Estratti dalla Rivista BALSAM, edita dalla Associazione Medica Italo Palestinese negli anni 1991 – 1995.

 

Rileggendo le introduzioni ai numeri di Balsam pubblicati, ci siamo resi conto di quanto attuali siano ancora i problemi che allora cercavamo di far conoscere a un pubblico italiano ancor piu’ distratto di adesso. Il contesto è cambiato, le sofferenze dei palestinesi, dopo un periodo di illusioni, si sono aggravate e il futuro appare ancora molto buio. I due popoli in conflitto si sono inaspriti, ma in ambedue le societa’, anche in quella israeliana ci sono segni di malessere. Ritrovare le tracce – sia pure appena accennate – di una osservazione continua puo’ avere qualche interesse e le offriamo ai lettori del sito di Balsam. In fondo questo sito nasce proprio dalla quinquennale esperienza della rivista, dalla quale e’ germinato, come i redattori speravano nel loro saluto, nel marzo 1996.

Editoriale del:

 

I NOSTRI DIECI ANNI

(n. 1 ,maggio 1991)

 

L'associazione Medica Italo-Palestinese (AMIP) compie l'otto di maggio 1991 dieci anni di vita. I suoi fondatori, il primo presidente Ettore Biocca, l'accademico dei Lincei Geo Rita, i professori Carmenini, Giacanelli, Visco ed altri avevano attivato un movimento di solidarieta' con i palestinesi e di collaborazione con la Mezzaluna Rossa Palestinese gia' da due anni, visitando i campi del Libano che si trovavano esposti ad attacchi da varie parti. I dieci anni trascorsi hanno imposto nuove e piu' dure prove al popolo palestinese: l'invasione israeliana del Libano e l'assedio di Beirut, l'onorevole uscita da Beirut dei fiddayin e la loro dispersione mentre i Parlamenti del mondo esprimevano un caloroso riconoscimento ad Arafat a Montecitorio; poi il massacro di Sabra e Chatila e la perdita di larga parte del patrimonio storico- culturale conservato a Beirut e sequestrato dall'esercito israeliano; ancora anni di sofferenze nella guerra civile in Libano; gli attacchi sanguinosi ai campi palestinesi di Chatila e Burj-el Brajneh e l'inasprimento dei dissidi interni, e finalmente nel 1987 l'esplosione della "intifada" nei territori occupati con un crescendo di speranze di soluzione politica, mentre da un lato si dichiarava lo stato di Palestina e dall'altra sembravano svilupparsi in Israele i movimenti pacifisti, germogliati dopo la invasione del Libano, e nel mondo si manifestavano piu' concrete volonta' di sostegno alla volonta' di autodeterminazione del popolo palestinese.

In queste vicende la nostra associazione ha mantenuto una presenza, con una visita di solidarieta' a Beirut assediata, la successiva partecipazione a varie conferenze internazionali, tra. cui la manifestazione ad Atene del 1989 per il ritorno degli esuli nei territori e le manifestazioni di "1990, Time for Peace" con la catena umana a Gerusalemme.

Nel decennio abbiamo stabilito legami con organizzazioni mediche palestinesi dei territori occupati , visitati piu' volte. Abbiamo cosi' svolto un ruolo di informazione sulle condizioni sociali e sanitarie dei palestinesi, sia negli ambienti sanitari e politici che in quelli della cooperazione allo sviluppo. L'AMIP si e' associata all' ICCP (International Coordinating Committee for NGOs on the question of Palestine), collegato con l'ONU, e alla sua branca europea ECCP; in Italia ha aderito al COCIS, uno dei tre organismi di coordinamento delle Organizzazioni Non Governative (ONG) italiane che si occupano di cooperazione allo sviluppo. Con questi collegamenti abbiamo lavorato per una miglior conoscenza tra ONG italiane e organizzazioni palestinesi. L'intifada ha accelerato nei territori la crescita delle organizzazioni nazionali, e qui ha ridestato una attenzione, un po' sopita a meta' degli anni '80, verso la questione palestinese. Ci e' stato cosi' possibile collaborare con le ONG che incarnavano la spinta alla cooperazione intesa come solidarieta' e aiutarle ad elaborare alcuni progetti sanitari, che hanno effettivamente preso corpo durante il 1990.

Durante la crisi del Golfo, nonostante le polemiche, la solidarieta' con i palestinesi non e' venuta meno. Un coordinatore delle ONG del COCIS e tre sanitari che lavoravano in un progetto sono rimasti a Gerusalemme per tutto il periodo della guerra, per aiutare i palestinesi durante il duro coprifuoco. In Italia, una campagna prima diretta ad inviare materiali di primo soccorso e maschere antigas, poi concentrata, in collaborazione con I'UNRWA (agenzia dell'ONU per i rifugiati palestinesi), sugli aiuti alimentari di emergenza, ha dato risultati insperati. Ora stanno per essere attivati alcuni altri progetti minori di sostegno a gruppi locali.

In questo clima di sviluppo delle nostre attivita' e di collaborazione con il COCIS si pone anche il progetto di pubblicare un bollettino trimestrale, per la informazione degli Enti locali, delle USL, delle associazioni e dei privati che in modi diversi hanno mostrato interesse a questo nostro lavoro.

Abbiamo chiamato il bollettino "BALSAM" da una parola araba che anche la lingua italiana ha fatto propria; e' anche il nome di una rivista sanitaria palestinese. I primi quattro numeri saranno distribuiti gratuitamente, poi solleciteremo abbonamenti e sostegni per continuare la pubblicazione.

In questo primo numero cerchiamo di dare una visione d'insieme dei problemi e delle strutture sanitarie palestinesi nei territori occupati. Nei successivi svilupperemo la informazione su singoli temi, come la salute di donne e bambini e la maternita', la riabilitazione dei traumatizzati e dell'handicap, i problemi di igiene nel territorio, le questioni psicologiche e altre che man mano si presenteranno. Insieme daremo piu' informazioni sulle condizioni socio-sanitarie delle comunita' palestinesi che vivono al di fuori dei terri tori.

Saremo grati ai lettori che vorranno segnalarci problemi e collaborare con noi. Ci auguriamo con questo-di dare un altro piccolo contributo al grande problema della pace e del reciproco rispetto tra popoli, lo stesso obiettivo che ha animato i primi dieci anni di vita della nostra associazione.

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IL COLORE DEL CONFLITTO

(n. 2 , agosto 1991)

 

Dal numero due, Balsam comincia a dedicare i documenti principali a temi specifici della salute nei territori occupati. Nei territori perche' su di essi si concentra l'attenzione dei Palestinesi come sul loro futuro Stato - negato o accettato che sia nel discorso internazionale - e perche' la' si sono fatte piu' analisi, pur talvolta datate o contraddittorie. Cominciare parlando dei servizi di riabilitazione non vuol essere un rovesciamento della serie consueta - prevenzione, cura, riabilitazione - ma il riconoscimento che nella storia odierna dei palestinesi c'è una grande ferita che non può essere ignorata. Ciò' e' vero nelle terre dell'intifada, oggi, ma e' stato anche prima, nel Libano e ovunque si e' acuito il conflitto. Centri di riabilitazione sono nati precocemente tra i servizi della Mezzaluna Rossa palestinese, e sono stati pensati subito accanto a istituzioni per i bambini rimasti senza appoggio familiare - i figli dei martiri nel linguaggio della causa palestinese, della quale sono, appunto, testimoni.

