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Su Nuraxi

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A circa 1 Km dal centro abitato sorge il più importante e famoso complesso nuragico dell’isola, conosciuto in tutto il mondo per essere iscritto nelle liste dell’Unesco. Si tratta di un gran nuraghe quadrilobato, denominato Su Nuraxi, circondato da una cerchia difensiva esterna di sette torri, raccordate da mura rettilinee, attorno al quale si sviluppa un fitto villaggio di capanne circolari ed ellittiche.

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Sia nel nuraghe, sia nel villaggio sono riconoscibili le varie fasi di costruzione:

A.   Le origini risalenti al Bronzo medio (1500-1300 a.C.)

B.    Bronzo recente (1300-1100 a.C.)

C.   Bronzo finale – periodo “geometrico” (1110-VIII a.C.)

D.   Età del Ferro avanzata, periodi “orientalizzante” e “arcaico” (VIII-VI a.C.)

E.    Età punico-romana (V secolo a.C. – III d.C.)

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Notizie sulla scoperta del Nuraghe con riferimenti alla vita di allora e ai metodi di scavo.

Tra Barumini e Tuili sorgeva una collina, questa era speciale perché vi era una finestrella con i bordi in pietra, molti ne conoscevano l’esistenza ma non sapevano chi l’avesse costruita. Questa finestrella era molto visitata dai ragazzini, così per tenerli lontani da questa misteriosa finestrella, s’inventarono delle storie per spaventarli, una delle più famose è quella di: ”Sa musca maccedda”. Efisino Zedda ci racconta questa storia. Racconta che quando era piccolo andava con fratelli e amici a visitare questa misteriosa finestrella, dove vi erano dei nidi di Barbagianni, chiamati comunemente in sardo “Striasa”, ci dice inoltre che suo padre raccontava a lui e ai suoi fratelli di non avvicinarsi alla piccola finestra, perché al suo interno viveva “Sa Musca Maccedda”, una mosca gigante che si nutriva di bambini, inoltre ci racconta della sua esperienza da operaio negli scavi archeologici del Nuraghe di Barumini. Ha incominciato a lavorare nel 1950 sino ad oltre il 1960 vale a dire dall’inizio degli scavi sino alla restaurazione del nuraghe. I primi che si accorsero di questa struttura furono gli operai che lavoravano questo terreno, per conto di Oreste Sanna, il proprietario del terreno. Questa notizia si diffuse nel paese così che arrivò voce a Giovanni Lilliu, un giovane archeologo che per di più era anche un amico di Oreste Sanna, così che Giovanni Lilliu dopo aver visitato la famosa collina ha contattato la Regione e così è stato dato il via agli scavi, con l’apertura di un cantiere.

Gli operai che parteciparono agli scavi risiedevano a Barumini, il capo cantiere era un certo sig. Brescia, il capo squadra era il sig. Cocco, gli addetti ai lavori erano dott. Pes e dott. Pilia, colui che dirigeva gli scavi era ovviamente prof. Giovanni Lilliu.

Vi erano due squadre che facevano turni di lavoro di circa quattro mesi ognuna, l’orario di lavoro andava dalle sei del mattino alle quattro del pomeriggio con una pausa pranzo di un’ora, che andava dalle 12 alle 13. Gli operai, che venivano pagati a ore, viaggiavano da Barumini al Nuraghe con muli e asini, e quando tornavano ne approfittavano per andare a Monti per caricare legna (uso familiare). Nella pausa pranzo si mangiava pane e cipolla, cardo selvatico, cicoria, vino e il formaggio per i benestanti. Efisino Zedda ci racconta che a lui era stata affidata la capanna 113, e a fianco a questa, ha trovato uno scheletro umano e si pensa che questo scheletro risalga al periodo Nuragico. A questo scheletro sono state prelevate alcune ossa, per analizzarle, mentre il resto è stato sepolto nuovamente.

Oltre a questo, Efisino Zedda narra, di aver trovato una lancia, una moneta con raffigurata la Dea Minerva, una statua di bronzo raffigurante un cinghiale che morde una volpe al collo. Racconta inoltre che durante gli scavi furono trovati molti reperti tra cui monete, lance, ossa di animali, zanne di cinghiali, corna di cervi, bronzetti raffiguranti uomini armati e animali, vasi, candele in terracotta che funzionavano ad olio, un forno per il pane con al suo interno del pane fossilizzato, un forno per squagliare rame e stagno così da formare nella loro fusione e nel loro miscelamento il rame. All’interno del Nuraghe è stata trovata una stanza pavimentata in sughero, quasi sicuramente la camera del Re.

Inoltre ci informa che, per togliere la terra dalle fessure provocate dal posizionamento delle pietre, si usavano degli strumenti molto banali, tra cui cucchiai, coltelli e pennelli.   

Intervista fatta da Giuseppe e Gianluca Zedda, con la collaborazione di Valentina Crobu.

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Foto degli operai impegnati negli scavi del nuraghe (1950)