I " Monzù"
Il significato del
termine:
Dal Settecento ai primi anni del secondo dopoguerra,era l'appellativo
attribuito ai cuochi. Il termine Monzù, che deriva dal francese monsieur,
signore, è sopravvissuto fino agli anni cinquanta.
Vi erano due tipi di monzù: quelli a stipendio fisso e quelli pagati a
forfait, che ricevevano un piccolo mensile e del denaro per ogni portata
in più.
La storia
La cucina Napoletana è una delle più antiche, varie e complete d'Europa.
La sua composizione attuale è il risultato di una graduale
stratificazione di piatti e sapori attraverso i secoli e di un continuo
passaggio tra le diverse tradizioni culinarie dell'antico Regno delle Due
Sicilie. E' una cucina che, in sintonia con lo spirito cosmopolita
che ha sempre caratterizzato l'Italia meridionale, ha assimilato e
rielaborato ingrediente e piatti di molte culture diverse, del sud del
Mediterraneo e dell'Europa del nord. Ha diversi piatti unici e molte
ricette raffinate. Nonostante le notevoli trasformazioni subite negli
ultimi 50 anni con l'introduzione dei nuovi cibi della civiltà di massa,
permane un repertorio di sapori che, attraverso i secoli, sono ancora
sezioni incancellabili dell'identità culturale di Napoli. La cucina
napoletana può contare su uno straordinario corredo di ortaggi e di
frutta locale, su alcune lavorazioni di latte e degli insaccati, su
prodotti ittici di grande qualità e su diversi vini pregiati. Due dei
suoi piatti hanno una diffusione internazionale: gli spaghetti al
pomodoro e la pizza. E' una cucina che ha mescolato
gradualmente elaborati piatti di città e saporosi piatti di campagna. La
cucina napoletana lavora su antiche ricette, su piatti rituali, su
pratiche radicate nell'uso e le ha composte con le nuove esigenze della
società moderna trasformando e modificando molti sapori. Si può parlare
di una cucina Napoletana perché, nonostante trasformazioni e innovazioni,
permane ancora un insieme di procedure, un repertorio di piatti, di
sapori, valori rituali che hanno attraversato molti secoli e che
contribuiscono ancora a delineare, in modo inoppugnabile, una precisa
identità. Essa ha trovato una sua immagine con la formazione di Napoli
capitale nel medio Evo, tanto è vero che il primo libro italiano di
cucina è stato scritto all'inizio del '300 da un cortigiano di Carlo d'Angiò.
Già nel '500, poi, Napoli era una città celebre per i suoi cibi
raffinati: aveva ingredienti di grande varietà e qualità, selezionati
fra i prodotti agricoli delle coltivazioni locali. Nel secolo successivo
anche a Napoli, come nelle altre città europee del tempo, si delinearono
articolati processi di raccolta e rifornimento tesi a nutrire grandi
concentrazioni urbane. Il cibo divenne, pertanto, in pochi decenni
un'immagine centrale della vita collettiva. La cucina napoletana subì una
profonda trasformazione a cavallo tra il '500 ed il '600 con l'arrivo
dalle Americhe dei pomodori, delle patate, delle melanzane,
dei peperoni, dei fagioli e del cacao. Questi nuovi
ingredienti contribuirono a modificare radicalmente la caratteristica
dominante agrodolce che aveva contraddistinto, fino ad allora, la
gastronomia partenopea. In quel periodo, circolavano a Napoli i sapori
densi dei dolci spagnoli, tra i quali quello della cioccolata, ma
arricchiti ed amalgamati dalle essenze di agrumi. Era quello il tempo in
cui i napoletani, che erano stati individuati fino ad allora come i
"mangia foglie", cominciarono a essere chiamati "mangia
maccheroni": le difficoltà di rifornire centri abitati in forte
espansione di verdura e frutta, facilmente deperibili indussero a cambiare
ancora la cucina napoletana introducendo una larga diffusione della pasta.
A Napoli cominciò a essere lavorata con trafile in bronzo molto varie:
diventarono sempre più popolari vari tipi di pasta, come le zite,
i paccheri, i perciatelli, i fusilli, gli spaghetti,
i vermicelli e le linguine. La diffusione di questo nuovo
alimento spinse a ricercare diversi tipi di salsa adattati alla specifica
forma della pasta, ma la preferita, ben presto fu, la salsa al pomodoro
in cui continuarono a trovare posto gli antichi ingredienti dell'olio
d'oliva, dell'aglio e del basilico. Il pomodoro, da
allora, venne utilizzato anche per condire la pizza. Napoli divenne luogo
di confronto delle grandi cucine europee dopo il 1768, data del matrimonio
di Ferdinando IV di Borbone con Maria Carolina d'Austria. La Nuova Regina
introdusse nella capitale il gusto francese e la consuetudine di affidare
il servizio di cucina ai "monsieurs", cuochi di alto rango che,
a partire da quel tempo, i napoletani cominciarono a chiamare "monzu'",
dalla corruzione del termine francese. Nell'arco di pochi decenni,
assunsero denominazioni francesi alcune tradizionali pietanze
partenopee: il gattò, il crocchè, il ragù. In
molti hanno aspirato al glorioso appellativo di "monzù", che
era considerato come un titolo di benemerenza ed un attestato di bravura,
al punto che Domenico Testa, chiamato a
preparare pizze nel bosco di Capodimonte durante una festa popolare
indetta da Ferdinando II di Borbone, pretese quale unico compenso quello
di essere chiamato per l'appunto "monzù".
Nel '800 la cucina napoletana, tanto nella versione borghese che in quella
popolare, assimilò nuove mode, pur integrandole nella sua secolare
tradizione e conservando gelosamente la sua identità. Iniziava l'epoca
della lavorazione industriale della mozzarella di bufala e della
diffusione internazionale degli spaghetti, mentre Napoli nel 1833
inagurava il primo stabilimento per la fabbricazione industriale della
pasta.
Il '900, poi, si è presentato come un secolo di profondi cambiamenti
nella cucina napoletana, travolta, come molte cucine regionali, dai nuovi
modi di mangiare delle metropoli. I napoletani sono costretti ad emigrare
ed esportare la loro tradizione culinaria nel mondo: alcune loro pietanze
diventano piatti internazionali. Nonostante questa storia così
ricca e mutevole, la cucina napoletana riesce a conservare la parte più
permanente e vitale della sua identità e resiste gagliardamente
all'assalto di modelli di alimentazione che tendono a cancellarne la
specificità. A dimostrazione di ciò, sono sopravvissuti piatti che vanno
considerati dei veri e propri capolavori del gusto e che possono essere
apprezzati solo nella versione originale.
da www.tavolaborbone.com
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