PALESTINA - BALSAM

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1. SHARON CONTRO CIAPAJEFF

2.Une arme abandonnÈe

3. MANIFESTE: Une autre voix juive


1. SHARON CONTRO CIAPAJEFF

"Un’altra voce ebraica" è il titolo del documento sottoscritto in Francia da uno schieramento imponente di intellettuali e di esponenti di altre categorie sociali che si descrivono, semplicemente e significativamente, come "cittadini e cittadine della Repubblica" e, prima ancora, come esseri umani che "non possono più sopportare l’orrore divenuto quotidiano nel Medio oriente". Non è un testo come tanti altri, pur pregevoli e orientati in una direzione giusta, letti in questi anni . Coloro che l’ hanno scritto lo definiscono un "manifesto". Alle sue spalle c’è un altro testo, scritto da un singolo, il professor Pascal Lederer, un fisico del CNRS, intitolato "Un’arma abbandonata". I nostri lettori troveranno in questa pagina del sito, i due testi in francese dopo questa breve nota di commento.

Un’arma efficace, argomenta Lederer,ai fini tanto della pace nel Medio oriente quanto della pace civile in Francia, è stata abbandonata dai soli che sono in grado di servirsene; peggio, essi permettono che altri se ne servano per legittimare l’oppressione di un popolo, l’incatenamento senza fine di violenze e spoliazioni e, di riflesso, contro la società intera e i diritti della sua maggioranza.

Il fisico francese distingue quelle che potremmo definire tre aree all’interno dell’opinione pubblica ebraica. La prima è quella di "coloro che, marcati dalla loro storia, dal loro scontro personale con una delle ideologie più assassine, più criminali della storia, hanno tratto dalla loro esperienza personale e familiare, dal loro confronto con l’oppressione personale l’oppressione e il razzismo, la convinzione che solo gli ideali di democrazia e politica, di diritti umani universali e di diritti dei popoli, di legalità internazionale potevano garantire durevolmente l'umanità contro il ritorno della barbarie". Hanno reagito. Hanno respinto il fascismo, il nazionalismo, il colonialismo e le forme politiche di alienazione e di oppressione e molti hanno scelto di confinare, per queste stesse ragioni, la loro parte di identità ebraica nella sfera dell’intimo, del privato, del personale. Hanno deciso d essere in primo luogo dei cittadini e in modi diversi, ognuno con la sua biografia, si sono impegnati per l’avvenire del loro paese".

Stesse origini, scelte diverse, nella seconda area.Lederer non se ne sorprende. "Perché dovrebbe essere altrimenti? Appartenere a un gruppo umano il cui sterminio è stato organizzato, pianificato e scientificamente e metodicamente realizzato in una società altamente sviluppata appena una o due generazioni fa pone certi problemi di identità…In una società in cui le idee razziste, scioviniste, xenofobe sono lungi dall’essere eccezione, perché la maggior partie degli ebrei sarebbero sfuggiti a una visione alienante della loro esperienza? Certuni hanno scelto di fare del loro giudaismo la solidarietà principale della loro vita. Io non condivido la loro scelta, penso che il loro sia un errore pericoloso, ma chiunque non conosca la loro esperienza dovrebbe astenersi dallo scagliare la pietra contro…Comunque sia,per mille e mille ragioni, certi concittadini di origine ebraica hanno scelto di organizzarsi in istituzioni esplicitamente ebraiche".

