Il viaggio intrapreso nella danza tradizionale attraverso festival, organizzatori, insegnanti e ricercatori arriva oggi, con ritardo, nel Centro Francia, in Auvergne.
Un viaggio che nasce non solo dall’interesse per una particolare cultura musicale e coreutica, quella francese, ma nasce anche dalla ricerca di stimoli, di idee, di suggerimenti per ampliare un mercato che in Italia langue o piuttosto per favorire l’aggregazione di gruppi, come quelli francesi, per la ricerca e la promozione dei nostri repertori.L’Auvergne non è solo costituita da campagne è anche un paese di rilievi, di montagne, di zone meno impermeabili alle mode musicali di questo ultimo secolo, di luoghi che hanno conservato tracce di una struttura sociale arcaica, di
di comunità solidali, di elementi insomma che hanno favorito, almeno nelle montagne, la conser-vazione di proprie tradizioni. Non ci occupiamo, ora, di capire se le tradizioni, almeno nell’ambito della danza, abbiano affrontato interruzioni e oblio, come è sicuramente successo nelle pianure dopo le due guerre. E’ problema dibattuto, con ipotesi spesso differenti, da molti ricercatori. Ci interessiamo invece di un gruppo, di una associazione che da parecchi anni lavora promuovendo la conoscenza delle tradizioni musicali e di danza della Basse-Auvergne: "Les Brayauds". Una associazione nata attorno alle figure di due musicisti, e ora anche insegnanti di danza: i fratelli Champion, Didier (ghironda) ed Eric (organetto), che con l’acquisto, negli anni ‘80, di "Le Gamounet" e la formazione di un gruppo di giovani collaboratori si sono dedicati seriamente allo studio, al collectage, alla ricerca presso gli anziani.

Oggi l’associazione può contare fino a ottanta iscritti, organizza a “Le Gamounet”, ma anche dove richiesto, stage di danza, corsi di strumenti, incontri sulla cultura tradizionale.

Parliamo dell’associazione e di bourrée attraverso due interviste fatte in luoghi e momenti diversi. La prima fatta a Favaro, in provincia di Venezia, in occasione di uno stage di bourrée d’Auvergne organizzato dalla associazione “B.M.T.”, a Jean Marc Delaunay e Sonia Rogowski, giovani danzatori e musicisti formati presso “Les Brayauds”. Ed una seconda realizzata proprio a “Le Gamounet” ai due “fratelloni” (come vengono generalmente chiamati) Champion.

Il risultato che ne esce, un intervista unica a quattro (in realtà a tre per il carattere taciturno di Sonia), è un puro esempio di inganno giornalistico. O, forse, meglio, di creazione. Per lo meno secondo i parametri di quanto detto dai fratelli sulla creazione coreutica. Abbiamo creato un po’ di curiosità ?

Domanda: In Italia non è semplice incontrare delle associazioni che raggruppino musicisti e danzatori e che organizzino manifestazioni, stage, concerti, corsi... Qual è stato, nel vostro gruppo, l’elemento determinante, quello che ha avuto la funzione di catalizzare, di favorire tutte queste cose?

Didier Champion: Anche in Francia le associazioni sono ugualmente rare. In media se ne trova una per dipartimento e non sempre in tutti i dipartimenti. Io penso che qui ciò che ha riunito le persone sia stata la personalità degli organizzatori, della gente che ha dato inizio a tutto ciò che vedi. E’ difficile parlarne perché si tratta di noi stessi, di me e di Eric.