Cosi Balsam due porta il colore del conflitto, il colore di quella bandiera (azzurra con la stella di Davide,NdR) che sventola sulle torrette dei campi e sui tetti delle case requisiti per i posti di guardia nei territori, la stessa che sventolava enorme - messaggio arrogante perche' altra ragione non poteva avere - su una camionetta militare nella Hebron deserta in coprifuoco, qualche giorno dopo la fine della guerra del Golfo.

E se le immagini di dolore e ira di questa copertina, ritratte più di 15 anni fa da Antonia Mulas, sono di Palestinesi del Libano, lo stesso dolore e la stessa ira si leggono un pò ovunque, oggi, nei territori, ma anche di nuovo nel sud del Libano. E chi e quando raccontera' i volti delle vittime di vendetta in Kuweit?

L'immagine della ferita non esaurisce - lo ripeteremo con insistenza fino alla noia - ne' la questione palestinese ne' quella attuale dell'intifada, ma ne costituisce un frammento essenziale che non cancella le altre immagini, i percorsi dpaziente e anche gioiosa costruzione-ricostruzione di una societa'. Ne' da questi, almeno finche' il conflitto dura, la ferita puo' essere cancellata. Qui la presentiamo nella testimonianza di un noto chirurgo ortopedico dell'Ospedale Makassed di Gerusalemme, nelle cifre delle schede UNRWA, nello studio OMS sullo stato del pronto soccorso, nella sintesi sui servizi di fisioterapia e riabilitazione, come si stanno adattando alle nuove esigenze. Ma anche il resto del numero gira intorno alla ferita, che da decenni segna questo conflitto.

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UN MOMENTO SPECIALE

(n. 3-4, dicembre 1991)

 

Balsam esce, per chiudere l' anno, con un numero doppio, e con l'intenzione, cosi', di riportarsi al ritmo trimestrale regolare con il 1991. E, siccome d'ora in poi la sua sopravvivenza dipendera' anche dai vostri contributi, cerca anche di offrirvi uno sforzo di illustrazione, che speriamo vorrete premiare, abbonandovi per il 1992.

Andremo in tipografia in coincidenza con i primi passi della conferenza di Madrid. Come vorremmo sentir cadere dalle nostre dita e dalle nostre menti ogni dubbio, e scrivere lietamente e senza remore "conferenza di pace". Ma degli eventi molto desiderati si ha spesso un oscuro timore a pronunziare il nome.

Intanto Balsam propone ai suoi lettori, oltre a varie notizie, due linee di informazione e una serie di immagini fresche di Gerusalemme Est e dei campi di Cisgiordania e Gaza, appena riportate da Antonia Mulas. Campi tesi, dove l'intifada non cede, ma si esprime anche il bisogno di vivere, e dove si respira un'aria pesante, di rabbia che rischia di avvolgersi su di se' in sofferenza se non trova un ascolto o un bersaglio. Arrabbiati e sofferenti i ragazzi, preoccupati i piu' anziani, anche per quello cui sono esposti i loro figli, e non solo come rischio fisico, ma come impronta psicologica e culturale. Comunicano quasi il bisogno di un'altra intifada, per scrollarsi di dosso il rischio di depressione, le scorie fisiche e psichiche di questo quotidiano fronteggiarsi, arroganza contro sfida, fucili contro pietre.

Parliamo di servizi psichiatrici, ma lo psichiatra nella sua intervista parla in realta' di intifada e sofferenza; conosce i suoi limiti. La via della sofferenza dei giovani e' tracciata anche nelle relazioni ufficiali delle Nazioni Unite, quelle che la maggioranza degli esperti internazionali non legge. Percio' ve ne offriamo noi una parte.

L'altra linea si chiama Libano: c'e' poca attualita' - non dissimile da quella di altre comunita' palestinesi, ma il Libano e' anche un grande tratto della storia dei palestinesi, che vi hanno conosciuto la loro prima intifada. Cosi' c'e' uno spazio per i ricordi di uno di noi e per le annotazioni di altri di noi, tutti medici, sull'esperienza con i Palestinesi in Libano, prima, durante e dopo l'invasione israeliana del 1982.

Fra le due linee non c'e' il vuoto: c'e' l'unita' di questo popolo che per comodita' politica si tenta di cancellare, ma sara'difficile, scritta com'e' nella loro lotta testarda e nella capacita' di resistere e costruire, per un futuro che non puo' essere loro negato in eterno. In fondo, anche Balsam e' un omaggio alla resistenza palestinese e questo numero vuol essere un omaggio speciale in un momento speciale.

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PAZIENZA E ALLEGRIA

( n. 5, marzo 1992)

 

Balsam, che pur non ha poche donne in redazione, ha dato finora poca attenzione al genere, attirandosi cosi' da qualche amica la critica di aver tenuto l’immagine femminile troppo tradizionalmente sullo sfondo, nelle foto come nei testi. Il numero che apre il 1992 – cadendo tra l’altro a marzo – cercherà di fare ammenda. Del resto il rinvio delle donne al secondo anno e alla quarta uscita delle rivista non fa che rispecchiare fedelmente la realtà del conflitto tra l’urgenza dei problemi nazionali del popolo palestinese e l'emergenza delle questioni delle donne.

Anche in questo senso le nostre amiche palestinesi esprimono una punta avanzata rispetto al mondo arabo. Con molte sfaccettature, fino a rasentare lo scandalo nelle posizioni della piu' femminista delle palestinesi, Sahar Khalifa, le donne che abbiamo direttamente o indirettamente interpellato esprimono la loro richiesta di visibilita' , di autonomia e di efficacia. Non e', o non e' prevalentemente, rivendicazione per se', e' piuttosto la convinzione che nessuna societa' puo' pensare se stessa come libera fino a che vi si mantiene l' ipoteca di un patriarcato vistoso. Le donne palestinesi hanno capito che la liberazione della donna non segue automaticamente la indipendenza politica, prospettiva, peraltro, ancora molto incerta. Forse e' la prima volta, nelle moderne lotte per l' indipendenza politica, che il problema donna si pone in simultanea con il problema dell' indipendenza. Certo e’ posto da voci ancora sparse, che appaiono tuttavia piu’ forti che in altre storie di lotta. Forse e’ la lunghezza della lotta, che interessa piu’ generazioni, forse il contatto ravvicinato con donne europee, forse l’ombra del fondamentalismo che cresce in Paesi, come l’Algeria , gia’ protagonisti di lotte d’indipendenza e amici della Palestina. Ancora poco si riflette questa esigenza di autonomia della donna palestinese nella cura della salute; siamo solo in fase di ricerca. Quel nodo della condizione femminile che e’ la maternita’ si allontana sempre di piu’ dal suo ipotetico diventare buna fatto di liberta’ creativa , quanto piu’ il popolo soffre di vincoli, repressione, poverta’. Ra i prezzi che il popolo palestinese paga nella sua lotta per l’indipendenza c’e’ quello visibile degli uomini uccisi, feriti e imprigionati in numero piu’ alto delle donne, e c’e’ l’invisibile quotidiano femminile fatto di poverta’, esilio, lutto e vita consumata, fino a una morte piu’ discreta.

