Introduzione di Anna Gigli

L'introduzione ad un seminario sulla presente situazione in Palestina ed Israele necessiterebbe di una ricostruzione storica del conflitto. Tuttavia questo, per una non storica come me, sarebbe un campo minato nel quale non voglio entrare. Gli e le speakers palestinesi ed israeliane/i che abbiamo invitato saranno in grado di approfondire questo o quell'aspetto e al contempo offrire un quadro piu' ampio della situazione. In questa mia introduzione ai lavori mi preme fornire alcuni spunti di riflessione e raccontare un po' come e' nata l'idea di far incontrare qui in Italia attiviste ed attivisti per la pace provenienti dalla Palestina e da Israele. Tuttavia una riflessione sul conflitto in atto tra Israele e Palestina non puo' non partire da alcuni crudi fatti. Il 28 settembre 2000 Ariel Sharon, leader del partito di destra Likud, inquisito anni addietro dalla magistratura israeliana per il massacro in Libano nel campo profughi di Sabra e Chatila, nonche' eletto primo ministro israeliano nello scorso febbraio, compie la famosa "passeggiata" sulla spianata delle moschee, a Gerusalemme. Un atto provocatorio mirato a ribadire la supremazia israeliana su tutta la citta' di Gerusalemme; un messaggio inviato al leader palestinese Arafat, ma anche al mondo politico israeliano: Gerusalemme e' la capitale d'Israele e nessun accordo potra' assegnarne alcuna parte ai palestinesi. Questo gesto ha rappresentato la goccia fatale che ha innescato l'esplosione del malcontento che da tempo serpeggiava tra i palestinesi. Il malcontento nella popolazione comincio' a manifestarsi a seguito degli accordi di Oslo del 1993. Questi accordi erano divisi in due fasi: nella cosidetta fase ad interim, che doveva concludersi entro il maggio 1999, si prevedeva un graduale ritiro delle truppe di occupazione israeliana da parti progressivamente piu' consistenti di Cisgiordania e Gaza, a cui doveva far seguito un negoziato sullo status finale, che doveva riguardare le questioni piu' spinose: gli insediamenti, i rifugiati e Gerusalemme. Le scarse concessioni di territorio offerte da Israele durante gli accordi transitori (visibili nelle cartine riportate tra i materiali in distribuzione nelle cartelline), la costruzione di nuovi insediamenti e strade tangenziali (ad uso esclusivo dei coloni), assieme ad altri fattori politici interni, hanno comportato la caduta delle illusioni e la conseguente crescita dell'esasperazione da parte palestinese. Alla provocatoria passeggiata di Sharon i palestinesi reagiscono con proteste e manifestazioni. Il giorno successivo 6 palestinesi vengono uccisi dall'esercito israeliano a Gerusalemme. Nasce la II Intifada, una sollevazione popolare che, a distanza di 7 anni dall'inizio delle trattative di Oslo, vede riempire le strade della protesta palestinese. La reazione dell'esercito e del governo israeliano non si lascia attendere: ai morti si aggiungono rapidamente altri morti e feriti, di cui 13 nei primi giorni tra gli arabi d'Israele. Poi i primi morti israeliani, militari e coloni nei Territori Occupati, e poi altri morti palestinesi, ed ancora gli attentati in Israele ad opera degli integralisti islamici, in una escalation che ha portato nei primi 9 mesi ad oltre 500 morti e 14.000 feriti palestinesi e oltre 100 morti e centinaia di feriti israeliani. Di fronte a questa carneficina il mondo occidentale ha reagito da osservatore passivo: le istituzioni europee non hanno risposto agli accorati appelli rivolti dai palestinesi, affinche' fosse inviata una forza di protezione internazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite. I media, tranne rarissime eccezioni, hanno iniziato una campagna di disinformazione, di parte e denigratoria della popolazione palestinese. Alcuni esempi: -- ad Arafat viene addossata la responsabilita' del fallimento delle trattative di Sharm el Sheik; -- una sistematica volonta' di ignorare i fatti ed il contesto delle regole di diritto internazionale impedisce all'opinione pubblica di rendersi conto dello stravolgimento del processo di pace ad opera del governo israeliano; -- lo sviluppo aggressivo degli insediamenti non viene mai illustrato con accuratezza; eppure il dettaglio delle carte geografiche evidenzia la continua sottrazione di territorio palestinese e la politica di apartheid delle comunicazioni stradali. Per introdurre questo seminario