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BUSH LADEN  E I NUOVI "DOTTOR STRANAMORE"

 

di Ennio Polito

 

Non c'è dubbio, è proprio Osama Bin Laden - il "superterrorista", l'arcinemico presunto di Bush - il personaggio che si affaccia da un manifesto murale, imitazione di quello celebre, con lo zio Sam che punta l'indice verso i passanti e li richiama al loro dovere patriottico, e la sua battuta è "Voglio te per la guerra all'Iraq", una sorta di inquietante "su, continua a fare il mio gioco" rivolto al presidente. Ubiquo, come sempre, e non meno ambiguo di Bush, l'ex-agente della Cia prende così il suo posto nel dibattito sulla "guerra preventiva" contro l'Irak (e non solo). E' una presenza ingombrante, perché ci ricorda che Bush deve tuttora al paese molte verità, senza le quali i conti non tornano.

Per un verso o per un altro, questa constatazione è entrata a far parte delle argomentazioni di fondo del fronte che si oppone alla guerra. Un fronte variegato ma temibile, perché ne fanno parte gli organi di stampa più ascoltati, al livello internazionale. E' stato, per esempio il Washington Post a rivelare la presenza del nome di Bin Laden (quello vero, in carne e ossa) nell' elenco degli agenti reclutatori della Cia mobilitati per addestrare gli studenti afghani al terrorismo nel quadro dell' "operazione ciclone", al costo di quattro miliardi e mezzo di dollari, nel decennio 1979-89. E, risalendo le gerarchie dell 'intelligence, che il costruttore del sistema di gallerie e di fortificazioni, così spesso citato a dimostrazione dell'infernale astuzia dei taleban , altri non è che la Cia .

Fino a ieri timida e circospetta, ora l''opposizione morde a sangue. Il presidente è diventato burning bush, il biblico "roveto in fiamme", ed è oggetto di pesanti allusioni. "Il regime da cambiare", ha scritto a Londra l'autorevole The Independent, "non è a Baghdad ma a Washington". Un'antologia di titoli e di commenti, reperibile in Internet, riempie diciotto pagine . Ce n'è anche per Israele: non ricordiamo precedenti di titoli come "Ma Israele è proprio necessario?" (David Aaronovitch, ancora in The Independent). "La guerra al terrorismo", scrive dal canto suo The Observer:" è una cortina fumogena creata dai veri terroristi: gli Stati uniti e Israele".

Critico l'ex-presidente democratico, Jimmy Carter, premio Nobel per la pace, critico Bill Clinton, critico Edward Kennedy. Il rifiuto si richiama molto spesso a valori morali, o costituzionali , della tradizione americana, ma anche - ed è questo il tratto che ne sottolinea l'eccezionalità - all'esigenza suprema di una sopravvivenza del pianeta. Assai significativo ci sembra il fatto che due intellettuali di tendenza liberale - Joseph  Galbraith, politico, economista, uomo di storia, ora al vertice dell'Università di Austin, nel Texas (il feudo dei Bush) e Arthur Schlesinger jr., storico anche lui, diplomatico e, a suo tempo, consigliere di Kennedy per la politica cubana e latino-americana - convergano in un'analisi delle spinte cui ha obbedito, nel secondo dopoguerra, una politica internazionale ricca di occasioni perdute perché soffocata da istanze di guerra fredda e, in particolare, dalla corsa agli armamenti nucleari

Galbraith ha colto un'occasione anch'essa significativa: la rimozione del segreto di Stato.che copriva alcuni documenti affidati dal defunto presidente Lyndon B. Johnson (il Johnson della guerra nel Viietnam-ndr) . alla biblioteca locale. Per coglierne il senso, è opportuno ricordare il difficile inizio della presidenza Kennedy, Questi cadde dapprima, nell'aprile del '61, in una "trappola" preparata per lui dalla Cia durante la fase finale del mandato di Eisenhower: lo sbarco della brigata anticastrista cubana, clamorosamente fallito alla Baia dei porci.. Per la nuova amministrazione fu un disastro politico. L'anno dopo, con la crisi dei missili, la vicenda si sarebbe ritorta contro Khrusciov. Il mondo rischiò la guerra nucleare e la evitò di misura .Il compromesso sottoscritto alla fine dalle parti sancì un fatto nuovo: convinte ormai che uno scontro nucleare non avrebbe avuto vincitori., le due maggiori potenze accelerarono il processo negoziale e sfornarono rapidamente una serie di trattati.

Al livello delle dottrine "strategiche", fu sancita così la fine della teoria della "rappresaglia massiccia", sopravvissuta al segretario di Stato, John Foster Dulles, ,suo creatore e assertore. e sostituita da ipotesi più ."flessibili". Scomparvero anche, come era accaduto al generale Douglas Mac Arthur, deluso e furioso per aver dovuto rinunciare ad attaccare la Cina, alcune figure di militari rozzi e intransigenti, nostalgici di dubbie glorie, e demagoghi politici della stessa risma. Il loro prototipo, molto nominato in questi giorni, era il generale Curtis LeMay, comandante dell'aviazione, che contrastò con tutte le sue forze l'ipotesi di un compromesso americano-sovietico e ad essa contrappose quella di un attacco americano su Cuba, senza limitazioni.

I documenti ora resi pubblici rendono merito a Johnson , che siu adoperò successivamente per lasciare aperta la via a un negoziato sui missili. Ora, però...

 

Ora, però, si assiste all'entrata in campo di "nuovi dottor Stranamore". La nuova dottrina annunciata da Cheney, ha osservato Galbraith, viene presentata come una risposta alla nuova situazione, ma non lo è , o lo è in modo del tutto parziale. "Se ci interroghiamo sulla sua applicabilità o meno al caso dell'Iraq, la risposta è negativa. Non è, d'altra parte, pensabile che rivendichiamo un ruolo e dei diritti degni di un 'popolo eletto' e contemporaneamente neghiamo ad altri paesi un ruolo e diritti elementari".

Schlesinger, che ebbe un ruolo importante negli sforzi per evitare lo scontro tra le due maggiori potenze, ha ricordato che un atto di guerra preventiva come l'attacco giapponese a Pearl Harbour è divenuto per l'America simbolo di infamia e che i fautori di un attacco con missili nucleari alle basi cubane furono bollati, nel '62, come "un branco di pazzi". Robert Kennedy parlò di "una Pearl Harbour a rovescio": "Siamo stati un paese democratico per 175 anni", commentò."La nostra Costituzione non prevede un altro metodo". Lo stesso discorso, insiste Schlesinger, vale dopo duecento: la guerra preventiva "è illegittima e immorale".