"Les Brayauds" all’inizio era una sezione di danza di un’associazione laica. In Francia, associazioni di questo tipo organizzano nei singoli paesi delle attività ricreative in contrapposizione ad altre associazioni simili ma di tipo confessionale. In capo a qualche anno questa sezione è diventata un gruppo strutturato e folcloristico. Una volta all’anno si organizzavano degli spettacoli teatrali, poi è iniziata una ricerca sui costumi del paese, per proseguire con quella sulla musica. Nell’80 abbiamo acquistato a St-Bonnet-prés-Riom “Le Gamounet” (un bellissimo gruppo di vecchi edifici, sede e luogo dell’associazione, N.d.R.) e da questo momento tutto è cambiato. Solo le persone veramente interessate e disposte anche a lavorare nell’impegnativa opera di ristrutturazione degli spazi, sono rimaste. E’ arrivata anche molta gente nuova. Successivamente abbiamo iniziato ad organizzare degli stage, dei concerti a ballo, degli incontri e da questo momento ci siamo interessati anche al collectage della musica presso gli anziani riscoprendo e diffondendo un tradizionale stile musicale. In quegli anni c’erano pochissimi gruppi che lavoravano alla ricerca di documenti musicali della Basse-Auvergne. Eravamo compressi tra il grande fenomeno musicale del Bourbonnais (F. Paris) a nord e quello dell’ Haute-Auvergne, del Cantal, a sud.

Da allora le cose si sono susseguite velocemente; abbiamo pubblicato un primo disco, “Coleurs”, che ha avuto un buon successo. Poi è stata la volta di “Eau forte”, che ci ha fatto conoscere più ampiamente. A partire dall’86/87 ci siamo interessati in modo più approfondito alle danze. Solo nel ‘90 abbiamo organizzato il primo vero stage (a parte un precedente del ‘75 che si rifaceva esclusivamente alle danze folcloristiche) perché abbiamo preferito riflettere ed assimilare il nostro lavoro di ricerca per non correre il rischio di trasmettere delle sciocchezze. Nello “stage” del ‘75 le domande, gli interventi dei partecipanti ci avevano convinto a rimettere tutto in causa. Bisognava fermarsi per riflettere, ricercare ed elaborare.

D. Questa è la storia della vostra associazione e del vostro lavoro. Ma ancora non hai spiegato il perché del successo delle vostre attività....

D.C: E’ un’alchimia. Sicuramente ciò è dovuto non solo alle persone che c’erano qui fin dall’inizio, ma anche all’ambiente e alle sue caratteristiche. Qui da noi nessuno è una “vedette”, ognuno di noi è impegnato affinché tutti si trovino bene. Per noi "Le Gamounet" non è solo un luogo per imparare. C’ è gente che ci abita, persone alle quali interessa la collaborazione fattiva di tutti quelli che frequentano corsi, stage o che vengono solo per un concerto. Abbiamo molti iscritti, specialmente giovani, molti sono studenti di Clermont Ferrand (città universitaria, N.d.R.), anche se poi il gruppo che organizza, lavora e segue direttamente l’associazione è formato da una ventina di persone.
Ma il “successo” dipende anche dall’Auvergne stessa! In questa regione ci sono ancora musicisti e danzatori. Non bisogna dimenticare che questo è un paese di montagne. La popolazione montana è più povera, isolata, ma anche più solidale. E’ questa la società tradizionale, una comunità che spesso si riunisce, si incontra anche solamente per svolgere piccoli lavori in comune. In pianura, ognuno costruisce il suo muro e alla sera ci si chiude nella propria casa.

D: Tu parli di società tradizionale ancora esistente... Immagino che però ti riferisca a qualcosa di differente, a qualcosa di meno evidente... Ai legami tra le persone, i mestieri, la musica, le feste...

D.C: Sì, certo, non parlo di una società tradizionale sopravvissuta in toto, ma di tracce, di aspetti, che fanno sì che questa gente conduca una vita diversa rispetto a quella delle nostre pianure.

D: Tornando ai vostri iscritti, cosa spinge fin qui questi giovani: la curiosità, un interesse culturale o piuttosto la ricerca delle proprie origini?

