PALESTINA - BALSAM |
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IL MANIFESTO
24.02.2004
L MARCHIO A STELLA
Il lato oscuro della
storia d'Israele
Da una trentina
d'anni, una campagna internazionale tenta di delegittimare l'antisionismo
identificandolo con l'antisemitismo. Senza mai entrare nel merito di cosa
sia il sionismo: un'ideologia politica alla base di un movimento coloniale,
che in partenza non aveva alcuna connotazione religiosa
MICHEL WARSCHAWSKI
Il conflitto
israelo-palestinese si presta facilmente a una interpretazione in chiave
religiosa, o quanto meno etnica. Esso si svolge in un luogo che è stato
il cuore di grandi religioni; il sionismo è spesso presentato come il «ritorno»
del popolo ebraico nella Terra Promessa, e il suo bagaglio di argomentazioni
attinge molto all'ambito dei diritti storici, se non apertamente alla promessa
divina; Gerusalemme è città tre volte santa, e la Palestina storica è disseminata
di luoghi di culto e pellegrinaggio. L'onnipresenza dell'Islam nella coscienza
e nella cultura nazionale arabe è anch'essa gravida della deriva confessionale
di un conflitto spesso presentato come la liberazione della terra dell'Islam
occupata dagli infedeli. A questo non si può non aggiungere l'idea, tutta
sionista, di creare uno «Stato ebraico» attuando una strategia permanente
di ebraicizzazione, che non ha mancato di ricorrere alla guerra di epurazione
etnica nel 1948. Uno dei meriti più grandi di Yasser Arafat è quello di
aver fatto, in questo contesto, tutto ciò che è umanamente possibile per
mantenere il conflitto israelo-palestinese nella sua dimensione politica,
rifuggendo da quella religiosa o etnica: una lotta di liberazione nazionale
per l'indipendenza, una lotta anticolonialista per la terra e la sovranità
nazionale.
Al contrario,
uno dei crimini più gravi dell'ex primo ministro israeliano Ehud Barak è
di aver introdotto l'elemento religioso nei negoziati, rivendicando, al
summit di Camp David II, una sovranità ebraica sulla Spianata delle Moschee
di Gerusalemme sulla base di considerazioni storico-religiose. Questa rivendicazione
demente è stata una delle cause principali del fallimento del processo di
Oslo.
Il conflitto
israelo-palestinese è un conflitto politico tra un movimento coloniale e
un movimento di liberazione nazionale. Il sionismo è un'ideologia politica,
e non religiosa, che mira a risolvere la questione ebraica in Europa con
l'immigrazione in Palestina, la sua colonizzazione e la creazione di uno
Stato ebraico. Questa è la definizione che ne hanno sempre dato i suoi ispiratori,
da Herzl a Ben Gurion, da Pinsker a Jabotinsky, per i quali il concetto
di colonizzazione o di colonie non ha mai avuto un'accezione peggiorativa.
Fino all'ascesa
al potere del nazismo, la stragrande maggioranza degli ebrei nel mondo ha
rifiutato il sionismo, considerandolo da un lato come un'eresia e dall'altro
come una teoria reazionaria e per giunta anacronistica. In questo senso,
l'antisionismo è sempre stato considerato come una posizione politica tra
le altre, per di più egemoni nel mondo ebraico per quasi mezzo secolo. Solo
da circa una trentina d'anni una vasta campagna internazionale tenta di
delegittimare l'antisionismo identificandolo con l'antisemitismo, senza
mai entrare nel merito di cosa sia veramente il sionismo.
Come ogni altra
forma di razzismo, l'antisemitismo (o la giudeofobia) rifiuta l'esistenza
e l'identità dell'altro. Al contrario, l'antisionismo è la critica politica
di un'ideologia e di un movimento politico; esso non riguarda una comunità,
ma rimette in discussione una politica. Come è possibile, quindi, identificare
un'ideologia politica con un'ideologia razzista?
Un gruppo di
intellettuali sionisti europei ha appena trovato la soluzione, facendo intervenire
l'inconscio ed introducendo un concetto passe-partout che essi chiamano
«slittamento semantico». Quando si denuncia il sionismo, ed anche quando
si critica Israele, si avrebbe inconsciamente come obiettivo non la politica
di un governo (il governo Sharon) o la natura coloniale di un movimento
politico (il sionismo) o ancora il razzismo istituzionale di uno Stato (Israele),
ma gli ebrei. Per slittamento semantico, quando si dice: «Il bombardamento
di popolazioni civili è un crimine di guerra» o «la colonizzazione è una
flagrante violazione della Quarta Convenzione di Ginevra», in realtà si
vorrebbe dire «il popolo ebraico è responsabile della morte di Gesù Cristo»!.
