Lunedì 29 gennaio 2001

 

Nata al terzo blocco stradale, fermata al quarto

di Amira Hass

(Traduzione di Ennio Polito)

 

Sabrin Balout è nata mercoledì scorso, 24 gennaio, in un taxi che portava a gran velocità sua madre, suo padre, una zia e la nonna all’ospedale di Ramallah. E’ nata mentre i suoi aspettavano il permesso di attraversare il blocco posto da un distaccamento dell’esercito sulla strada. Era il quarto gruppo di soldati dell’Idf che avevano incontrato nella loro corsa verso l’ospedale. Ne avrebbero incontrato ancora un altro, nel momento in cui Sabrin compiva dieci minuti di vita. Qui, all’ingresso dal nord verso Bir Zeit, i soldati chiesero a tutti i passeggeri, compresa Sabrin, che era ancora legata a sua madre dal cordone ombelicale, di scendere dal taxi. Era una giornata molto fredda e piovosa, ha raccontato a Ha‘aretz il padre.

 

Amina Moussa Balout aveva avuto le prime contrazioni nel pomeriggio. Da circa due mesi, l’uscita principale dal villaggio di Rantis sulla strada grande era sbarrato. Ora, la sola uscita era per una pista sterrata, piena di curve e sporca, tra i campi, che d ‘inverno sono fangosi. Mentre percorrevano questa strada, Amina e la sua famiglia incontrarono due jeeps: una dell’esercito e una della sicurezza di un insediamento ebraico della zona. I soldati rifiutarono i permessi di transito. Seguì una discussione, entrambe le parti insistevano. A questo punto, a causa della pioggia e del fango, era diventato impossibile anche tornare al villaggio. Dopo circa mezz’ora, calcola Balout, i soldati lasciarono che il taxi proseguisse il viaggio.

 

Proseguì in direzione est e giunse a un altro posto di blocco dell’esercito, presso l’insediamento ebraico di Halamish. I soldati puntarono i fucili e il taxi si fermò. Balout e l’autista scesero, il taxi subì un altro ritardo di circa venti minuti, mentre Amina Balout singhiozzava e gridava. Una corsa di pochi minuti ed ecco una lunga fila di veicoli in attesa presso il villaggio di Um Safa. L’autista li superò e giunse in vista di una jeep militare. Di nuovo i soldati puntarono le armi e intimarono: tutti fuori. I passeggeri tentarono di spiegare che dentro c’era una donna sul punto di dare alla luce il suo bimbo ,ma un soldato disse che era necessaria un’autorizzazione dell’ufficiale. Mentre il soldato era via in cerca dell’ufficiale, Amina gridò: “Viene il bambino! viene il bambino!” e nel tempo che ci mise a tornare, aveva già deposto la bimba. Sua madre e sua cognata l’avevano avvolta in una coperta e gliela avevano data da tenere contro il suo corpo.

 

Balout calcola che siano passati altri venti minuti prima dell’arrivo dell’ufficiale, il quale, non appena vista la neonata, diede subito ordine di lasciarli proseguire. Circa duecento metri più avanti viperine loro incontro un’altra jeep militare; una volta di più un soldato li tiene sotto mira e chiede chi li abbia fatti passare. L'ufficiale che ha permesso il passaggio al blocco precedente ha visto quel che succede e accorre per ordinare al soldato di dare via libera. Ciò ha preso circa altri cinque minuti.

 

Loro puntano su Bir Zeit e qui di nuovo trovano una lunga fila di veicoli fermi. Il taxi li sorpassa finché quattro soldati gli danno l'alt.

 

"Abbiamo aperto il finestrino e abbiamo detto loro che stavamo accompagnando una donna che aveva appena partorito", racconta il padre. "Ci hanno ordinato di aspettare, hanno fatto il giro della vettura, hanno aperto la portiera, hanno guardato dentro e hanno visto che c'era una donna con un infante,". Balout ha avuto l'impressione che ridessero, prima di ordinare a tutti di scendere. La madre di Amina sbattè lo sportello con rabbia. I soldati tentarono di riaprirlo. La nonna continuava a gridare che ci lasciassero passare. "Ma loro insistevano perché scendessimo. Che cosa potevamo fare? Siamo scesi". Amina scese con la neonata in braccio, ancora legata dal cordone ombelicale, che non era stato tagliato. Era così debole che crollò a terra. I soldati non si mossero e il padre ebbe più forte la sensazione che la scena li divertisse. A questo punto venne un altro soldato e gridò ai suoi compagni di smetterla e di lasciarli risalire e proseguire. Una delle pantofole di Amina le cadde dal piede e rimase lì, a terra.

 

Erano più o meno le 20,30 quando Amina e la neonata arrivarono all'ospedale di Ramallah, erano partite da Rantis alle 17. Di solito, il viaggio per quella strada prende quaranta o cinquanta minuti. Il nome Sabrina viene da una radice araba di tre lettere, traslitterate in S-B-R, che vuol dire pazienza.

 

Interrogata da Ha'aretz, una fonte militare qualificata ha risposto che mentre si susseguivano questi fatti si era verificato un incidente a fuoco sulla via di Atarot. Qualcuno aveva sparato da un veicolo palestinese e ferito qualcuno in un veicolo israeliano e l'esercito stava prendendo misure "nel tentativo di catturare i terroristi". La fonte ha detto di non essere a conoscenza del ritardo causato al taxi all'uscita da Rantis e a Halamish. Sapeva, però, che ai posti di blocco presso Atarot e Bir Zeit i soldati si erano comportati correttamente, secondo le procedure previste per i casi umanitari. Secondo la fonte, quando i passeggeri del taxi arrivarono al posto di blocco presso Um Safa, "proprio dove si era verificato l'incidente", dissero al comandante responsabile di avere con loro un neonato ."Nel giro di 3-4 minuti, il veicolo si rimise in moto e proseguì verso la zona di Bir Zeit dove c'era una lunga fila di veicoli fermi, a causa dell'attacco terroristico. Il distaccamento vide un taxi che superava tutta la fila delle macchine e l'autista gli disse di avere a bordo una partoriente. Il soldato vide la partoriente e altre due donne sedute vicino a lei che cominciarono a imprecare contro di lui. Il soldato chiuse sùbito la portiera e diede via libera".

 

I territori sono paralizzati. Nonostante le promesse, l'assedio della maggior parte delle città e dei villaggi della Cisgordania non è stato tolto. Gli abitanti sono costretti a fare lunghi giri, percorrere tratti a piedi, cambiare taxi, risalire sentieri di collina, addentrarsi in uliveti e talvolta ritornare sui loro propri passi a causa di posti di blocco improvvisati, davanti ai quali si allungano code di chilometri, o posti di blocco nuovi. Sul terreno, ciò che resta dell'intifada è la repressione. Le restrizioni dei movimenti sono lo strumento più massiccio e la maggior fonte di sofferenze, poiché colpiscono ogni casa e ogni persona e conseguono il loro scopo: la paralisi della vita normale. Perciò, sul terreno, l'intifada è oggi soprattutto un quotidiano tentativo di confrontarsi con la segregazione nell'interno. i blocchi stradali e l'accerchiamento.

 

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