D.C: I motivi sono i più disparati. Alcuni arrivano qui per uno scopo preciso, come può essere la danza; poi a poco a poco cresce l’ interesse verso la cultura e può essere che alcuni inizino ad impegnarsi direttamente nell’ associazione. E’ stato il caso di Laetitia (insegnante del corso di bourrèe di primo livello, n.d.r.), che era giunta da noi per imparare a danzare; ha osservato molto, ha vissuto molte esperienze con noi, finché un giorno ha preso in mano un organetto e ha iniziato a suonare. Certo, non subito bene, ma da quel momento ha fatto molti progressi. Ha assimilato la musica, il canto, la danza, l’ atmosfera del luogo...


D: Nelle cose dette da voi, a Favaro, in Francia o dalle esperienze di chi è stato a “Le Gaumonet” emerge non solo la serietà della ricerca dei Brayauds in Basse-Auvergne, ma anche un particolare approccio alla didattica, un approccio condiviso da tutti...

D.C: Sì, oltre a danza e musica puoi trovare da noi molti incontri, molte discussioni, approfondimenti e chiarimenti anche su quest’aspetto... Ma, ricorda, che la danza tradizionale è di più, è uno stato dello spirito, è una maniera di essere che ciascuno di noi porta nella musica, nel lavoro, nel rapporto con gli altri. Quando ballo con qualcuno avviene uno scambio, una comunione tra partner che è importante. C’è una dimensione umana nella danza senza la quale io potrei “appendere i miei zoccoli” questa sera stessa.

Eric Champion: Cerchiamo di capire cosa bisogna insegnare alla gente, cosa è importante che apprenda, cosa è utile privilegiare. Se gli spostamenti nello spazio piuttosto che le piccole varianti nel passo di base o il gesto delle braccia e del corpo. Cerchiamo di mettere a fuoco, analizzare e trasmettere non solo tutti questi aspetti , ma anche le differenti interpretazioni dei ballerini, dei gruppi che incontriamo nella ricerca.

Jean-Marc Delaunay: E’ stato importante, per noi, creare una struttura che si occupasse non solo dell'insegnamento della danza ma anche dell'insegnamento della musica tradizionale. Noi consideriamo che la musica e la danza tradizionale non sono dissociabili dal contesto e che il contesto nel quale le si praticano è molto importante. Le nostre sono anche musiche e danze che non si possono fare in qualunque posto o come si vuole : perché mantengano un'anima bisogna che siano legate ad un'atmosfera, a qualcosa di speciale che dia loro un senso. Ad un luogo dove l'insegnamento della musica e della danza non sia solo fugace “consumo”, dove esistano dei rapporti tra le persone, una specie di vita intorno al nostro lavoro, qualcosa che lo influenzi positivamente. Noi pensiamo che qualcuno che viene a imparare la musica debba anche sapere ballare e che tutto ciò sia legato. Se uno vuole imparare a suonare l’organetto deve conoscere la storia, gli elementi della società tradizionale dove la musica e le danze sono nate, deve parlare con i vecchi, apprendere un contesto umano: tutto è legato, il canto la danza, la musica, il modo di vivere, i rapporti tra la gente.

D: Ecco, questo legame tra musica e danza credo sia molto importante. In Italia è difficile che il musicista balli e che il ballerino suoni. Spesso, anzi, si assiste ad una palpabile ostilità dei musicisti verso i ballerini, come se la danza fosse qualcosa di squalificante per la musica. La trovo una cosa molto grave...

D.C: In Francia la situazione è simile: ci sono molti musicisti professionisti che non sanno ballare. Il nostro cammino, la nostra ricerca porta invece i musicisti ad interessarsi anche di danza, ad aver bisogno di occuparsene proprio per meglio valorizzare, per meglio eseguire e interpretare le musiche tradizionali. Certo, questo non significa che un musicista che non balla è un cattivo musicista, ma sicuramente che non saprà suonare per far ballare gli altri.
Da noi tutti i ballerini suonano uno strumento, col tempo lo ritengono necessario per non sentirsi isolati.