Fermiamoci un momento, prima di arrivare alle conclusioni. Se si legge il testo che essi hanno sottoscritto e i riferimenti che loro stessi, spontaneamente, hanno offerto, possiamo dire che la prima area , con i limiti indicati, è maggioritaria. Quelli di loro che hanno vissuto, o i cui parenti hanno vissuto in prima persona la terribile esperienza dei Lager non avrebbero voluto in nessun caso cambiare la loro scelta antinazista. Auschwitz, Buchenwald, Majdanek, Sobibor sono nomi che evocano pagine di dolore ma anche di fierezza: se ebraica o francese non sapremmo dire . Chi tiene a ricordare che i suoi cari erano sul "convoglio numero uno" lo fa quasi rivendicando di essere stato nella prima trincea. Chi menziona i plotoni d’esecuzione al Vel d’Hiv e le celle della polizia pétainista ha in mente una certa topografia della Francia, incompatibile con la destra sciovinista e antisemita. Non la voleva allora, non la vuole oggi non è disposta a fraternizzare con essa domani. Chi scrive accanto al proprio nome e cognome la parola "cittadino" o "cittadino francese", o le qualifiche che riflettono il suo impegno di una vita fa un ragionamento diverso.

Parliamo qui della Francia e degli ebrei francesi. Ma si potrebbe aggiungere l’esempio dei combattenti del ghetto di Varsavia, i cui animatori sentono senza dubbio l’influenza culturale dello Stato ebraico fondato nel dopoguerra in Palestina ma si sentono polacchi, rifiutano di cambiare "patria" e sono sensibili alle ragioni dei palestinesi.

In Lederer, il discorso è anche più stimolante. Lo dice quel nome - Ciapajev - che egli indica come base della sua e-mail, adoperata nel ruolo di regista e organizzatore. Ciapajeff eroe russo, assurto a simbolo della lotta rivoluzionaria contro lo zar e contro i bianchi. Ciapajeff comandante bolscevico il cui stile e il cui modello civile si distaccano, nel bel film dei fratelli Vassiliev (I934) da ogni visione settaria e promettono nuovi valori umani, legati a una società più giusta. Ciapajev, un comunista che muore da eroe e davanti al quale anche il colonnello Borodin, il nemico, trova parole di ammirazione. Lederer ci sta forse dicendo che in un mondo capace di superare i settarismi, sia pure dopo mezzo secolo, nessuna revisione è preclusa?

Ecco un discorso che ci interessa e che interessa, crediamo, anche i cittadini ebrei della Francia democratica, minacciata nel suo patrimonio ideale da quella che i firmatari del "manifesto" francese chiamano, in una conclusione fuor dai denti, "le ingerenze criminogene, antidemocratiche della destra israeliana nella società francese": la rivendicazione, in una celebre intervista di Sharon, di una legittimità del nazismo (niente altro che l’abbreviazione della parola "nazionalismo") ,di una contiguità dei suoi programmi in Germania e in Israele e di un’utilità del terrorismo antisemita come strumento per accrescere l’immigrazione ebraica dall’Europa.

(e.p.)

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 ÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝ

Une arme abandonnÈe

par Pascal Lederer

 Pascal Lederer est physicien, directeur de recherche au CNRS

Contact: lederer@lps.u-psud.fr

 Cet article est paru fin fÈvrier dans L'HumanitÈ sous le titre ´ Une autre voix juive ? ª. Il expose les motivations qui ont abouti au lancement duÝ Manifeste ´Une autre voix juiveª.

 26 fÈvrier 2003

 Nous croisons tous les jours des citoyens, des dÈmocrates progressistes, des hommes, des femmes de bonne volontÈ, qui disposent d'une arme efficace pour la Paix: pour la paix au Proche-Orient, pour la paix civile en France. Pourtant ces citoyens ne se saisissent pas de cette arme qu'eux seuls pourraient manier. Pis, ils laissent d'autres s'en emparer, la tourner contre ce qui fait souvent la trame de leur vie, d'autres qui s'en servent pour lÈgitimer l'oppression d'un peuple, les enchaÓnements sans fin de violences et de spoliations. Dans le monde d'aujourd'hui, cet outil, qui leur appartient, mais qu'ils abandonnent, et dont d'autres se servent, au vu et au su de tous pour approfondir l'injustice, est en passe de rÈpandre dans toute la sociÈtÈ ses effets mortifËres.

