PALESTINA - BALSAM
indice generale
       
Articoli


 

 

L''OMBRA DELL'IRAQ SULLA PALESTINA RIOCCUPATA

 

di Ennio Polito

 

 

 

C'Ë una parentela molto stretta, ineludibile, tra l'atto di guerra preventiva  lanciato dagli Stati Uniti contro l'Iraq, senza legittimazione alcuna ma con schiacciante superioritý di mezzi, e l'ininterrotto sostegno da loro stessi prestato al progetto di sopraffazione israeliano in Palestina.

 

 Come essa si esprimerý sulla scena internazionale non Ë ancora possibile dire. Ma si Ë giý espressa sinistramente in una cifra: settanta morti palestinesi nelle prime tre settimane di guerra contro l'Iraq. Le notizie che vengono dalle cittý palestinesi rioccupate hanno una loro inaccettabile eloquenza. Nella striscia di Gaza le case palestinesi demolite dai soldati israeliani sono centinaia e la lotta per far cessare questa aperta violazione dei diritti umani ha giý le sue vittime tra gli osservatori.

 

Voglio qui ricordare l'americana Rachel Corrie, stritolata da un bulldozer militare israeliano mentre si opponeva a questa pratica indegna. Mi sembra giusto farlo anche e soprattutto perchÈ il sacrificio di Rachel testimonia il  rifiuto della legge del pi˜ forte, cosÏ cara al presidente Bush, e una appassionata scelta a favore dei bambini indifesi - i nostri bambini di Gazzella - anche e soprattutto perchÈ ci chiama a constatare che le armi americane eliminano, insieme con i presunti terroristi di Hamas, gli stessi cittadini di quello che mezzo secolo fa si definiva il mondo libero .

 

Non senza emozione e non senza un senso di forte ribellione leggiamo testimonianze dirette difficilmente compatibili con quella immagine. Una collaboratrice del Maariv, uno dei quotidiani israeliani pi˜ diffusi, racconta ciÚ che ha visto nel campo profughi di Rafah assediato, dove Ë giunta sotto un'identitý di comodo (dal momento che un giornalista israeliano non Ë ammesso nei territori rioccupati, mentre puÚ esserlo una giornalista francese) e dove ha vissuto ventiquattro ore sufficienti per cambiare una  vita : un inferno , riassume nel suo reportage  &un posto dove non si smette mai di sparare, dove le granate fischiano dalle finestre, i muri sono coperti di chiazze di sangue, le case cadono a pezzi e la gente va per strada scalza e disperata ; dove nelle case di frontiera, la cui demolizione Ë in programma ma non per l'indomani, risuonano assieme il pianto dei neonati e il fragore di terrorizzanti esplosioni .

 

Secondo cifre della Banca mondiale, alla fine del 2001 il 45,7 per cento dei palestinesi erano scesi sotto la linea di povertý; quasi il doppio del livello (il 23,2%) di fine'98. Alla fine del 2002, si toccava il 59,9 per cento.

 

La situazione che si Ë delineata con l'attacco all'Iraq, Ë detto in un appello firmato da oltre centocinquanta accademici israeliani, Ë tale da richiedere uno sforzo congiunto per salvare, insieme, Israele e Palestina. Sotto questa parola d'ordine, i firmatari chiedono ai loro colleghi in tutto il mondo di solidarizzare.

 

Dovremmo chiederci seriamente se il successo - se di successo, nelle circostanze date, si puÚ parlare - della spedizione neocoloniale a Baghdad offra davvero, di per sÈ, la chiave per la soluzione pacifica di una vertenza tra le pi˜ inique della storia. Un Bush finalmente libero da confronti con le ragioni degli alleati, finalmente in grado di misurare con il metro della Nato il loro zelo sarý un Bush pi˜ efficiente di quello che ha contribuito, insieme con una folta schiera di predecessori, a impedire che dall'esito della guerra dei sei giorni , trentasei anni fa, si sprigionasse una dinamica positiva? Lo aiuterý la sua ostinata reinterpretazione della situazione medio-orientale, conforme alla visione del terrorismo internazionale  come nemico storico? Ne dubitiamo fortemente.