D: Però nella tradizione auvergnate probabilmente i musicisti non erano ballerini...

D.C: Nella tradizione c’era il “Bal Trallala” che sostituiva i musicisti mancanti. Si cantava e, spesso, erano gli stessi ballerini a cantare. I musicisti erano rari, a volte mancavano i soldi per comprare gli strumenti che, per l’epoca, erano molto cari. Proprio in virtù di questi prezzi i musicisti erano costretti a monetizzare la propria arte, ad occuparsi solamente di musica abbandonando la danza. Ma era una cosa fatta più per mestiere che per volontà.
I musicisti che noi abbiamo “collectato” erano, comunque, quasi tutti anche danzatori. O per lo meno lo erano prima di iniziare il mestiere.

D: Come considerate il vostro lavoro culturale, di continuazione o di riscoperta della tradizione auvergnate ?

D.C: Le cose sono cambiate nel tempo riguardo alle nostre intenzioni. Non si sentiamo più in dovere di dover convincere tutti della genialità, dell’importanza del nostro lavoro. Abbiamo rinunciato a dire che vogliamo sviluppare questa tradizione o a pensare che essa tornerà in auge un giorno. Se questo giorno ci sarà, noi non lo vedremo. Il nostro scopo, ora, è quello di creare un legame tra la generazione di mio nonno e quella di mio figlio o di mio nipote. La continuità la viviamo come costruzione di questo ponte.
A noi non interessa solo l’essere riconosciuti come musicisti e ballerini tradizionali, specialmente dagli anziani, ma anche aiutare questi anziani a riconoscersi come rappresentanti di una certa cultura.

D: A proposito di “continuità”, ci sono, dunque, anziani che ballano ancora le bourrée in Auvergne? E, nel caso, conoscono i Brayauds?

D.C: Si, questi anziani esistono e ci conoscono, anzi ci ritengono “famosi” perchè ci vedono più volte sui giornali.
E’ curioso: quando andiamo da loro e chiediamo qualcosa della loro cultura, ci rispondono: “Ma voi siete dei Brayauds e ne sapete cento volte più di noi!”. Rimangono meravigliati, impressionati quando rispondiamo che siamo lì per imparare. Non sono coscienti di ciò che sanno: sono talmente impregnati della loro cultura da non rendersi conto di ciò che possiedono. Noi, allora, spesso impariamo da loro parlando, discutendo, scambiando idee, non necessariamente facendoli ballare.
Questo del valore e del riconoscimento delle tradizioni è un problema importante. E’ un problema che ci tocca personalmente, probabilmente una delle cause di una passata divisione al nostro interno, quando Pierre, suocero di Eric e fondatore dei Brayauds, ha deciso di andarsene con trenta danzatori per fondare un gruppo folkloristico.
Non siamo riusciti a convincerli: quello che interessava loro era poter fare spettacoli sul palco, non erano pronti a mettere in discussione la loro pratica confrontandosi veramente con la tradizione.

D: Durante le vostre ricerche, dunque, avete incontrato tre modi di fferenti di intendere la bourrée: la bourrée degli anziani, la bourrée dei gruppi folkloristici e quella dei revivalisti...

J-M.D: Non c’è grande differenza trala bourrée dei gruppi folkloristici e tutto il movimento della rinascita degli anni 70: a noi non interessa più fare il bal folk. Sicuramente abbiamo parlato delle bourrèe coreografate dai gruppi di emigranti a Parigi,dello stravolgimento operato da questi su quello che era un patrimonio di danze inscindibile dal territorio, dall’atmosfera, dai luoghi fisici. Coreografie che poi sono arrivate nel “revivalismo” anni ‘70 e che sono state assunte senza revisioni critiche.

 

D: Ma io parlo di revivalismo senza accezione negativa. Il revivalismo può essere anche positivo, se serio e non acritico. E’ per voi solo una degradazione?