Pero’ le donne palestinesi sono pazienti e come dimostrano le nostre amiche armate di macchina fotografica, anche allegre. A loro parola, direttamente e attraverso le molte che hanno stabilito con loro forti legami di scambio.

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GARANTIRE IL FUTURO

(n. 6, giugno 1992)

 

Nelle comunita' palestinesi i bambini e gli adolescenti sono almeno un terzo della popolazione, nei territori occupati qua la meta'. Da qualunque parte si esamini o si narri le condizioni di vita dei palestinesi, i bambini emergono come prolema essenziale, nel loro vissuto quotidiano come nella eoccupazione degli adulti per il loro futuro. I figli dei palestinesi sono fonte di orgoglio e di ansia, relativamente liberi anche nel sistema familiare patriarcale, specialmente i maschi, e insieme resi insofferenti e sospettosi nei riguardi degli adulti dall'esser nati e cresciuti sotto una occupazione oppressiva e umiliante.

Come spesso avviene fra generazioni, i piu' giovani hanno una tendenza a considerare i genitori responsabili della situazione che essi subiscono, per passate debolezze o errori. Esposti a molti fattori di sofferenza psichica, questi ragazzi e ne salvano proprio buttandosi nella mischia a corpo morto, e molti ne sono realmente morti o vivono segnati per sempre. Molti di loro, arrestati a tredici, quattordici anni, sono passati dall'infanzia alla giovinezza attraverso anni di carcere e vi si sono formati piu' che nella scuola. Non ne escono certo sottomessi. Quale incredibile arroganza, non solo, quale abissale ignoranza della natura umana ha dettato ai Rabin e ai capi militari dell'occupazione l'idea di poter sottomettere una intera generazione a "botte e potenza"! Di cio' abbiamo parlato nei numeri precedenti, qui tentiamo di delineare il problema della crescita dei bambini, dei loro problemi di salute nei primi anni di vita.

Nel farlo, abbiamo avvertito in ogni momento il non-senso di una discussione limitata agli indicatori che si adottano per valutare lo stato di salute o l' adeguatezza dei servizi. Glii stessi indicatori sono scarsi e incerti, ma e' chiaro che non ce n'e'abbastanza, di salute e di servizi, ed e' altrettanto chiaro che qualunque intervento o progetto acquista senso solo nella intenzione e speranza che si modifichino le prospettive generali della vitdei bambini palestinesi.

Ma quali prospettive, puo' venir fatto di pensare, in un mondo che sembra un mosaico di benessere drogato e di marginalita' violenta, e continua ad esplodere in periodici (sempre piu' frequenti?) sussulti di violenza sanguinosa - siano essi guerre di stato con relativi stermini o rivolte su piccola e media scala. Pero' almeno una risposta si puo' tentare: prospettive di diventare una societa' libera di gestire in modo autonomo le sue risorse, e i suoi stessi conflitti sociali. La salute, ce lo dice la nostra esperienza e lo conferma quanto ha scritto su un giornale arabo di Gerusalemme il dottor Bargouthi, non si puo' migliorare senza aver il controllo del potere politico e finanziario.

Diciamo, dunque, speranze di autonomia: dire "pace" di questi tempi sembra un'audacia o una ingenuita' eccessiva. Eppure un' autonomia politica vera dei palestinesi e' un tassello importante nel mosaico del Medio Oriente, anzi dell'intera area Mediterranea, dove la guerra e' ormai di casa.

Tra i non molti dati sanitari disponibili uno spazio speciale e' riservato alla discussione sulla malnutrizione e l'amia, che, gia' presenti anche negli anni precedenti l'ultima crisi, intifada piu' Golfo, si puo' temere diventino qualche cosa di peggio, come sembra stia avvenendo nell'Iraq tra guerra ed embargo.

All'allarme seguito alla guerra del Golfo e al tremendo coprifuoco che nei territori occupati ha bloccato ogni attivita' per 45 giorni, e' seguito un intervento straordinario di distribuzione di cibo da parte dell'UNRWA, intervento esteso su autorizzazione dell'ONU anche ai non rifugiati.

Anche noi insieme al COCIS, Arci Cultura e Sviluppo, Salaam Ragazzi dell'Ulivo, abbiamo attivato con il contributo della CGIL dell'Emilia, nel 1991, un progetto della CEE di 510 milioni, per l'acquisto di cibo che e' stato fatto pervenire attraverso l'UNRWA. Forse una goccia nel mare dei bisogni, ma anche scuola di solidarieta', una solidarieta' che in Italia nonostante tutto va crescendo, e alla cui crescita anche Balsam lavora .

Prima di entrare nei problemi di salute abbiamo tracciato qualche immagine della vita quotidiana dei ragazzi palestinesi nei territori occupati, delineando in particolare le circostanze che hanno messo a repentaglio la loro istruzione, bene considerato prezioso oltre ogni cosa dai palestinesi che per primi furono investiti dalla loro "catastrofe" del 47-48. “La scuola e' la sicurezza del futuro" , ci aveva detto tre mesi fa Salwa Salem, amica perduta appena trovata, che aveva conosciuto la catastrofe e una vita di esilio ed e' stata portata via da un male grave, ancora giovane e attiva. Volevamo fare delle cose insieme, nel proseguire continueremo a pensare a lei.

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RAGIONI DI PACE

(n. 7-8, novembre 1992)

 

Siamo a un anno dall'inizio a Madrid dei negoziati di pace arabo-israeliani, nei quali i palestinesi sono comparsi come soggetti politici autonomi, sia pure formalmente collegati a un Paese arabo riconosciuto, la Giordania. Questo era uno dei primi obiettivi dell'intifada palestinese. L'esito dei colloqui e' tutt'altro che scontato e non ci sono ancora elementi che giustifichino una celebrazione. Magari ci fossero quando questo numero arrivera' ai nostri lettori: saremmo felici dell'errore redazionale. Molti altri passi devono seguire perche' la speranza si faccia piu' concreta; percio' il progetto di Balsam non e' ancora esaurito.

Fin dall'inizio ci siamo impegnati a parlare delle condizioni di tutte le principali comunita' palestinesi, pur dando lo spazio maggiore alle terre ora occupate, che devono diventare la sede dello Stato di Palestina. Una comunita' importante, cui e' dedicata la maggior parte di questo numero doppio, e' quella dei "palestinesi dell'interno", circa 850.000 persone, chiamate ufficialmente "arabi israeliani". Questa definizione, che anche Balsam ha usato piu' volte, non deve suscitare riprovazione negli amici dei palestinesi: sono gli stessi titolari ad usarla, avendo accettato la loro condizione presente di cittadini dello Stato di Israele. Al tempo stesso riaffermano la loro continuita' storica, etnica e culturale con i palestinesi dei territori occupati e della diaspora. Essi sostengono il loro obiettivo di indipendenza, consci anche del fatto che cio' puo' rafforzare la loro stessa lotta per la parita' sociale e politica con gli ebrei di Israele. Parita' tuttora inesistente: i meccanismi della disparita' e le battaglie per superarla non sono in genere molto noti in Italia. La loro conoscenza puo' gettar luce anche sui motivi che i palestinesi dei territori occupati e della diaspora hanno per temere le conseguenze dell’accettazione di una condizione prolungata di “autonomia amministrativa” sotto il controllo dello Stato di Israele.