 Par quel sortilËge ces concitoyens, en apparence semblables ý d'autres, laissent leurs adversaires retourner contre eux-mÍmes, contre leurs aspirations profondes, et en fin de compte contre la sociÈtÈ toute entiËre, une arme qu'il leur suffirait de prendre dans leurs mains pour donner une force sans prÈcÈdent ý leur engagement dÈmocratique?

 C'est qu'il s'agit de certains concitoyens d'origine juive, marquÈs par leur histoire, leur rencontre personnelle avec une des idÈologies les plus meurtriËres, les plus criminelles de l'histoire. Ils ont tirÈ de leur expÈrience, de l'expÈrience de leurs parents et de leurs ancÍtres, de leur confrontation avec l'oppression et le racisme, la conviction que seuls les idÈaux de dÈmocratie politique, de droits humains universels et de droits des peuples, de lÈgalitÈ internationale, pouvaient durablement garantir l'humanitÈ contre le retour de la barbarie. Ils ont rejetÈ le fascisme, le nationalisme, le colonialisme, et les formes politiques d'aliÈnation et d'oppression; et beaucoup ont choisi de confiner, pour ces raisons mÍme, leur part d'identitÈ juive dans la sphËre de l'intime, du privÈ, du personnel. Ils ont dÈcidÈ qu'ils Ètaient d'abord des citoyens, et, de faÁons diverses, chacun avec sa biographie, ils se sont impliquÈs dans le devenir de leur pays. Dans un parti, dans un syndicat, dans leur activitÈ professionnelle, que sais-je encore, ils n'ont pas ÈprouvÈ le besoin de rejoindre une organisation, qui, sous une forme ou une autre, se rÈfÈrerait ý leur judÈitÈ.

 D'autres, eux aussi d'origine juive, ont fait d'autres choix. Pourquoi en serait-il autrement? Appartenir ý un groupe humain dont l'extermination a ÈtÈ organisÈe, planifiÈe, et rÈalisÈe scientifiquement et mÈthodiquement dans une sociÈtÈ hautement dÈveloppÈe, il y a ý peine une ou deux gÈnÈrations, pose certains problËmes d'identitÈ... Dans une sociÈtÈ o˜ les idÈes racistes, chauvines, xÈnophobes sont loin d'Ítre l'exception, pourquoi la plupart des Juifs auraient-ils ÈchappÈ ý une vision aliÈnante de leur expÈrience? Certains ont choisi de faire de leur judÈitÈ la solidaritÈ principale de leur vie. Je ne partage pas leurs choix, je pense qu'ils se fourvoient dangereusement, mais quiconque ne connaÓt pas leur expÈrience devrait s'abstenir de leur jeter la pierre... Quoi qu'il en soit, pour mille et mille raisons, certains concitoyens d'origine juive ont choisi de s'organiser dans des institutions explicitement juives.

 Or, un piËge s'est mis en place ces derniers temps, piËge qui menace l'ensemble de la sociÈtÈ, et, particuliËrement, les Juifs: la majoritÈ de ces institutions, en tous cas celles qui prÈtendent reprÈsenter l'ensemble des Juifs, a emboÓtÈ le pas au gouvernement d'IsraÎl. Celui-ci, suivant sa propagande constante depuis la crÈation d'IsraÎl, et avec l'appui de forces politiques complices dans le monde, a convaincu la vaste majoritÈ des habitants de la planËte, juifs ou non, qu'il reprÈsente ý lui seul le judaÔsme. Or, il exerce ´au nom des juifsª une politique d'oppression et de nÈgation des droits du peuple Palestinien. Certes, une partie, sans doute non nÈgligeable, des Juifs franÁais partage ces orientations; je pense qu'ils se trompent gravement. Du moins disposent-ils d'organisations qui s'expriment en leur nom. Mais les autres? En particulier tous ceux pour qui l'hÈritage juif n'est pas vÈcu comme une part prÈpondÈrante de leur identitÈ? Ils ont beau porter au trÈfonds d'eux-mÍmes la marque de leur judÈitÈ, souvent d'ailleurs prise en compte dans leur entourage sans mÍme qu'ils le sachent, ils se refusent ý une expression collective, o˜ ils assumeraient publiquement cette part, pensÈe comme intime, de leur histoire... Et c'est ainsi que malgrÈ eux, laissant usurper en silence leur histoire et leur mÈmoire, ils se voient enrÙlÈs dans une oppression qu'ils croient combattre comme individus, mais ý laquelle leur voix confisquÈe apporte leur consentement involontaire... MalgrÈ eux, et bientÙt contre eux... Car l'indignation populaire devant le sort fait, ý tout un peuple pauvre et dÈsarmÈ, par l'arrogance, la force hypocrite et brutale, grossiËre ou raffinÈe, qualifiÈe universellement de ´juiveª, n'a pas fini de produire ses effets menaÁants dans la vie sociale. Ne peut-on craindre que le discours, les actes totalitaires des uns pourrait bien rÈpondre au discours, aux actes totalitaire des autres?