J-M.D: Non per forza. Ci sono, ad esempio, persone che hanno diffuso forme di bourrée che sono oggigiorno molto adottate. Vi abbiamo mostrato la bourrée droite (cioè con due ballerini di fronte, come generalmente si ballano le bourrée a due tempi n.d.r.) che da noi è molto ballata. Ha un vantaggio: è facile da apprendere, le persone si mettono in linea, è semplice, è una danza collettiva dove tutte le persone sono allineate, dove si può danzare tutti insieme. Ma questa forma di bourrée non esiste tra i vecchi danzatori.
Non vogliamo fare della censura, non vogliamo dire che come si ballano solitamente le bourrée della Basse-Auvergne sia orribile, degradante e che bisogna fermarsi, no. Ma vogliamo far capire che gli anziani ballano in altri modi che sono molto interessanti e che sono molto più ricchi dei modi in cui si balla nei bal folk. Sono forme di danza meno rigide, c'è dell'improvvisazione e, benchè tradizionali, sono addirittura forme più vicine al nostro pensare moderno.
Con la musica è la stessa cosa: quando studiamo un repertorio degli anziani ci appare molto più ricco di quello dei gruppi folkloristici. Il nostro non è solo un interesse storico, è il tentativo di entrare in una mentalità che può solo aiutarci a comprenderne e a continuarne, in qualche senso, l’evoluzione. Questo è quello che crediamo. Pensiamo che non sia impossibile occuparci seriamente di qualcosa di antico per arrivare a fare qualcosa di attuale.
Tornando alla bourrée, ci vuole molto tempo per comprenderla bene, bisogna osservare, bisogna guardare molto e poi, piano piano, apprendere. Così è per la musica: bisogna avere la musica nella testa prima di cominciare con le dita. Se cominciamo ad imparare la musica senza averla nella testa, manca qualche cosa.
Noi ci siamo formati così: non abbiamo per forza seguito un corso con un professore che ci desse solo delle tecniche, abbiamo anche imparato molto guardando gli altri, in maniera intuitiva.
Poi ci siamo proposti, io e Sonia, di aiutare Didier ed Eric nel loro lavoro di insegnamento, di partecipare al loro modo polivalente di vivere queste cose, suonando il violino (Sonia, il clarinetto), danzando e studiando il repertorio.

D: Che opinione avete sulla creazione di nuove bourrée?

D.C:Io, personalmente, penso bene di tutte le persone che cercano di far evolvere ciò di cui si occupano.

D: Ma quale è un “buon lavoro” di evoluzione ?

D.C: Difficile a dirsi. Io non sono un giudice. Posso però dirti qualcosa sulla musica, ad esempio. Durante gli anni ‘70, in quello che definiamo “periodo folk”, i musicisti non erano molto bravi e corretti. Usavano dulcimer per le bourrée, bombarde per musiche catalane, utilizzavano gli strumenti musicali molto liberamente. Poi le cose si sono evolute, qualcuno ha cominciato a guardare gli anziani, a fare ricerca sul campo e c’è stato un miglioramento, una maggiore attenzione nella riproposizione musicale. In questi ultimi anni si diffonde invece la moda della World Music e si incontrano vecchi problemi. C’è sì sperimentazione, ma senza una vera evoluzione: la strumentazione deve essere coerente al repertorio tradizionale che si vuole eseguire. Alcuni strumenti sono nati per suonare certe cose ed in certi modi.
Riguardo alla danza un evoluzione è possibile solo partendo da basi solide, dal viverla, dal sentirla dentro. Non si può evolvere partendo dal nulla. Sì, ci può essere evoluzione, ma facendo molta attenzione.
Anche noi abbiamo inventato delle bourrée. E quando le mostriamo diciamo che sono nostre invenzioni.
Avvisiamo sempre le persone che noi, in fondo, siamo solo dei filtri. Che le cose che sappiamo le abbiamo scoperte guardando dei filmati di danza. Altri, addirittura, potrebbero trarre cose diverse dalla visione di questi film. E’ per questo che noi li mostriamo a chi si avvicina a questo repertorio.
L’evoluzione è importante, non deve esistere un modello fisso, non bisogna ballare come i fratelli Champion. Noi, ad esempio, siamo grossi e questo influenza la nostra pratica, abbiamo un rapporto particolare, delle cose particolari in testa. Voi non siete i fratelli, voi siete voi! Esiste uno stile personale e questa è la prima evoluzione: nessuna bourrée è ballata allo stesso modo da due persone differenti.