Evidentemente
non è possibile rispondere a un argomento del genere, poiché qualsiasi risposta
sarà presentata come un'inconscia apologia dell'antisemitismo. L'argomento
dello slittamento semantico e l'uso dell'inconscio nella polemica politica
mette fine, per definizione, ad ogni possibilità di dibattito. La denuncia
del colonialismo diventa il rifiuto dell'inglese (o del francese o del tedesco),
della sua cultura, della sua esistenza. Nemmeno l'anticomunismo esiste,
perché sarebbe uno slittamento semantico dell'odio per gli slavi.
L'antisemitismo
esiste, e sembra, in Europa si stia risvegliando, dopo mezzo secolo di silenzi
seguiti allo sterminio nazista e ai crimini dei collaborazionisti. In una
parte crescente delle comunità arabo-musulmane in Europa gli ebrei vengono
accusati, con una generalizzazione razzista, senza distinzioni, dei crimini
commessi dallo Stato israeliano e dal suo esercito. D'altronde l'antisemitismo
spesso si ritrova in seno a quello stesso campo che sostiene incondizionatamente
la politica israeliana, come ad esempio una parte delle sette protestanti
integraliste che, negli Stati Uniti, costituiscono la vera lobby pro-israeliana.
Esiste, al pari,
un razzismo antiarabo, anche se i media danno meno visibilità agli atti
di ritorsioni del Beitar e della Lega di Difesa Ebraica contro istituzioni
musulmane o contro le organizzazioni che si oppongono alla politica di colonizzazione
israeliana, agli slogan razzisti antiarabi che coprono i muri di certi quartieri
di Parigi («Morte agli arabi!», «Niente arabi niente attentati!») e alle
cacce al nordafricano organizzate da commandos sionisti.
I razzismi anti-arabo
e anti-ebraico devono essere condannati e combattuti, senza concessioni,
e ciò si può fare efficacemente solo se si combattono contemporaneamente,
altrimenti non si fa che rafforzare l'idea, molto diffusa, che dietro la
denuncia di un solo razzismo ci sia in realtà la condanna dell'altra comunità.
Coloro che denunciano gli atti antisemiti, reali o frutto dello «slittamento
semantico», ma tacciono contro gli atti di razzismo anti-arabo hanno una
parte di responsabilità nell'alimentare il senso di appartenenza alla comunità
e nel rafforzamento dell'antisemitismo, poiché non è il razzismo, di qualunque
natura e da qualsiasi parte provenga, che essi combattono, ma unicamente
il razzismo dell'altro. Essi, i Tarnero, i Lanzman e i vari Taguieff, non
hanno il diritto di dare lezioni ai militanti della sinistra radicale e
del movimento contro la mondializzazione liberista, che sono sempre stati
la punta delle lotte antirazziste e mai ne hanno disertato alcuna.
Ma andiamo oltre.
Una parte importante di responsabilità nella nascita del fenomeno dello
slittamento della critica alla politica israeliana verso un atteggiamento
antisemita ricade sulle spalle di una parte dei dirigenti, spesso autoproclamatisi
tali, delle comunità ebraiche in Europa e negli Stati Uniti. Infatti, sono
essi che spesso identificano l'intera comunità ebraica con una determinata
politica, quella del sostegno incondizionato ai dirigenti israeliani. Quando,
come è accaduto a Strasburgo, sono loro a chiamare la gente a manifestare
il proprio sostegno a Sharon sul sagrato di una sinagoga, come fanno poi
a meravigliarsi se la sinagoga viene presa di mira nelle manifestazioni
contro la politica israeliana? E che dire di quei dirigenti di comunità
ebraiche che, in Francia, «comprendono» la vittoria di Le Pen e «sperano
che ciò faccia riflettere la comunità araba locale»? Non è lecito scorgere
in un comportamento del genere una compiacenza nei confronti di colui che,
in Francia, è il principale sostenitore di idee razziste - e quindi anche
antisemite? Compiacenza che è in continuità con la collaborazione di certe
organizzazioni (ebraiche) di estrema destra, come il Beitar, con gruppi
fascisti ed antisemiti, in Occidente, negli anni settanta... Non si tratta
più semplicemente di slittamento, ma di collusione bella e buona...