 Imaginons au contraire la force libÈratrice, transformatrice, de l'expression collective enfin assumÈe de dÈmocrates d'origine juive consentant, devant la montÈe des pÈrils, ý occuper, irremplaÁables, leur crÈneau? Dans le combat pour une paix juste, pour le respect des droits nationaux de tous les peuples du Proche-Orient, pour l'ÈgalitÈ des droits, ils arracheraient enfin ý l'Štat d'IsraÎl, mis jusqu'ici au service de la force armÈe, le drapeau de la vÈritable dÈfense du peuple israÈlien, celui de la coexistence pacifique et de la coopÈration avec le peuple palestinien. Ils lËveraient enfin au nom des dÈmocrates d'origine juive, le drapeau des droits universels d'hommes nÈs libres et Ègaux en droits.

 DÈmocrates, progressistes d'origine juive, il faut nous saisir de notre arme abandonnÈe! Il faut, pour nos convictions, nous exprimer publiquement en assumant notre part d'identitÈ juive.

Pascal Lederer

10 avril 2003ÝÝ

© SolidaritÈ-Palestine - E-mail : webmaster@solidarite-palestine.org

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MANIFESTE

Une autre voix juive

Ce Manifeste est paru — en publicité payante — dans "Le Monde" daté du 6/7 avril puis, sans frais, dans "L'Humanité" du 7 avril 2003.

Lire également " Une arme abandonnée ", dans lequel l'auteur, Pascal Lederer, expose les motivations qui sont à l'origine du présent Manifeste.

Le site web du Forum " Une autre voix juive " est ouvert :

http://www.uneautrevoixjuive.com

Parce que nous ne pouvons pas supporter l'horreur devenue quotidienne au Proche-Orient,

Parce que quelques institutions et quelques hommes publics monopolisent abusivement l'expression des Français juifs,

Parce que nous rassemble une certaine idée de l'humanité,

Parce que, devant les répercussions en France du conflit du Proche-Orient, la résurgence de l'extrême droite, et la recrudescence d'actes antisémites, nous sommes amenés à revendiquer publiquement la part juive de notre identité personnelle,

Nous avons décidé de nous exprimer collectivement.

Citoyennes et citoyens de la République française, nos conceptions philosophiques, nos opinions politiques, nos références culturelles, nos rapports à la religion sont divers.

Descendant-e-s de longues lignées d'hommes et de femmes persécutés, méprisés, bannis, pourchassés depuis des siècles, nous luttons contre toute forme de persécution, d'oppression, comme nombre de nos parents l'ont fait avant nous.

Nous sommes filles et fils de cette République française, qui, dès son origine, a accordé la citoyenneté aux Juifs. Nous nous réclamons de ses valeurs.. La position de chacune et chacun d'entre nous face à l'héritage juif est diverse, mais le souvenir de l'extermination, la conviction qu'elle n'appartient à personne, qu'elle ne peut justifier aucun nationalisme, nous font un devoir de parler comme nous le faisons.