occorre pero' fare ancora alcuni passi indietro. Nella primavera del 1999, durante la guerra della NATO contro la repubblica Federale di Jugoslavia, nasce il comitato "Scienziate e scienziati contro la guerra". Da quasi subito l'attivita' del comitato si articola attorno a varie tematiche, tutte legate da un unico filo conduttore: l'impegno a coniugare l'attivita' di ciascun/a componente nel campo delle scienze (matematiche, fisiche, naturali, sociali ed umane) con una posizione attivamente contraria alla guerra come metodo di gestione dei conflitti. Nel dicembre 2000, a pochi mesi dall'inizio della II Intifada, alcune scienziate e scienziati del comitato danno vita al gruppo di lavoro Palestina-Israele, con l'obiettivo di cercare contatti con scienziate/i palestinesi ed israeliane/i, per costruire insieme percorsi di confronto su temi attuali e controversi, quali il controllo delle risorse (dall'acqua alle fonti energetiche) in rapporto alla situazione del Medioriente; la ricostruzione storica, la memoria, il dibattito sulle responsabilita'; gli scenari economici e militari nell'area; le culture e i fondamentalismi. L'obiettivo e' praticare un lavoro di rete, condotto sia trasversalmente alle barriere che separano oggi le due parti in conflitto, che all'interno di ciascuna societa', in modo da dare sostegno a chi la' cerca di costruire nuove capacita' di convivenza. Parallelamente alla nascita del gruppo di lavoro Palestina-Israele viene lanciata un'altra importante (se pur trascurata dai media italiani) iniziativa, alla quale varie donne del gruppo partecipano: il progetto "Io, donna vado in Palestina", promosso e organizzato da "Donne in nero e non solo" e da "Donne Assopace". Il progetto nasce in risposta agli appelli lanciati dai comitati delle donne palestinesi al mondo perche' non resti in silenzio mentre in Palestina si muore. Le donne per la pace israeliane si uniscono all'appello e tra dicembre 2000 e marzo 2001 quasi 100 donne italiane partono in staffette settimanali per compiere un'incredibile esperienza di solidarieta': si incontrano con le associazioni di donne palestinesi ed israeliane, visitano i luoghi bombardati, gli ospedali, ecc. "Portiamo", come dice il comunicato di lancio dell'iniziativa, "i nostri occhi testimoni, i nostri corpi solidali nei luoghi in cui si violano i piu' elementari diritti umani". Dall'intreccio di queste esperienze - il comitato, il gruppo di lavoro, il viaggio in Palestina - nasce l'idea di questo seminario, al quale abbiamo invitato a partecipare autorevoli esponenti della societa' palestinese ed israeliana, donne e uomini impegnati da anni nella lotta per il raggiungimento di una pace giusta e sostenibile in Palestina ed Israele. Auspichiamo che questo seminario sia uno strumento di lavoro, getti le basi per la costruzione di una pratica attiva contro la guerra, basata sulla conoscenza dei fatti, l'approfondimento dei problemi e dei punti di vista, la proposta di nuove relazioni con e tra le parti in conflitto. Avremmo potuto dare vari tagli a questo progetto. Avremmo potuto analizzare le cause storiche che hanno dato origine al conflitto, cosi' come avremmo potuto affrontare aspetti cosiddetti strutturali (l'economia, il petrolio, il ruolo dell'imperialismo nord americano). Abbiamo scelto un approccio diverso, originale, che auspichiamo possa essere un piu' utile punto di partenza per l'approfondimento: abbiamo cercato infatti (e speriamo di riuscirci grazie alla collaborazione di tutte le persone invitate) di dare spessore al conflitto, di non appiattirlo sugli schemi della belligeranza, e vorremmo che da questi due giorni di lavoro emergessero le complessita' delle tensioni e della posta in gioco. Non aspiriamo ad una impostazione neutrale, non pensiamo che i torti e le ragioni si possano dividere in parti uguali. Pensiamo anzi che non potra' esserci una pace vera fino a che al popolo palestinese verra' negata la possibilita' di vivere nella propria terra da popolo libero e non occupato, fino a che quelle bombe ad orologeria chiamate insediamenti israeliani in Cisgiordania e Gaza non saranno disinnescate, fino a che Gerusalemme non sara' una citta' aperta, capitale condivisa di entrambi gli stati, quello israeliano e quello (che ancora non c'e') palestinese, ed infine, fino a che non si ristabilisce l'osservanza delle norme del diritto internazionale ed un pieno