PALESTINA - BALSAM

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”Tragicamente attuale”….“Va al cuore del problema”…”E’la verità che scotta”. Gli storici palestinesi sono stati i primi a commentare l’intervista dello storico israeliano Benny Morris – pentito di aver avuto coraggio quando scrisse “La nascita del problema dei profughi palestinesi, 1947-49”- e lo hanno fatto guardando direttamente agli effetti che essa avrà sull’alternativa tra pace e guerra.

 Non parlano, perciò, di verità che “torna”,. E infatti la verità c’è sempre stata (è stata soltanto nascosta o distorta) e dal suo recupero non può venire che bene. Non è questa la parte che sostiene il diritto dei suoi a vivere in qualsiasi luogo della Palestina, intendendo con questo che chi lo desidera non dovrà chiedere un passaporto ma portare con sé un bulldozer, un fucile mitragliatore e benzina per bruciare le case di chi vi abita da secoli, ed essere pronto a uccidere o scacciare altri argomentando che non c’è bisogno di uno Stato palestinese avendone già uno gli egiziani in Egitto, i siriani in Siria e via dicendo.

Quel che più ci interessa, nelle reazioni palestinesi,  è che riflettono un’adesione alle “logiche di pace”, una capacità di autocontrollo indispensabile, se vogliamo uscire da questa tragedia, una disponibilità delle vittime a insegnare all’intera comunità internazionale non soltanto il loro coraggio nella sfida ma anche l’importanza della fedeltà a quella che essi chiamano “la legittimità internazionale”. Sul versante opposto, i dati che lo storico allinea danno ragione ai meno ottimisti ma colpisce ancora di più la sua difficoltà a fare i conti con se stesso.

Risposte raggelanti (la definizione è dell’intervistatore) si susseguono sulla bocca di un uomo che si professa “di sinistra”, con una “simpatia” per i palestinesi, che vorrebbe tuttavia  “rinchiudere in qualcosa come una gabbia” , “comprensivo” verso Ben Gurion, cui rimprovera di non aver completato l’opera”, e pronto a giustificare in anticipo nuove imprese di “pulizia etnica” che pongano rimedio a quello “errore storico”.

Ennio Polito