Abbiamo dato voce in questo numero non solo ai documenti, che sono in buona parte di fonte israeliana, a dimostrazione delle profonde contraddizioni che caratterizzano Israele, ma anche a un uomo e a una donna della Galilea, cioe’ della zona dello Stato d’Israele che contiene una cospicua maggioranza araba. Nabila e’ stata anche ospite in Italia, in questo autunno, si un seminario di donne nel qualeil confronto a tre. Italiane, palestinesii ed israeliane e’ stato vissuto con profondita’ sofferta e insieme con una certa gioia nata dallo scoprirsi a vicenda. Da questo seminario emerge una sfida di donne per un diverso modo di pensare le nazioni e i loro rapporti,ma anche l’intera cultura che ha le sue radici nell’antica storia del MedioOriente e nelle religioni monoteiste nate nella regione. Del seminartionon possiamo dare un vero resoconto, ma solo un’idea di come e’ stato pensato e vissuto.

Al seminario partecipava anche Rana’, psicologa e dirigente politica attiva nei territori occupati. Il suo racconto e’ testimonianza della crescita di un’esperienza socio-sanitaria nella mutevole cornice di questi anni: ma non solo, e’ anche una sincera testimonianza di se’, esemplare di cultura aperta e cosmopolita come tipicamente e’ la cultura palestinese, che rifiuta di chiudersi in se’ stessa proprio quando esige il riconoscimento del suo nome e della sua autonomia. Alla stessa cultura appartengono, lo si avverte, i due “palestinesi dell’interno” le cui interviste sono inserite nella serie di articoli sulla comunita’ arabo-israeliana.

Infine, il documento letterario scelto per questo numero e’ un frammento d’immagine del significato che la Palestina ha avuto per la cultura europea di questo inizio di secolo.

Ci perdonino i lettori se quel che tentiamo di offrire, quando scegliamo e accostiamo materiali solo apparentemente disparati, sembra troppo ambizioso per le nostre piccole forze. Ma il nostro scopo e' sempre lo stesso: cercare per loro nella storia presente e passata ragioni di pace e di giustizia.

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PRIMO, L’ACQUA (n. 9, marzo 1993)

 

In varie occasioni Balsam ha parlato delle insoddisfacenti condizioni igieniche nelle comunita' palestinesi, e in particolare dell'acqua, le cui carenze quantitative e qualitative sono alla base delle malattie diarroiche che tanto contribuiscono alla elevata mortalita' infantile. Si e' visto nel numero precedente che i problemi di acqua, rifiuti e specialmente fognature sono lungi dall'esser risolti anche nelle comunita' arabo-israeliane, a quasi 30 anni dalla cessazione del regime militare.

Dai territori occupati emergono numerose testimonianze della responsabilità del regime di amministrazione militare israeliana nell'impedire ai palestinesi il pieno uso delle risorse idriche della loro terra, che non solo vengono sfruttate in termini privilegiati dai coloni ivi insediati, ma vengono addirittura dirottate allo stato di Israele per il consumo agricolo, industriale e personale dei suoi cittadini. Questi hanno quindi una disponibilita' di acqua varie volte superiore a quella dei palestinesi, e i futuri programmi di Israele prevedono di ampliare questo divario. Il controllo dell'acqua ha la stessa priorita' dell'autorita' sulla terra nelle richieste sostenute dai palestinesi ai negoziati di pace. Mentre scriviamo, d'altronde,lo stesso dialogo e' messo in pericolo dalla massiccia deportazione di palestinesi in Libano e dalla conseguente ripresa di ostilita' e repressione nei territori occupati, in termini più duri ancor che nel passato. I problemi dell'acqua ricorrono inevitabilmente quando si parla della gestione igienica del territorio, tema centrale di questo numero, che si apre con i dati di una indagine su cinque distretti della Cisgiordania. Qualunque azione di tutela della salute parte dall'igiene dell'abitato e del lavoro. Di una presa di coscienza moderna di tali problemi e' espressione il documento del Centro di scienze di sanita' ambientale dell'universita' di Birzeit; anche la FAO ha ospitato un seminario sul problema dell'acqua di Gaza.

I territori occupati sono aree agricole, l'allevamento animale e' diffuso ed economicamente importante, ma pone anche problemi alla salute; in tutta la regione la brucellosi (febbre maltese) sembra crescere in modo preoccupante e questo e' un tema serio anche per le comunita' palestinesi, che convivono per tradizione e necessita' alimentari con pecore e capre. Sostegno dell'economia e protezione della salute umana si mescolano negli interventi che i palestinesi cercano di mettere in opera anche con la collaborazione di organismi internazionali.

L'intervista ad una insegnante che ha vissuto la terribile esperienza della deportazione - esperienza che domina oggi tutta la vicenda palestinese - rappresenta, insieme a uno scorcio dell'attivita' del centro di studi delle donne di Gerusalemme, il contributo di Balsam al marzo delle donne 1993. E il frammento di letteratura proposto, questa volta una fiaba popolare, è insieme un omaggio all'acqua e alla saggezza della donna che, sola interprete del suo perenne lamento, merita percio' di diventare sultana. I sultani moderni non minacciano piu' di tagliare le teste, ma, ahime', hanno meno attenzione alla saggezza popolare, uccidono di più e più crudelmente. Quando ascolteranno il lamento delle fonti e delle donne di Palestina?

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SOFFRIRE E COSTRUIRE (n. 10, giugno 1993)

 

Alla riabilitazione, ma pensata piuttosto come intervento riparatore per le sequele dei traumi da intifada, avevamo dedicato parte del secondo numero di Balsam. Nei due anni passati da allora, i palestinesi dei territori occupati hanno lavorato molto in questo campo, a chiarirsi le idee, a costruire servizi con l’aiuto dei piu’ tenaci tra i loro amici stranieri. Cosi’ sembrano dire le testimonianze personali, le schede, i documenti raccolti, dai quali si puo’ ricavare un quadro piu’ aggiornato, ma anche piu’ articolato.

Anche se le speranze ristagnano e nuovi problemi si aggiungono al mosaico medio-orientale, anche se in Palestina e nel mondo siamo costretti a leggere – con occhi che non vorrebbero – i segni della sconfitta della pace, pure, tenacemente, le comunita’ vivono, pensano, rifiutano di cedere ai messaggi di violenza. A Gaza muoiono ogni giorno palestinesi, muoiono, piu’ di prima, anche israeliani, la miseria aumenta; pero’ c’e’ anche chi va scoprendo e descrivendo i disabili e contando quanti di loro –la maggioranza – sono ancora privi di cura e separati da quella magra vita sociale che l’occupazione consente, c’e’ chi si occupa dei paraplegici.

Di questo lavorio sociale sono anche testimonianza le relazioni tenute a Bruxelles nello scorso settembre, da Ziad Abdeen sulla programmazione sanitaria, da Rita Giacaman sulla salute delle donne; la redazione ne ha preparato estratti sostanziosi. Cosi’ i palestinesi continuano a dimostrare che esistono, pensano e producono. Ma giornali e televisioni hanno poco spazio per loro; altri conflitti si delineano e crescono minacciosi, mentre le ragioni che i ricchi della terra si affannano a diffondere, per giustificare le loro scelte armate, sembrano proprio il titolo della fiaba di questo numero: dall’inizio alla fine tutta una bugia.