riconoscimento della dignita' del popolo palestinese . Ma a fianco di tutto cio' c'e' la necessita' di costruire un futuro di convivenza pacifica, del quale la totalita' degli abitanti dell'area devono beneficiare. In questa ottica la scelta dei due temi che approfondiremo nel corso dei due giorni - l'acqua e le condizioni di vita - non e' casuale. Le risorse ambientali: L'acqua, soprattutto in un'area semidesertica e popolata, quale e' il Medioriente, e' un bene essenziale, che deve essere gestito in modo accorto, lungimirante e soprattutto democraticamente condiviso tra le popolazioni dei paesi interessati. Non ci risulta che questo avvenga oggi in Palestina. Il territorio e' sottoposto a costante degrado, a causa di sempre nuove costruzioni: insediamenti e strade tangenziali (per i soli coloni israeliani) stanno infliggendo ferite irreparabili in quella terra. Di questo parleremo oggi con studiose e studiosi provenienti dalla Palestina, da Israele e dall'Europa. Le condizioni di vita: vivere sotto il fuoco, sotto la minaccia dei bombardamenti, vivere i soprusi quotidiani perpetrati da un esercito occupante, vivere l'umiliazione di chi ti tratta non come essere umano ma come bersaglio, di chi uccide o ferisce bambini e bambine inermi, o che lanciano sassi, vivere con il nemico in casa e' un brutto vivere. Ma anche vivere in una societa' militarizzata, nella quale sei sottoposto al lavaggio del cervello dalla piu' tenera eta', vivere nella costante minaccia di bombe e attentati, vivere in una societa' che non garantisce gli stessi diritti ad ebrei e non ebrei e' un brutto vivere. Non e' un elogio della simmetria e dell'equidistanza, ma una mera constatazione: il prezzo maggiore del conflitto e' collettivamente pagato da uomini e donne, bambini e bambine palestinesi, ma e' anche individualmente pagato da israeliani e soprattutto israeliane, poiche' un aumento dell' insicurezza, degli stupri e della violenza all'interno di una societa' e' un effetto sistematico del conflitto. Di tutto questo ne sentiremo parlare domani, dai nostri ospiti che vengono dalla Palestina e da Israele. Infine domani pomeriggio, dopo aver approfondito questi due temi, discuteremo in una tavola rotonda attorno alle idee, i progetti, le proposte provenienti da istituzioni, mondo della ricerca, ONG e associazioni, per far si' che assieme alle riflessioni si gettino le basi per avviare (o consolidare) concrete azioni finalizzate al raggiungimento della pace "giusta e sostenibile" in Palestina ed Israele. Per concludere vorrei accennare alle grandi difficolta' incontrate nella preparazione di questo seminario e alle reinvenzioni del programma cui siamo state/i costrette/i in continuazione, perche' le e i palestinesi non possono disporre della propria liberta' e decidere impegni, viaggi, rapporti. Questo seminario sarebbe dovuto durare tre giorni e prevedeva la presenza di docenti dell'universita' di Birzeit. Ma gli assurdi blocchi stradali a cui l'esercito israeliano sottopone la popolazione palestinese hanno fatto si' che le attivita' dell'universita' fossero di fatto interrotte per vari giorni, in periodi successivi. Cio' ha comportato notevoli ritardi nel calendario accademico e quindi le/i docenti da noi invitate/i non hanno voluto allontanarsi dall'universita' per partecipare al seminario, in quanto non hanno voluto aumentare il disagio dei loro studenti. Il nostro lavoro comunque non si esaurira' in questi due giorni e anzi deve servire a gettare le basi per ulteriori momenti di incontro e riflessione al quale ci auguriamo potra' partecipare chi questa volta non ha potuto esserci. Infine, alcuni doverosi ringraziamenti, a nome del Comitato Scientifico ed Organizzatore: Intanto alla facolta' di ingegneria, nella figura del preside, prof. Bucciarelli, che ci ha ospitato, e alla prof. Silvia Macchi, che si e' spesa con energia infinita per la riuscita del seminario. Poi ad alcune amiche ed amici che ci hanno aiutato in vari modi: Joan e Barbara che ci hanno aiutato nelle traduzioni, Vanni che ha fornito il supporto grafico, Gianna ed Annamaria che hanno gestito l'ufficio stampa, Luisa e Daniel, che ci hanno aiutato negli inviti, vari sponsor che ci hanno permesso di affrontare alcune spese. Ed ovviamente gli e le ospiti che hanno accettato, sia pure in un momento cosi' difficile, di uscire dai loro paesi e venire a portarci le loro testimonianze.