Certains d'entre nous ont pour Israël un attachement particulier que d'autres ne partagent pas, d'autres récusent le principe même du projet sioniste.

Nous considérons cependant tous que, né dans les conditions historiques laissées par les ruines du fascisme hitlérien, le peuple israélien a droit à un État aux frontières sûres et reconnues, dans le cadre des résolutions de l'ONU.

Mais nous n'autorisons ni l'État d'Israël, ni les institutions qui, en France, prétendent représenter les citoyens juifs, à parler en leur nom. Nous nous révoltons contre l'oppression coloniale dont souffrent la Palestine et les Palestiniens du fait du gouvernement d'Israël. Nous ne croyons pas que l'on combatte l'antisémitisme en laissant les Israéliens devenir un peuple d'oppresseurs. Il n'y a paix et avenir pour le peuple israélien que dans une coexistence pacifique et loyale avec le peuple palestinien. Nous soutenons tous ceux qui, en Israël, en Palestine et ailleurs, œuvrent courageusement pour la paix, pour la justice, pour l'égalité des droits, contre la politique criminelle de M. Sharon.

Nous constatons la montée en puissance de l'idéologie de l'extrême-droite israélienne au sein de forces politiques françaises. De nombreux démocrates (parmi lesquels de nombreux juifs), sont victimes d'intimidations: ils se voient accusés d'antisémitisme, au seul motif qu'ils combattent la politique menée par le gouvernement israélien ou réclament le respect par Israël des résolutions de l'ONU, des engagements pris à Oslo.

Que cherche-t-on en pratiquant ces amalgames monstrueux? Que cherche-t-on en multipliant les agressions verbales et les menaces physiques contre ceux, Juifs ou non, qui exercent leur responsabilité de citoyens en condamnant publiquement la politique israélienne actuelle? Que cherche-t-on en donnant au judaïsme confisqué un visage repoussant?

Nous refusons le jeu de l'actuel gouvernement israélien qui, pour renforcer son potentiel d'expansion, cherche à accroître l'immigration en Israël, et s'accommode des résurgences de l'antisémitisme.

L'antisémitisme d'aujourd'hui a certes ajouté une dimension à l'abject en qualifiant les atrocités nazies de "détail de l'histoire". Mais certains d'entre nous pensent qu'à l'inverse, soutenir qu'il n'y a d'autre crime contre l'humanité que l'extermination des Juifs par les nazis, c'est nourrir les sources même du négationisme; nous ne réclamons aucun privilège pour les Juifs en tant que victimes: nous nous dressons contre toute oppression. La politique israélienne actuelle n'a certes pas pour but l'anéantissement physique du peuple palestinien, mais plusieurs d'entre nous se demandent si, prise dans son ensemble, ses inspirateurs et ses exécutants ne relèveraient pas de la Cour Pénale Internationale.

Quant aux attentats-suicide organisés par les groupes terroristes palestiniens contre les civils israéliens, ce ne sont pas seulement des actes monstrueux; ceux qui les trament, envoyant à la mort de jeunes êtres en spéculant sur leur désespoir, sont à nos yeux, comme à ceux de nombreux dirigeants palestiniens, des ennemis — et non des alliés dévoyés — du rétablissement des droits fondamentaux du peuple palestinien. Nous condamnons les forces palestiniennes opposées à l'existence d'Israël.

De même, notre solidarité avec le peuple palestinien ne nous entraînera jamais à la moindre collusion avec ceux dont la sollicitude pour la Palestine n'a comme ressort que la haine des Juifs.

Il reste que :

– le peuple palestinien a des droits imprescriptibles sur une terre occupée aujourd'hui par les forces armées du plus surarmé des États du Proche-Orient.

– le peuple palestinien a le droit imprescriptible d'y fonder, dans les conditions garanties par la Charte des Nations Unies, l'État de son choix.

– le peuple palestinien a des droits imprescriptibles sur la ville de Jérusalem, capitale à partager.