 

Rileggiamo il suo discorso del 24 giugno 2002 e le indicazioni offerte dal dibattito americano sulla sua genesi. Una settimana prima, il discorso Ë giý pronto e programmato. Il momento Ë quello immediatamente successivo all'assedio e alla distruzione del quartier generale di Arafat, a Ramallah, quando Ë sembrato che il primo ministro israeliano, Sharon, stesse per realizzare l'assassinio del suo interlocutore palestinese e una soluzione a senso unico del problema territoriale. Va ricordato che Sharon persegue da sempre un disegno incompatibile con il negoziato: la pace verrý, egli sostiene, quando i palestinesi saranno stati irreversibilmente sconfitti e rinunceranno alla lotta; non importa quanto tempo sarý necessario. Arafat ha inscenato, invece, un grande ritorno politico sulla base di un memorandum che accetta la discussione anche sulle critiche che gli vengono mosse: ambivalenza nell'alternativa tra negoziato e lotta armata, potere personale, corruzione. E'' pronto anche a fare un passo indietro, accettando la creazione di una figura di primo ministro, nella persona di Mahmud Abbas (Abu Mazen) anziano esponente dell'Olp, di tendenza moderata, in buoni rapporti con Sharon. I passi di Arafat, illustrati da  uno dei suoi ministri, sono giudicati incoraggianti  dal Dipartimento di Stato. A questo punto, Sharon fiuta il peggio: si precipita a Washington e riapre il dibattito tra i grandi burattinai dell'amministrazione Bush.

 

Il discorso di Bush viene rinviato e riscritto secondo le esigenze del visitatore israeliano. La mia visione , dice il presidente, Ë di due Stati che convivano l'uno accanto all'altro  in pace e sicurezza. Non c'Ë maniera possibile di conseguire la pace se le due parti non combattono il terrore . Ma in questa retorica sfumano gli uni dopo gli altri gli elementi di novitý che avevano indotto il cosiddetto quartetto  del Consiglio di sicurezza dell'Onu ( insieme con gli Stati uniti, l'Unione europea, la Russia e le Nazioni unite) a giudicare in movimento la scena israelo-palestinese. Il futuro Stato palestinese Ë curiosamente definito provvisorio. In un editoriale, il New York Times si chiede come i palestinesi possano portare a termine il loro programma, restando imprigionati nel sistema di gabbie territoriali in cui Israele li costringe. E come si puÚ conciliare l'esigenza assoluta di una nuova leadership con quella di un voto libero ?

 

Gli Stati uniti  hanno pubblicato la loro versione della mappa stradale . Il calendario prevede tre fasi. La prima include la fine della violenza e del terrorismo, la seconda prevede una verifica della situazione in una conferenza internazionale e, se possibile, una serie di altre tappe fino all'insediamento di uno Stato con confini provvisori, entro il dicembre 2003. La terza fase prevede una seconda conferenza internazionale per sanzionare il progresso compiuto e la normalizzazione con Israele, entro il 2005. Il rigetto di Israele non si Ë fatto attendere. Di pi˜: Sharon, lungi dallo smobilitare l'apparato repressivo deciso in crescendo al suo ritorno da Washington, forza ancora, lasciando aperte le porte a un nuovo esodo.

 

Il leader del Blocco della pace  israeliano, Uri Avnery ,commenta la pubblicazione della Mappa  in un articolo intitolato Mappa  di una strada che non va in nessun posto, ovvero molto rumore per nulla  . Sarebbe un documento importante, scrive, se non ci fossero molti se , a partire dalla disponibilitý delle parti a un onesto compromesso, dalla disposizione di Sharon e soci a restituire la terra e degli americani a premere su Israele. Tutto questo appartiene a un mondo immaginario . Il giudizio ha un suo risvolto se si distingue tra gli obbiettivi e il modo di realizzarli: gli obbiettivi sono ottimi il che significa che sul da farsi esiste un'inedita maggioranza.