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IL NOSTRO AUGURIO (n.11-12, dicembre 1993)

Questo numero e' stato redatto dopo la firma degli accordi israelo-palestinesi a Washington; percio' e' dedicato a Gaza e Gerico, oggi in prima linea nell'attenzione di tutti gli amici dei palestinesi. Gaza non sorprende, e' da tempo infatti che si sente parlare di "Gaza subito"; Gerico e' piu' inattesa. Due antichissime citta' dense di ricordi storici delle origini, quelle origini che la cultura europea mediterranea ha in comune con i popoli del Medio Oriente. Densa Gaza della sua gente povera nei quartieri sabbiosi, nei decrepiti campi di rifugiati, nelle linde moschee a un passo dai segni fumosi della rivolta e della repressione; quieta Gerico nelle sabbiose rovine antiche e recenti, di palazzi biblici e medievali e di campi brevemente abitati da gente sempre in fuga. Pallide dune di mare e bionde colline di fiume, banani e palmeti, aranci e pomeli, simili e diverse, Gaza e Gerico hanno la sorte di segnare un nuovo inizio.

Forse anche Balsam dovra' ripensarsi; forse e' altra la solidarieta’ che oggi serve. Nella linea indicata dall'intifada ci siamo sforzati finora di dare visibilita' agli sforzi dei palestinesi di costruirsi come societa'. Come proseguiremo, dipendera' sia da quello che essi ci indicheranno nei prossimi mesi, nello sviluppo del processo di autonomia verso l'indipendenza statale - e che questo processo percorra una strada diritta e' il nostro piu' caloroso augurio - , sia dagli spazi che le forme della solidarieta' troveranno nel nostro Paese.

I palestinesi, come risultava anche dalla intervista rilasciata a "Balsam" dal dr Heidar Abd el-Shafi nella scorsa primavera, avvertono quasi tormentosamente il bisogno di conoscere e programmare correttamente la propria futura societa', il che e' molto di piu' di quanto avvertano molte nazioni consolidate politicamente ed economicamente. All'Italia essi sembrano invidiare il suo stato attuale, che pure a molti di noi sembra cosi' poco attraente, nella sua corsa verso la grande omogeneita' moderna o post-moderna. Agli amici palestinesi, che l'ansia di conoscersi e far bene ci rende ancora piu' cari, auguriamo anche di poter perseguire uno sviluppo che non sia tutto o prevalentemente di beni materiali, dei quali pure hanno tanto bisogno. Che procedano nella via orgogliosa dell'affermazione di se' come cultura e storia e dignita' che ha caratterizzato le loro manifestazioni di arte, teatro, letteratura. Che non gettino via la bellezza delle loro tradizioni insieme alla loro poverta', cosi' anche noi potremo accostarci alla loro vita e trovarvi valori comuni, come quando, nell'ora della loro ribellione di popolo, ci hanno dato la straordinaria esperienza di una affermazione di se' che voleva essere forte e non violenta. Questa volonta' non e' stata premiata allora - poi la guerra del Golfo ci ha fatto dubitare che un tentativo cosi' avesse diritto di cittadinanza nel mondo di oggi. Se sara' premiata adesso, non sara' ancora troppo tardi e potremo sperare che, dopo tutto, quel seme abbia germogliato.

Intanto, anche con questo numero, cerchiamo di fornire informazioni, alcune attuali, altre di epoche passate, per continuare a costruire quel mosaico di dati che dovrebbe aiutare i nostri lettori a riempire di qualche frammento piu' vivo l'immagine un po' scheletrica, costruita dall'informazione politica, di quella che e' invece una societa' multiforme e di antica storia.

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LE LEZIONI DI HEBRON (n.13, marzo 1994)

 

Il quarto anno di Balsam si apre in una fase di grande incertezza. Stava maturando un progetto di autonomia limitata _- della quale molti erano scontenti e preoccupati - quando il massacro e il ferimento dei fedeli musulmani nella moschea di Hebron da parte di coloni, nella disattenzione o complicita' dell'esercito di occupazione, ha fatto esplodere la rabbia, una intifada piu' aspra, un'altra repressione sanguinosa, e ha paralizzato le trattative. Ha anche scoperchiato qualche pentola, se in Israele ora ci si accorge che i soldati avevano ordine di lasciar ammazzare i palestinesi pur di non toccare un colono, pazzo o assassino che fosse; se si comincia a trovare strano andar a pregare armati fino ai denti; se a piu' di duesettimane dalla strage le Nazioni Unite non sono capaci di esprimere una risoluzione, ne' in un senso ne' nell'altro.

Cosi' anche questo numero ruota intorno all'incerto futuro, descrivendo il processo di preparazione di questa vaga autonomia palestinese, nel dibattito politico e nei programmi per la sanita' in cui l'Italia dovrebbe giocare un ruolo rilevante; ascoltando voci palestinesi qui e nei territori, ritrovando nella testimonianza di un grande scrittore come Goytisolo le tracce di una lontana fase di feconda convivenza delle culture araba ed ebraica, e nella testimonianza di un sociologo laburista israeliano le ragioni della impossibile convivenza di oggi tra i nuovi coloni, ebrei fondamentalisti, e una citta' che e' arabo-palestinese da tredici secoli. Dieci anni fa tali ragioni erano gia' chiarissime, ma nulla e' stato fatto. Si puo' solo sperare che la nuova tragedia impedisca ad Israele e al mondo di stendere, ancora una volta, veli di menzogna, e che l'ultimo sangue versato generi, dopo il dolore, una piu' autentica volonta' di pace.

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L'AUTONOMIA, L'ACQUA, LE DONNE, LA MEMORIA

(n.14, giugno 1994)

 

Quando questo numero va in stampa, e' avvenuto da poco il ritiro dei soldati israeliani dalla striscia di Gaza e il loro dispiegamento nelle colonie ebraiche ivi rimaste, e lo stesso e' accaduto nella citta' di Gerico in Cisgiordania, dove avra' sede un'amministrazione palestinese autonoma transitoria. Dei suoi ventiquattro membri, la meta' proveniente dal comitato esecutivo dell'OLP, l'altra dai territori occupati, non tutti sono ancora designati. Si sta tuttavia attenuando la secca opposizione espressa da dirigenti autorevoli, come Feisal Husseini, Hanan Ashrawi, Saeb Erikat ed altri; alcuni di essi entreranno, altri forse no, ma i giornali locali annunciano intanto l'impegno dell'OLP di andare ad elezioni democratiche entro l'anno - forse tra luglio e ottobre. Come dimostra, tra altri, il documento di numerose importanti ONG del quale pubblichiamo qui una sintesi, e' assai vivo il dibattito sulle forme della democrazia e su rischi e meriti del processo in corso, cui Balsam ha dedicato spazio nello scorso numero.