– le peuple palestinien a le droit de voir ses exilés et ses réfugiés choisir, dans des conditions à négocier, entre un retour viable sur la terre de leurs ancêtres et une juste indemnisation.

Tout ce qui s'oppose à la réalisation de ces droits nourrit la guerre sans fin, les atrocités, la haine.

Parce que le siècle a connu l'effondrement de systèmes violemment oppressifs, nous croyons possible et nécessaire l'établissement d'une paix juste et durable au Proche-Orient.

Devant la montée des menaces intégristes, chauvines, communautaristes, racistes et antisémites, devant les ingérences criminogènes, antidémocratiques, de la droite israélienne dans la société française, nous voulons faire entendre, obstinément, la voix de Français juifs, ou d'origine juive, qui soutiennent les idéaux de démocratie, de liberté, d'universalité des droits humains et des droits des peuples.

Pour signer : TCHAPAIEV@operamail.com

Premiers signataires :

 

Michel Adida, médecin

Armand Ajzenberg, parents morts à Auschwitz

Jacqueline Ajzenberg

Alain Alcan, citoyen français juif

Elisabeth Alexandre, journaliste

Geneviève Aller, citoyenne

Diana Arenzon, psychanalyste

Pierre Attal, prof. émérite univ. Paris X

Danielle Bailly, prof. émérite univ. Paris VII

Francis Bailly, physicien CNRS

Hélène Ben Attar, fille de déporté à Auschwitz, maquettiste

Corinne Bendayan, enseignante, petite-fille de déporté(e)s morts à Auschwitz

Rivka Bercovici, attachée d'administration

Yves Berrebi, prof. de S.E.S.

Marc-Henri Boisse, comédien

Eric Benayoun

Georges Bensaïd, retraité, MC univ. Paris 1

Thierry Berkover, prof. agrégé, univ. Marne la Vallée, fils de déporté à Auschwitz

Jacques Bloc, retraité

Jean-Pierre Bloc, monteur film

François Bloch, citoyen français

Bernard Bloch, comédien, metteur en scène, traducteur, membre du bureau national du Syndéac (Syndicat des directeurs d'établissements d'action culturelle)

Jean Brafman, cadre de santé publique, conseiller régional Ile de france

Sophie Bram Ouali, fille de déporté assassiné à Auschwitz

Bernard Bornstein, médecin

Olivier Brunschwig, psychiatre psychanalyste

Jean Caballero, dir. gén. services de la ville d'Echirolles, Isère

Daniel Cattan, prof. émérite univ. Paris 12

Catherine Chif, prof.

Gilles Cohen-Tannoudji, physicien

Catherine Combase, conseillère d'orientation-psychologue

Nathalie Combase, agrégée d'éduc. musicale, principale adjointe de collège, petite-fille de déportés à Maidenek et Auschwitz

Thierry Cote, biologiste

Jacques Coulardeau, ATER univ. Perpignan

Robert Créange

Véronique Delautier-Lévy

Christian Dacquin, Principal honoraire de collège

Joseph Danan, écrivain, MC univ. Paris III

Jean-Louis Dayan, économiste

Frédéric Desgranges, étudiant

Michèle Dolin, psychanalyste

Elise Dreyfus-Martayan, urbaniste

Michel Dreyfus, historien, dir. rech. CNRS

Betty Engel, assistante sociale retraitée

Maurice Engel, ingénieur informaticien, retraité

Jeanne Fagnani-Lichtenstein, dir. rech. CNRS

Lisette Falk, journaliste

Nicole Fayman, fille de déporté résistant

Patrick Feldstein, travailleur social, prés.association Shalom Paix Salam, Caen

Ami Flammer, violoniste

Ilan Flammer, cinéaste

Elein Fleiss, rédactrice en chef de Purple et Hélène

Raymond Galinski, prof anesthésie-réa, retraité, fils de déporté mort à Auschwitz

