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"Guardando al passato, guardando al futuro"

 

 

HAYDAR ABDEL SHAFI PROPONE AI PALESTINESI

L'UNITA' NAZIONALE E UNA NUOVA STRATEGIA

 

 

 

 

"Guardando al passato, guardando al futuro": sotto questo titolo compare sul Journal of Palestine studies, autorevole pubblicazione palestinese di base negli Stati uniti, un'intervista al dottor Haydar Abdel Shafi, l'anziano medico di Gaza, universalmente stimato per la sua probità e per il suo equilibrio politico, raccolta personalmente dal direttore, Rascid Khalidi. Il passato è quello ben noto: il '48, la Palestina araba invasa dagli israeliani, la terra che cambia di mano, i contadini che, a centinaia di migliaia, diventano profughi. Il futuro è la pagina bianca, tutta da scrivere, ma già macchiata da sinistri condizionamenti.

La situazione che si è creata, dice Shafi,  rappresenta  per i palestinesi un disastro delle dimensioni di quello del '48 e perfino peggiore, perché mentre allora l'aggressione israeliana e l'espulsione di gran parte delle popolazioni si compirono in modo precipitoso e le potenze occidentali poterono giustificare la loro inazione simulando sorpresa, stavolta tutto si è svolto e si svolge per gradi, a partire dall'indomani della "guerra dei sei giorni", in violazione di risoluzioni dell'Onu  che le potenze esterne hanno votato ma non tentano nemmeno di difendere Il mondo democratico ha mostrato "una terribile incapacità di tener fede ai suoi principi".

Una sola luce nel buio

Per quanto riguarda gli arabi e i palestinesi, "l'unica luce nel buio è la loro capacità di sopravvivere e tornare alla lotta". Veterano delle grandi battaglie del '36-39, Shafi rievoca la conferenza in cui fu fondata l'Olp, nel '64, e la creazione del Consiglio nazionale, l'anno dopo.  Il nuovo gruppo dirigente avrebbe dovuto, a questo punto, analizzare i comportamenti dei suoi predecessori e imparare dai loro errori. Ma non lo fece. E optò per una "strategia militare": quella che richiedeva una coesione e un'unità d'azione, inesistenti. L'intifada stessa fu viziata da uno spontaneismo che ne limitò il successo. Più recentemente le forze politiche rappresentate nell'Autorità palestinese discussero con Hamas in vista di un governo di unità nazionale, ma senza successo.

".Se fosse stato offerto un vero governo di unità nazionale, con una direzione autenticamente democratica, Hamas avrebbe potuto accettare", dice Shafi, il quale rivela di aver egli stesso discusso l'ipotesi  in un incontro con Arafat a Ramallah ..Arafat "fece mostra di accettare" ma era chiaro che non ne avrebbe fatto nulla. "Chiaramente, il presidente insiste per restare l'unico a decidere e, dal momento che non può imporre le sue decisioni, Hamas e gli altri continuano a fare ciò che vogliono".

Malgrado queste critiche, Shafi respinge la pretesa americana e israeliana che Arafat debba essere rimosso. E' una questione tra palestinesi, nella quale nessuno, e meno che mai paesi "non amici" hanno diritti di ingerenza. L'intervistato pensa invece che questo non sia il momento adatto per elezioni genuine..Le frustrazioni, la confusione, il disordine si tradurrebbero in astensioni di massa, con danno per tutti.. Dovrebbe essere un governo di unione nazionale a mettere ordine, prima che si voti.. L'unica via che i palestinesi possono percorrere per evitare l'annientamento, è il ritorno all'unità nazionale, chiave del successo di tutti i movimenti di liberazione.

Il nodo degli insediamenti

Khalidi chiede a questo punto se le critiche di Shafi agli accordi di Oslo riguardino soltanto formulazioni che avvantaggiano Israele o se, a parte questo aspetto, gli accordi avrebbero potuto funzionare. "Non credo" risponde l'ex-capodelegazione palestinese e spiega che l'essenziale, nella sua posizione, è nel fatto che una questione cruciale, come quella degli insediamenti, è passata sotto  silenzio. Su quella questione, il negoziato di Washington si fermò per venti mesi .Shafi,come capodelegazione, chiedeva un chiarimento totale, che non venne né da parte israeliana né da parte del segretario Stato americano, Baker. Dopo il secondo ciclo dei negoziati, Shafi chiese ai suoi di sospendere la partecipazione, ma la risposta fu negativa. Solo alla vigilia della firma fu convocato a Tunisi e gli venne dato in lettura il testo concordato. Alle sue obbiezioni, i dirigenti palestinesi risposero con un tentativo di isolarlo, gli americani rimangiandosi le solenni promesse fatte durante la guerra contro l'Iraq.

In questa parte dell'intervista, assai ampia, Shafi tiene a sottolineare che i suoi pronunciamenti, anche i più critici, non sono mai stati dettati da un massimalismo programmatico, bensì, al contrario, da una visione realistica, compatibile con i condizionamenti venuti da altre parti del movimento. Invece, è "completamente d'accordo" con la performance di Arafat al vertice di Camp David, nella fase finale della presidenza Clinton

Il messaggio di un popolo

Ma che cosa chiede e che cosa rifiuta, perché soffre e perché combatte, oggi, il popolo palestinese? Shafi è certo di interpretare il "messaggio" dei suoi connazionali ai molti nemici e ai molti amici che lo circondano, un messaggio che condivide e fa proprio, il messaggio dell'intifada .

I palestinesi, dice, sono oggi sottoposti a un'enorme pressione , a sacrifici inumani, sono assassinati, mutilati, feriti, perdono da un momento all'altro le loro case e i loro beni soltanto perché si rifiutano di cedere i loro diritti a estranei militarmente più forti, che vogliono tutto e credono di poterlo ottenere grazie a un o schiacciante squilibrio di forze.  Agli occupanti, essi dicono: sappiamo che siete più forti, meglio armati, spietati, sappiamo che sul terreno militare non possiamo battervi, ma sappiamo anche che c'è un terreno sul quale siamo dieci volte più forti di voi e questo terreno è la capacità di affrontare sacrifici, di soffrire, di subire punizioni.

"Il nostro obbiettivo dichiarato è uno Stato entro i confini del '67. E' il minimo che possiamo accettare. Israele.non ha tuttavia rinunciato alle sue rivendicazioni.  Il negoziato non gli interessa. Spera ancora di vederci sparire tutti assieme. Il nemico deve sapere che non sarà così, che combatteremo senza limiti di tempo per i nostri diritti".

Non siete dunque, chiede Khalidi, contro la dimensione militare della lotta? E Shafi: "No, non sono contro, in nessun modo. Combattere dobbiamo, ma la lotta deve essere regolata, limitata alla difensiva così che il mondo abbia chiaro che combattiamo contro un'aggressione. In altre parole, dobbiamo limitarci a combattere contro la demolizione di case, la distruzione di fattorie, lo sradicamento di alberi, naturalmente, contro gli insediamenti, e cioè contro una forma di occupazione che le Nazioni unite stesse condannano".

Shafi riferisce di aver sottoposto ad Arafat le sue idee ma di non aver ottenuto risposta.

   

                                               (Traduzione e riduzione di Ennio Polito)