J-M.D: Noi quando balliamo una danza vista nel collectage ovviamente non la danziamo uguale, facciamo delle cose che non ci sono oppure aggiungiamo un'ornamentazione. Anche quando vogliamo fare una cosa molto tradizionale stiamo già un po’ creando. Tra il copiare completamente e creare qualcosa ci sono tutti i gradi di creazione, è difficile dire dove comincia la creazione e dove invece finisce.
Poi ci sono, invece, dei problemi di gusto e di coerenza. Quando vediamo una creazione la giudichiamo in rapporto a quello che pensiamo sia una buona bourrée.

D.C: Per quanto riguarda invece l’evoluzione coreografica ci sono altri problemi.
Ci sono differenti modi di inventare coreografie. Una coreografia può crearsi unendo, “incollando”, diversi pezzi di bourrée viste ballate dagli anziani: qui siamo sicuri di essere ancora all’interno dell’autenticità del repertorio.
Poi c’è l’invenzione legata agli spettacoli dove necessita, come dice la parola, qualcosa di spettacolare. Spesso, in questi casi, si va oltre i confini della bourrée.
Noi abbiamo scelto di fare esibizioni con degli “assolo” e dei gruppi di due. E ciò ci rende molto esigenti perchè l’attenzione è concentrata su poche persone.

J-M.D: Molte creazioni che ho visto erano "altro" rispetto alla bourrée. Mi chiedevo sempre cosa ne avrebbe pensato un vecchio danzatore. Non basta fare dei passi di bourrée o delle figurazioni particolari per creare ancora una bourrée, ci vuole un portamento, uno stile.

D.C: I gruppi folkloristici, ad esempio quello di Pierre, sono più interessati alla complicazione coreografica, all’estetica che non alla tradizione. Al di là della creazione, a noi interessa che i gruppi si occupino più dello stile che dell’invenzione di coreografie fantasiose. E uno stile si raggiunge dopo un lavoro di anni e anni.

J-M.D: Sì, troppa gente si è interessata alle figure, a cose spettacolari,alle ornamentazioni, alle variazioni, e non si è interessata ad altre qualità della danza: alla qualità del gesto. Certo è più difficile analizzarlo, è qualche cosa che sentiamo, che è difficile trasmettere e comprendere.

D: Un ultima domanda. Più pragmatica e meno filosofica. Come finanziate il vostro progetto? Avete dei sovvenzionamenti pubblici?

D.C: Poche cose. Il posto è nostro. Quando abbiamo acquistato Le Gamounet c’erano delle rovine. Pensa che qui dove siamo ora era tutto diroccato e vi crescevano gli alberi (n.d.r. il bellissimo granaio con pavimento in legno dove ci si ritrova per i concerti e i balli). Abbiamo lavorato molto per finanziare il nostro progetto. Tutti i musicisti e i danzatori che sono qui, quando fanno un concerto, tengono uno stage, versano integralmente il loro cachet all’associazione. E’ duro, ma bisogna farlo se si vuole un luogo bello come questo.
Solo ultimamente abbiamo introdotto nuove regole per permettere, a chi lo voglia, di affrontare questa attività professionalmente: solo gli stage o i concerti gestiti presso di noi in modo collettivo contribuiscono interamente all’associazione.