Rachel Garbaz

Jacqueline Gaska-Waksberg, retraitée, fille de déporté mort à Kaunas, iLituanie

Dora Gerschenfeld, dir. Rech. CNRS

H. M. Gerschenfeld, dir. Rech. CNRS

Jean Gersin, correcteur, l'Equipe

Danièle Gervais-Marx, journaliste

Jean Giard, ancien député de l'Isère

Serge Gilberg, médecin, prof. associé Paris V

Lise Golomb, documentaliste

Ruth Goodwin, photographe

Guy Gou revitch, ingénieur

Pierre Alain Gourion, avocat

Jean-Guy Greilsamer

Michel Grimberg, MC études germaniques, univ. Amiens

Jérôme Guedj, conseiller général de Massy, vice-président du conseil général de l'essonne

Yann Guillaud, socio-économiste

Jacques Gutwirth, dir. rech. émérite CNRS

Florence Haguenauer, journaliste

Yves Haguenauer

Bernard Herszberg, prof. émérite univ. Paris XII

Simone Herszberg, retraitée

Catherine Herszberg, journaliste

Tsvi Hercberg, inspecteur Théâtre ministère de la culture

Jérome Hesse, écrivain

Antoine Hirsch, retraité

Jean-Pierre Hirsch, prof. d'histoire contemporaine, univ. Lille III

Fabienne Hirsch, retraitée

Maurice Hirsch, retraité

David Izraelewicz, retraité

Mathilde Jaïs, jeune citoyenne

Vincent Jezewski, MC honoraire univ. Lyon II

André Kahane, physicien

Monique Kantorow prof. honoraire Lycée Condorcet

Michel Kaplan, prof. univ. histoire bizantine, Paris I

Monique Karlikow-Shapiro, retraitée

Nancy Karlikow, enseignante

Serge Karsenty, sociologue, chargé de rech. CNRS

Alfred (zadok) Kaufmann, enseignant retraité

Pierre Khalfa, syndicaliste

Annette Klein, retraitée

Maurice Klein, retraité

Charles Korman, avocat à Paris

Serge Krief, ingénieur en retraite

Stéphane Krief, chercheur industrie pharma.

Nicole Krief

Charles Kurcbard, retraité

Dominique Lagadec, urbaniste

Daniel Lehmann, mathématicien, petit-fils et neveu de déportés mort à Auschwitz

Michèle Lessmann-Portejoie

Ellen Lévy, MC univ. Toulouse II

François Lévy, doctorant en littérature, univ. Paris III

Pierre Léon Nephtali Lévy, ancien résistant, puis FFL, croix de guerre avec citation

Georges Lévy, retraité

Maurice Lévy, prof. émérite des Univ.

Daniel Levyne, enseignant

Michel Liberman, ing. rech. honor. CNRS

Janine Liberman, retraitée, petite-fille de déportés morts à Auschwitz

Françoise Lion, psychanalyste

Paul Lowy, syndicaliste, géographe, Dr ès Lettres, prof certifié hors classe, ancien candidat aux élections européennes

Henri Malberg, ancien prés. Groupe communiste au Conseil de Paris

Jean-François Marx, retraité

Bernard Marx, économiste

Denis Marx, postier

J.P. Marx, instituteur

Juliette Minces

Raoul Moati, Paris X, Dept Philo de la logique

Philippe Molina, citoyen retraité, petit-fils de déporté mort à Buchenwald

Robi Morder, juriste et universitaire (UVSQ)

David Nathan, ancien déporté

Gilles Nejman

Luc Nemeth, docteur en histoire

Jean-Pierre Netter

Sylvie Niderman, journaliste

Laurent Niederman, mathématicien, MC Paris XI, petit-fils de Gaston Niederman raflé au Vel d'Hiv, mort à Auschwitz, neveu d'Emile Niederman, raflé par la milice de Pétain, mort à Buchenwald après la marche d'évacuation d'Auschwitz

Lucienne Nayet, fille de déporté mort à Auschwitz

Jean-Pierre Netter

Janine Olff, citoyen retraité

Perrine Olff-Rastegar, citoyenne

Martine Olff-Sommer, citoyenne

Jean-Claude Pecker, membre de l'Institut, père et mère disparus dans les camps

Mikhael Perelman, étudiant

Jérôme Pichon, citoyen

Jean-Jacques Pik, Médecine Interne, Chef de Service de Médecine

Françoise Pik-Duchenne, prof. agrégée de russe

Pierre Pieprzownik, syndicaliste FSU

Héloïse Plane, enseignante

Sylvie Plane, prof. univ.