Nel mondo la
politica israeliana è largamente criticata, e più lo Stato ebraico agirà
al di fuori del diritto, più esso sarà considerato come fuori-legge, e ne
pagherà il prezzo. E' totalmente inaccettabile ed irresponsabile che gli
intellettuali ebrei che dichiarano pubblicamente un'identificazione assoluta
con Israele trascinino con sé i dirigenti delle comunità ebraiche nella
corsa verso l'abisso cui portano Sharon e il suo governo. Viceversa: se
essi fossero animati da un vero senso di responsabilità nei confronti della
comunità a cui rivendicano l'appartenenza, essi prenderebbero il più possibile
le distanze dagli atti barbarici dello Stato israeliano, e dalle conseguenze
drammatiche che questi atti sono destinati a provocare, mettendo a rischio
presto o tardi l'esistenza stessa di una comunità nazionale ebraica in Medio
Oriente.
Così facendo
essi darebbero prova di senso di responsabilità verso la comunità ebraica
d'Israele: anziché blandire l'oltranzismo israeliano e contribuire all'accecamento
suicida crescente della sua direzione e della sua popolazione e di gridare
come Lanzman «con Israele sempre, ed incondizionatamente», non farebbero
meglio a fare da argine e a mettere in guardia Sharon e il suo governo dalle
conseguenze catastrofiche della loro politica? Sono a tal punto ciechi da
non rendersi conto che l'impunità di cui gode Israele agli occhi di certe
correnti politiche e filosofiche, in Europa e negli Stati Uniti, non è che
l'altra faccia dell'antisemitismo e del suo armamentario sulla «specificità
ebraica»?
Sono a tal punto
stupidi da non comprendere che per molti sedicenti amici d'Israele, la politica
del «lascia andare-lascia fare» verso lo Stato d'Israele non è che l'espressione
di un cinismo che ha come obiettivo quello di vedere gli ebrei andare a
sbattere contro il muro? E che, al contrario, sono coloro che criticano,
e a volte duramente, Israele, che hanno veramente a cuore la vita e la sopravvivenza
della sua popolazione?
Sharon, i suoi
ministri, i suoi generali, i suoi giudici e una parte dei suoi soldati un
giorno saranno portati davanti alla Corte Penale Internazionale per crimini
di guerra, e anche per crimini contro l'umanità. Perché la popolazione israeliana
nel suo complesso non venga messa al bando e accusata ci sono, in Israele,
migliaia di uomini e donne, civili e militari, che dicono «no», che resistono
e sono dissidenti. Per proteggere gli ebrei del mondo da un'accusa di corresponsabilità,
per stroncare la propaganda antisemita che, strumentalizzando le sofferenze
dei palestinesi, vuole colpevolizzare ogni ebreo in quanto tale, per far
barriera contro il pericolo reale di automatico coinvolgimento delle comunità
nel conflitto israelo-palestinese, è imperativo che dalle comunità ebraiche
si alzi una voce che dica, come il nome di un'organizzazione ebraico-statunitense,
e agendo in questa direzione: «Non in nostro nome!.
Evidentemente
compito delle forze democratiche e di sinistra nel mondo denunciare, senza
concessione alcuna, i crimini di Israele, non solo perché la difesa dei
colonizzati e degli oppressi, ovunque essi siano, è parte integrale del
loro programma e della loro filosofia, ma anche perché una posizione chiara
e coerente con il resto delle lotte in atto, può permettere loro di lottare
contro la degenerazione del conflitto in chiave comunitaria e contro il
razzismo nel proprio paese. Lasciarsi terrorizzare dal ricatto dell'antisemitismo,
tacere per non prestare il fianco all'accusa di «collusione con l'antisemitismo»
o anche di «antisemitismo inconscio», non può, in ultima analisi, che fare
il gioco dei veri antisemiti, o per lo meno delle confusioni identitarie
e delle reazioni in blocco come comunità. La vera sinistra, antirazzista
e anticolonialista, non deve dare prove del suo impegno nella lotta contro
la peste antisemita. Essa sarà ancora più efficace nel proseguimento della
lotta se le sue posizioni contro i crimini di guerra d'Israele e la sua
politica di colonizzazione saranno chiare e senza ambiguità.