Ora informiamo i nostri lettori su alcuni gravi problemi che incombono sulla nuova amministrazione di Gaza, quelli della sanita' ambientale che gira intorno all'insoluto problema dell'acqua, mentre la testimonianza di un'amica che ha trascorso la vita tra i palestinesi in Libano richiama altre pagine drammatiche della storia di questo popolo. Nella sua narrazione entrano i nomi di due Kanafani, il grande scrittore e una donna della sua famiglia che ha lottato, come tante altre donne coraggiose che Adele Manzi ricorda: loro - dice Adele - hanno mantenuto vivo, in mezzo alle catastrofi, l'essenziale dello spirito nuovo che della massa di rifugiati ha fatto un popolo. Spirito nato in Libano tra il 1969 e il 1982. Cosi' un bel racconto di Ghassan Kanafani chiude questo numero, mentre raccomandiamo la lettura del libro-diario di un'altra donna italiana di oggi, che ha dedicato fatica e pensieri a questo popolo e ad altri popoli tormentati della nostra epoca che non sa disfarsi della guerra.

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SPERANZE NEL BUIO

(n.15-16, dicembre 1994)

 

Il quarto anno di Balsam si chiude in un'atmosfera di grande incertezza per il popolo palestinese. Certo, l'Italia ha rinnovato a fine ottobre, con la visita del Ministro degli Esteri, grandi promesse di sostegno e cooperazione, e certo qualche beneficio potra' uscire da tutto cio' per questo popolo tormentato, ma persiste la sensazione che le sue prospettive di avvicinamento a una vita meno insicura vadano navigando in un mare di promesse, tanto largamente elargite e pubblicizzate quanto avaramente mantenute.

Sono molti i problemi insoluti di questa fase di transizione verso un'autonomia dai contorni indefiniti, a sua volta destinata nelle speranze ad essere la transizione verso una sospirata indipendenza effettiva. C'e' da temere che sia ormai finito il lungo momento di sollievo per la fine dell'eterno coprifuoco a Gaza, la riconquista della liberta' di girare per la spiaggia, di vedere amici la sera, di imbiancare e riparare la propria officinetta, di costruirsi un pezzetto di casa senza sottostare alla umiliante trafila dei permessi: che sia finita cioe' quella che chiamavano la "luna di miele". Mentre scriviamo chiudendo questo numero, Gaza sta chiusa in una morsa ferrea di blocco dei transiti, dopo l'ultimo e piu' devastante attentato suicida di Hamas contro civili nella capitale israeliana; a sua volta questo ha fatto seguito a una serie di scontri con varie vittime palestinesi.

Chi leggera' le pagine tratte dalla relazione del PHR, l'associazione dei medici israelo-palestinesi per i diritti umani) si potra' rendere conto di quanti problemi porta con se' il blocco , che e' stato reso solo piu' serrato dopo la strage di Tel Aviv; in effetti il blocco esiste da un anno e mezzo e viene applicato con maggior o minore rigidita' a beneplacito di coloro che da occupanti si sono trasformati in forza di accerchiamento permanente.

Con un' economia che e' ancora ben lungi dal liberarsi dai vincoli delle ordinanze militari, e tuttora soffre di dipendenza e asfissia come effetto della lunga occupazione; con la frustrazione generata dall'attesa di aiuti dall'estero che sembrano arrivare col contagocce, non c'e' da meravigliarsi se le preoccupazioni sono assai gravi. Le interviste che pubblichiamo differiscono tra di loro, per i diversi ruoli e il diverso orientamento dei sanitari palestinesi che le hanno concesse, e sono ambedue datate, in una fase nella quale pochi mesi significano molto. Una e'piu' marcata da speranze o addirittura certezze di un futuro migliore non troppo lontano, l'altra piu' preoccupata: ambedue angosciose, se confrontate con i piu' recenti sviluppi dell'autunno, con i fatti di sangue e le risposte repressive. Queste ultime non sembrano diverse da quelle di sempre, se non nel senso che alla repressione, piu' che a una opera di lucida prevenzione a tutto campo degli atti violenti, vengono chiamate le stesse forze di polizia palestinesi, in forza di un accordo ancora per molti versi nebuloso. E' difficile pensare a un futuro di pace nel mezzo di tutto questo buio. Balsam, che ha sempre cercato di disegnare profili palestinesi reali al di fuori delle etichette che di volta in volta vengono attaccate a queste persone vive, vede con spavento, una volta di piu', stendersi su di loro l'ombra dell'immagine del "terrorista" che si era allontanata nei periodi piu' vivi e proficui della sollevazione popolare. Che questa volta l'etichetta subisca una variante, quella del terrorista fondamentalista islamico, non impedira' facilmente, temiamo, che tutti i palestinesi ne rimangano contaminati, in questo volubile mondo di comunicazioni che volentieri diffonde i colori piu' foschi.

Quando il numero dell'estate era gia' chiuso, abbiamo avuto la notizia della morte di Tawfiq Zayyad, sindaco di Nazaret, vecchio amico di alcuni di noi, vecchio combattente, sul fronte politico e letterario, della causa palestinese. Cosi' per ricordarlo Balsam dedica varie pagine alle sue poesie; esse parlano di un'epoca passata, ma il loro tono di lutto e di battaglia non si puo' ancora leggere, purtroppo, col distacco riservato alle esperienze concluse.

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QUINTO ANNO

(n. 17, marzo 1995)

 

Balsam comincia un quinto anno di pubblicazioni: considerati i nostri poveri mezzi siamo insieme contenti e stupiti, meno contenti e, ahime' poco stupiti, del contesto mondiale e palestinese nel quale continuiamo a far uscire la nostra modestissima voce.

Il processo negoziale tra i palestinesi e Israele, in continua sofferenza gia’negli ultimi mesi del '94, tocca nel momento in cui scriviamo il suo momento piu’ critico, con una paralisi che appare a molti il segno di un fallimento mentre, in altri, permane l'impressione che il processo stesso sia tanto insoddisfacente quanto inarrestabile. Ne parliamo in una lunga nota. Quel che avviene nella zona non e' tutto legato al processo negoziale: lo e' lo sviluppo del meccanismo di programmazione, con i suoi contenuti che non sarebbe giusto ne' ignorare ne' disprezzare, pur nella grande incertezza circa i possibili tempi della realizzazione dei progetti, per quanto urgenti essi appaiano. A un recente aggiornamento di tale lavoro e' dedicata la rubrica sulla sanita' palestinese, e ai numerosi materiali di programmazione una bibliografia aggiornata.

Purtroppo - mentre la programmazione rende evidenti i bisogni - avviene invece un rallentamento dei progetti sociali e sanitari di molte ONG, che hanno avuto un grande ruolo vicariante rispetto alle negligenze delle autorita' di occupazione, ed ora soffrono di limitazioni del finanziamento proprio nel delicato periodo di transizione. Finanziamenti internazionali alle ONG sono stati fermati o rallentati, e i relativi fondi sembrano essere stati, in gran parte e a lungo, dirottati sulle esigenze di "sicurezza", cioe' sul finanziamento delle forze autonome di polizia palestinese, sotto la pressione israeliana e l'effetto degli attentati sulla pubblica opinione, mentre altri finanziamenti internazionali promessi restavano paralizzati. Forse non dappertutto, certamente alcuni progetti sono andati avanti. Ma il disagio e' grande, come grande e' la sofferenza prodotta dal blocco dei territori. La separazione di tanta forza-lavoro palestinese da un mercato dove certo non aveva le condizioni ideali per esplicarsi, ha avuto effetti assai gravi sulle condizioni di vita nei territori occupati; male, ma comunque aiutava la popolazione a vivere.