Carole Polack, étudiante

Jean-Claude Poulain, citoyen, fils de déporté (convoi n°1) mort à Auschwitz

Abrami Prawerman

Lilya Rajchman, prof. retraitée, fille de déporté mort à Auschwitz

Evelyne Reberg, membre de l'UJFP

Thierry Reboud, écrivain, citoyen

Anita Rind, militante de la Ligue des Droits de l'Homme

Paul Robel, biologiste, dir. rech. Emérite CNRS

Gérard Roizès, dir. rech. CNRS

Martine Rosa-Haguenauer

André Rossel-Kirschen, historien, ancien résistant

Françoise Rozelaar-Vigier, Avocat à la Cour de Paris

Françoise Ruzé, enseignante retraitée

Jean Safrane

Dominique Salomon, chef d'entreprise, fille de déportés raflés au Vel d'Hiv, exterminés à Auschwitz

Elisabeth Salomon, fonctionnaire, fille de déportés raflés au Vel d'Hiv, exterminés à Auschwitz

Monique Salzman, membre honoraire de la Société Française de Psychologie

Didier Sandman, voyagiste, libraire

Odile Sanson Friedmann

Irène Sapir, rescapée du Vel d'Hiv, fille de déportée à Auschwitz

Léon Sapir, retraité du mouvement coopératif

Jean-Gérard Sender, économiste de l'énergie

Michel Shahshahani, journalste, petit-fils et petit-neveu de déportés

Jean-Marc Schick, ingénieur du son

Carlo Schmidt, ingénieur retraité

Jacqueline Schmidt, cadre de banque retraitée

Danielle Schulmann, bibliothécaire

Didier Schulmann, conservateur au MNAM

Bernard Sesolis, ingénieur

Maryse Sesolis, prof.

Claude Sibony

Jacques Sibony, retraité

Paul Souffrin, maire honoraire de Thionville, ancien sénateur de Moselle, fils de déporté mort à Auschwitz

Claude Spielmann, psychanalyste

Lucien Sztarksztejn, journaliste préretraité, fils de déporté mort à Auschwitz

Nicolas Stern

Jacques Sztern, ingénieur de rech. CNRS, fils de déporté mort à Auschwitz

Michel Sztulzaft, consultant formateur, fils et frère de déportés à Auschwitz, plus jeune rescapé de la rafle du Vel d'Hiv

Jean-Pierre Tabet

Gil Teitler, fils de déportée

Arlette Téphany

Gabriel Timsit, ancien détenu du camp de Lodi (1956-1960)

Pierre Toubiana, médecin de santé publique

Patricia Touraine, enseignante spécialisée

Didier Tzwangue, consultant interne en organisation

Martine Ubersfeld-Gilain, prof.

Bernard Ullmann, journaliste

Liane Valere, petite fille de déportés morts à Sobibor

Marc Vanhove, prof. honoraire arts plastiques

Philippe Van Leeuw, cinéaste

Daniel Veron

Maya Vigier, citoyene, militante SICO

Michel Waksberg, retraité, adjoint au maire de Sarcelles, fils de déporté mort à Auschwitz

Antoinette Weil, prof. agrégée retraitée

Françoise Weil, conservateur de bibliothèque retraitée

Irmine Wilf, petite-fille de déportés

Albert Wilkowsky, fils de déportés non revenus, maire adjoint à Sarcelles

Jean Wolff, citoyen

Claude Zelty  

04 mai 2003

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