharon fu costretto a dimettersi.

Il rapporto Kahan sottolineava che le atrocità "furono perpetrate dai falangisti" ed escludeva  "assolutamente qualsiasi responsabilità diretta di Israele". Dello stesso avviso non è l'ex procuratore  dei Tribunali per l'ex Jugoslavia e il Rwanda Richard Goldstone: "Ogni persona ragionevole - afferma - può solo deplorare che nessuna incriminazione sia seguita" alla commissione d'inchiesta Kahan sulle stragi, la quale aveva concluso che "gravi crimini erano stati commessi". Richard Goldstone non nomina mai Ariel Sharon. Ma i suoi riferimenti non lasciano margine di equivoco: "Se la persona che dà gli ordina sa che civili innocenti possono essere uccisi o feriti in una data situazione, allora ne è responsabile".