PALESTINA - BALSAM
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Lettere e notizie dalla Palestina

 

Sent: Monday, 22 April 2002 09:52

Subject:oggi a Nablus

Sono le 17 e sono appena rientrata da Nablus. Siamo partiti alle 5 di questa mattina, 12 ONG internazionali di aiuti umanitari (tra cui treitaliane, il CISS di Palermo, il GVC di Bologna e Movimondo di Roma) con tre camion di alimenti e medicinali. Un funzionario del consolato francese ci ha accompagnato garantendoci una parziale copertura diplomatica. Da ieri l'esercito israeliano era stato informato che avremmo tentato di far valere le convenzioni internazionali e di accedere alla zona di Nablus per soccorrere la popolazione civile. Con noi sono partiti anche molti giornalisti. Alle 8 siamo riusciti a superare il primo posto di blocco, appena fuori Gerusalemme. Lungo la strada per Nablus (quella che fanno i coloni ovviamente, di passare per i villaggi palestinesi neanche a parlarne perche' sono tutti sigillati) non si vede neanche una macchina, solo veicoli dell'esercito e autobus blindati dei coloni. Di palestinesi neanche l'ombra. Alle 10 siamo sotto Nablus. La trattativa per entrare e' estenuante. A renderla ancora piu' drammatica le urla dei coloni dell'insediamento vicino al posto di blocco che ci gridano "assassini". Una signora anziana, colona, si avvicina urlandoci di andare via. "Scusi ma lei dove e' nata?" "In Russia" "E i palestinesi di Nablus dove sono nati?" "Studiate lastoria, dovete studiare la storia, questa terra e' nostra, da sempre, ce l'ha data Dio" La signora e' stata allontanata dai soldati. Finalmente ci hanno dato l'autorizzazione ad entrare, pero' da soli, senza giornalisti. Ad esser sinceri non ci sembrava vero, davvero possiamo entrare? Prima solo i camion e due macchine, noi insistiamo chevogliamo andare tutti. Ci lasciano entrare tutti, tranne i giornalisti. L'ingresso a Nablus e' l'ingresso all'inferno. Le strade sono state divelte dai bulldozer e dai carri armati. Al centro grandi buche perraggiungere le condotte dell'acqua e l'elettricita' e tagliarle. Tutte le macchine che erano parcheggiate lungo i marciapiedi sono state schiacciate contro i muri e le saracinesche dei negozi, che sono state in gran parte fattesaltare. Passiamo una moschea rasa al suolo. Le tapparelle abbassate delle case cominciano ad alzarsi, le persone si sporgono e ci salutano. Siamo i primi civili ad entrare da quando e' iniziata l'occupazione. Il coprifuoco e' totale, da 5 giorni. Ci salutano, qualcuno ai piani bassi osa uscire e correrci incontro. Le donne chiedono cibo piangendo. Dopo aver passato il cimitero, neanche quello risparmiato dai carri armati, arriviamo all'ospedale della Red Crescent che e' il nostro obiettivo.Ci accolgono prima con sorpresa poi con gioia. Raccontano che il vero problema e' il coprifuoco. Ad oggi hanno raccolto 51 morti per le strade matutte le volte che escono gli sparano addosso. Anche quando hannol'autorizzazione dell'esercito israeliano. Non sanno quanti morti ci sono ancora soprattutto nelle case, per non parlare dei feriti. Ma anche i malati non possono muoversi. Sono preoccupati per quelli che hanno bisogno di dialisi. Ci raccontano che hanno trasformato la moschea centrale della citta' in ospedale da campo, ma il problema ora e' raggiungerla, e rifornirla.Nel frattempo in citta' vecchia riprendono gli scontri. Noi siamo a circaun chilometro di distanza, si vede il fumo, si sente l'artiglieria. Non si ha idea di cosa succeda davvero li dentro, di quanta gente stiacombattendo, di cosa succeda nelle case. Non possiamo aspettare oltre. La situazione sta peggiorando e noi dobbiamo tornare indietro. Gli elicotteri cominciano a sorvolare la citta', si teme un bombardamento. Cominciamo a scaricare i camion, a mano. In tuttosiamo una trentina di persone e ci vuole piu' di un'ora. Siamo qui noi delle ONG, senza giubbotti anti proiettile, senza passaporto diplomatico, con le nostre jeep con targa israeliana. Abbiamo portato briciole ad una citta' di 200 mila abitanti assediata. Sento tutto il peso della nostra inutilita' eppure, dopo giorni di frustrazione, sono felice di scaricare riso e zucchero. All'uscita si ripassano i luoghi sconvolti, i ricordi della bellacitta' adagiata sui due fianchi della valle, della antica Neapolis dal meraviglioso centro storico, si confrontano con la devastazione di oggi. Rispondiamo ai saluti dei bimbi dalle finestre. I soldati israeliani del primo blocco neanche ci fermano. Al secondo ci chiedono se abbiamo avuto problemi. Nessuno, a parte la nostracoscienza. All'arrivo a Gerusalemme siamo comunque contenti, e ci lasciamo con una promessa, si rifa' appena possibile, a Betlemme e Jenin.

Carla Benelli

15 aprile 2002