Piu' che legata al processo negoziale, va vista come effetto di lungo periodo del sussulto prodotto dall'intifada palestinese l'indubbia avanzata della coscienza di se'delle donne palestinesi, cui il numero di marzo 1995 e' giusto che renda omaggio: di qui l'intervista ad una amica molto attiva, una nota sulla ricerca svolta dall'associazione AIDOS e la recensione di uno studio sulle donne "in carriera" palestinesi.

Insieme procedono dibattiti, ansie e produzione letteraria. Giabra Ibrahim Giabra, scrittore e poeta palestinese recentemente scomparso, parla della sua infanzia in alcune limpide pagine, che anticipano un suo romanzo autobiografico di prossima pubblicazione in Italia.

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IL PESO DEI NUMERI

(n.18, giugno 1995)

 

L'andamento demografico in Palestina e' un punto caldo del conflitto israelo-palestinese. Israele ha sempre guardato con preoccupazione la dinamica piu' elevata di crescita dei palestinesi rispetto alla popolazione ebraica insediata, sia all'interno dello Stato del 1948, sia in Gerusalemme e nei erritori occupati nel 1967. La preoccupazione di un "sorpasso" dell'insieme della popolazione arabo-palestinese rispetto a quella ebraica ha dominato la discussione, sia nell'area sionista piu' estremista, che percio' meditava la cacciata dei palestinesi dalle aree occupate da annettere, sia nei gruppi sionisti laburisti, che elaboravano, fin dagli anni '70, col "piano Allon", ipotesi di concentrazione della popolazione palestinese in aree "autonome", separate e racchiuse all'interno di uno Stato d'Israele ampliato a buona parte della Cisgiordania. Le aree autonome, non annesse, avrebbero di fatto costituito un impedimento al temuto sorpasso che avrebbe consegnato lo Stato ebraico a una perilosa maggioranza numerica di votanti arabi, quando, e prima o dopo sarebbe inevitabilmente avvenuto in seguito ad una annessione, ai palestinesi si fossero dovuti estendere i diritti civili negati durante l'occupazione. Queste preoccupazioni erano esplicite nel lavoro di Meron Benvenisti concluso poco prima dell'intifada. In esso erano esposte tesi e proposte di pacificazione che i palestinesi avrebbero fatto bene ad accettare nel nome del realismo, con un passaggio attraverso un periodo di autonomia amministrativa transitoria. Poi venne l'intifada con le sue speranze, poi la conferenza di Madrid con ulteriori speranze, poi Oslo. Ora, dopo Oslo, molti hanno notato che vari aspetti del comportamento d'Israele muovono con insistenza verso modelli somiglianti al percorso laburista di allora, non ultime le espropriazioni nel territorio di Gerusalemme Est, il rifiuto di ritirare i coloni, la costruzione di reti stradali e infrastrutture per le colonie ebraiche in Cisgiordania.

Dalla preoccupazione demografica oltre che dalla ideologia della patria ebraica e' derivata la massiccia campagna per l'accoglimento degli ebrei dai Paesi dell'Est europeo durante e dopo la crisi dell'URSS.

Da parte palestinese la preoccupazione di "tenere" sulla loro terra e' stata a lungo associata alla tradizionale tendenza della famiglia araba a generare molti figli, in un intreccio di motivazioni culturali e patriottiche opposte al controllo demografico.

Cosi' si svolge una "battaglia demografica" associata al conflitto, tra due popolazioni ambedue gia' troppo dense, decise a sussistere entrambe su un territorio in parte desertico e comunque impoverito di risorse fondamentali come l'acqua. E', questo, uno degli elementi di tragica irrazionalita' del presente conflitto e a sua volta fattore di avvitamento. A dati e commenti sulla demografia e' dedicata la prima parte di questo numero, che offre poi un'intervista a Samir Al Qaryouti, un giornalista palestinese che vive in Italia, sulla situazione in cui l'OLP si e’ mossa nella trattativa segreta in Norvegia e, nelle ultime settimane, l'Autorita’nazionale ha affrontato la discussione con gli israeliani a proposito della "seconda tappa" degli accordi - quella che dovrebbe vedere il ridispiegameno delle truppe d'occupazione in Cisgiordania, l'elezione del Consiglio per l'autogoverno palestinese e il trasferimento a quest'ultimo dei poteri del governo militare - per terminare con una recensione di libri d'attualita’ e con un racconto di Ghassan Kanafani

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DEMOCRAZIA IN CASTIGO

(n.19-20, dicembre 1995)

Se eventi inattesi e imprevedibili non saranno intervenuti a sconvolgere oltre misura la scena israelo-palestinese, quando questo numero di Balsam sara’nelle mani dei lettori Yasser Arafat sara’ stato eletto con una consistente maggioranza presidente di un Consiglio dell'Autonomia palestinese (legislativo ed esecutivo) sui cui ottantotto seggi egli stesso e i suoi piu’ stretti collaboratori nella leadership di Al Fatah avranno pieno controllo. La previsione appare scontata: Arafat non ha avuto competitori di qualche peso e negli ultimi mesi e settimane il suo movimento ha potuto consolidare una struttura di potere in grado di concedere e di negare, di promuovere e di intimidire, oltre che di assicurarsi il sostegno esclusivo della radio e della Tv. Non e’difficile immaginare come questo monopolio operi nella situazione di miseria e di disillusione che prevale nei territori dopo la fine dell'intifada.

Di piu’: come il capo degli osservatori europei incaricati della supervisione, Karl Lidbom, ha denunciato il 1. gennaio, i termini stessi della campagna elettorale erano stati "arbitrariamente" dimezzati per condizionare l'attivita’ degli oppositori e degli indipendenti. A loro volta, osservatori dell'Istituto democratico nazionale, il "Centro Carter" e una delegazione norvegese avevano denunciato pressioni e arbitri.

Innegabilmente, tuttavia, il successo di Arafat riflette anche, in questa fase della vicenda palestinese, un consenso reale. Quel poco che, nella situazione creatasi con l'assassinio di Rabin, i successori di quest'ultimo si sono risolti a concedere senza ulteriori dilazioni ha avuto le parvenze di un evento storico spettacolare e, di conseguenza, un grande effetto psicologico. Per la prima volta dopo ventotto anni, l'odiata divisa dell'occupante, associata a una persecuzione senza fine, non e’ piu’ visibile nell'abitato delle principali citta’ cisgiordane. La gente ha visto la bandiera nazionale sventolare al posto di quella dell'oppressore, ha potuto cantare senza timore di sanzioni i propri canti patriottici, festeggiare capi che vestono una divisa amica e parlano lo stesso linguaggio, votare - anche questa e’ un'assoluta, coinvolgente novita’- per proprie istituzioni. A favore di Arafat e di al Fatah ha pesato anche, paradossalmente, il fatto che egli goddi un sostegno piu’ deciso di ieri in seno al gruppo dirigente di Israele; della forza, cioe’, che continua a detenere le carte decisive della partita e che, avendo bisogno di lui per continuare un gioco vincente, lo garantirebbe comunque contro oppositori temibili. Quanti, tra gli elettori, si attendono di piu’ dal “processo di pace” avviato ad Oslo, non potevano non esserne influenzati. Arafat capitalizzava, insomma, il fatto che il processo, cosi’ come e’ impostato, e’ la sola realta’sul terreno e che uomini e partiti d'opposizione non sono stati e non sono ancora in grado di definire una linea alternativa; ancor meno di costruire attorno ad essa l'unita’.

Se e’ cosi’, perche’ la strategia elettorale del leader e del suo partito sono apparse contrassegnate da quella marcata, inquietante tendenza allo "autoritarismo" che i meno corrivi tra i media dell'occidente hanno segnalato? Una tendenza che si e’ espressa in episodi significativi: dalla detenzione per nove ore, a scopo intimidatorio, del ben noto e stimato psichiatra di Gaza Eyad el Serraj, presidente della Commissione indipendente per i diritti civili, a quella del giornalista di Gerusalemme Maher el Alami, redattore capo di El Quds, reo di aver pubbicato in pagina interna, anziche’ in prima, il resoconto di un incontro tra Arafat e il patriarca greco-ortodosso, a quella di Bassam Eid, operatore del Centro israeliano per i diritti umani, nonche’ corrispondente di "Reporters senza frontiere", autore di un rapporto critico sulla gestione, da parte dell'Autorita’, del processo elettorale, alla minaccia di espulsione, adoperata per costringere i numerosi membri di Al Fatah che avevano preferito presentarsi come candidati indipendenti a rientrare nei ranghi. A quell'interrogativo, l'ex-sindaco di Nablus, Bassam Shaka, crudelemente mutilato nel giugno dell'80 da un attentato dinamitardo dei coloni e critico da sempre, senza riserve, del processo di Oslo, da’ una risposta netta: "Arafat non e’mai stato un democratico e, anche se il mondo esterno fa finta di crederlo per avere la pace, non e’ ora che si convertira’". Se ne possono dare altre, piu’ direttamente collegate all'attualita’ e alle prospettive. Si puo’ ravvisare, per esempio, in quei comportamenti, la prova che il leader stesso e’ consapevole dell'instabilita’ di un consenso fondato sulla divisione della nazione e del rischio che l'esito del negoziato con Israele sui cruciali problemi tuttora in sospeso lo travolga. Una ragione di piu’, dice Haydar Abd el-Shafi nell'intervista che pubblichiamo in questo numero, per non condividere l'entusiasmo fittizio delle giornate di dicembre e l'illusione che Israele sia disponibile a una pace tra eguali. Attraverso una lunga, amara riflessione, che dovrebbe coinvolgere ogni uomo di buona volonta’, anche fuori delle incerte frontiere di uno Stato palestinese che e’ ancora da conquistare – poiche’ dell'aiuto e della solidarieta’ degli uomini di buona volonta’, ora piu’ che mai il popolo palestinese ha bisogno - il vecchio medico di Gaza e’ giunto alla conclusione che la costruzione di un movimento nazionale debba ripartire da zero, con l'avvio di un dialogo senza esclusioni, ponendo l'accento "sulla pratica della democrazia, sulla promozione degli ideali di disciplina, probita’, onesta’, impegno, rispetto per gli altri", che questo sia 'unico modo di mobilitare il popolo per uscire dal vicolo cieco e arrivare, insieme, all'autodecisione e alla pace. (m.m.)

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UN ARRIVEDERCI E UN IMPEGNO

(n.21, marzo 1996)

Con dispiacere la redazione di Balsam ha deciso di sospenderne, si spera temporaneamente, la pubblicazione. Con dispiacere perche' di quando in quando arriva un segnale di apprezzamento oppure una nuova richiesta, che con questa decisione non potra' essere soddisfatta. Chiediamo comunque ai nuovi amici che hanno mandato una somma per l'anno in corso, di segnalarci se preferiscono la restituzione della somma, oppure ricevere numeri arretrati o una copia della videocassetta "Palestina Negata", anch'essa documento del passato. Passato? il nostro video tentava di descrivere la temperie dell'intifada, ma non tanto le note immagini dell'impari scontro tra fucili e pietre, quanto aspetti della quotidianita' della quale l'intifada si alimentava. Alcune di queste immagini sono cambiate, altre meno, dopo l'accordo di Oslo.

E' stato bene, e'stato male, era l'unico percorso possibile: come possiamo saperlo ora? Non e' tempo di elaborare i se, del resto nella storia non c'e' mai spazio per i se. A noi rimane un gran dubbio, che una grande esperienza trasgressiva rispetto ai modi consueti dello scontro tra popoli non abbia avuto un finale degno della sua forza e originalita'. Poteva essere ingenua l'attesa che l'intifada ricevesse un bel premio, come si usa alla fine di un torneo: eppure Madrid aveva dato a questa speranza qualche fondamento. Ma n Palestina non si e' giocato un torneo, i rapporti di forza reali hanno prevalso. Cosi' invece dell'autodeterminazione e di un impegno per la restituzione della terra colonizzata, c'e'stata una bella cerimonia su prati verdi e un premio piu' promesso che consegnato. Si sono dette e scritte parole ambigue - e come molti temevano ha ricominciato a scorrere il sangue, degli uni e degli altri, secondo un noto copione che cambia solo titolo e teatro.

Pure crediamo che, come tutte le autentiche esperienze trasgressive, anche l'intifada palestinese abbia sparso i suoi semi. Qualcuno di noi forse vivra' abbastanza a lungo per vederli spuntare, se mai saranno visibili e se non andranno incontro a una oscura germinazione solo nel profondo delle coscienze, degli uni e degli altri. Anche questo puo' essere un esito importante e degno del fatto.

Ad ogni modo se sospendiamo l'uscita di Balsam non e' - non e' soltanto - per la nostra incapacita' attuale a vedere e aiutare il percorso di tale possibile germinazione. Ci accontenteremmo del ruolo di spettatori e descrittori attenti e affezionati. In effetti ciascuno di noi e' stato trascinato dalle vicende di vita a ruoli diversi che hanno assorbito il tempo che usavamo dedicare a Balsam. Tempo come i lettori sanno tutto volentieri donato, ma ora ridotto ai minimi termini.

Restiamo affezionati alla nostra creatura che ha giusto compiuto cinque anni; non abbandoniamo la testata. Prepareremo liste dei documenti che rimangono nell'archivio AMIP, e le faremo pervenire sia a coloro che ce le chiederanno, sia a sedi di studio e ricerca che potrebbero aver interesse ad accedere a questo materiale documentario. Esso non ha certo un carattere esaustivo, ma e' forse un po' diverso da altri tipi di raccolte, unendo documenti economici internazionali a documenti socio-sanitari e a qualche materiale prodotto dalle tappe politiche di questi anni. Numeri e indirizzi rimangono gli stessi. L'Associazione medica italo-palestinese, proprietaria della testata e del materiale documentario, cerchera' di rispondere alle eventuali domande che le pervenissero durante la sospensione delle pubblicazioni. Chissa' che uno di questi fili di comunicazione non ingravidi prima o dopo tanto da produrre un oggetto - sia esso un'altra cosa o una nuova serie di Balsam. I cui redattori salutano oggi i lettori italiani e - con particolare calore perche' non possano credere in un abbandono sul piano della stima e dell'affetto - gli amici palestinesi ai quali il loro sforzo e' stato dedicato. Non li salutano con un severo e pessimista addio, ne' con un impegnativo arrivederci. Giusto ciao, ciao Palestina che amiamo, ciao Palestina ancora troppo negata. Che tu non resti negata ancora a lungo.

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