Prima ancora di conoscere
la sua storia, il suo ruolo di rilievo nella ricerca coreutica
in Francia, Pierre attira per il modo di parlare.
Seguendo uno stage di danza, la sua pacatezza, osservando
il suo chiudere gli occhi che invita a lasciarsi andare
alle vibrazioni di un rondò, si intuisce molto
dell’intenso rapporto con la danza tradizionale.
Della passione che sorregge il suo validissimo lavoro
da molti anni.
Cantante (qualcuno si ricorda, ad esempio, il gruppo-progetto
“LAMBRUSC”?), ricercatore (in Guascogna
e Béarn
dal 1970) ed insegnante di danza, Pierre Corbefin lega
il suo nome al Conservatorio
Occitano di Tolosa che ha fondato e che tuttora dirige.
E’ una fortuna per noi, oltretutto, incontrarlo
con Marc Castanet musicista polivalente che è tra
i fondatori dell’Associazione per la Cultura Popolare
nei Paesi Guasconi.
Certo che è difficile per noi intendere la rabbia
di un ragazzo quando si rende conto di essere cittadino
di un luogo che non esiste....
D. Ci siamo spesso occupati
della situazione della ricerca in Italia e in Francia.
Vorremmo conoscere il tuo punto di vista, la tua storia,
il cammino nella cultura tradizionale della Guascogna...
R. Inizialmente, in Francia,
c’era un ricercatore che era, ed è ancora
oggi, la maggiore autorità sia a livello intellettuale
che morale: Jean-Michel
Guilcher. Era all’interno di un movimento attivo
durante e appena dopo la guerra, un movimento che aveva
avuto il proprio punto di partenza nel Ministero della
Gioventù e dello Sport e che aveva deciso di creare
dei gruppi, dei Consigli tecnici e pedagogici sull’arte
e la tradizione popolare. Le persone di questo movimento
hanno fatto molto per la danza. Ma non erano dei ricercatori
nel vero senso del termine, erano soprattutto dei “collecteurs”
(da collectage o ricerca sul campo, N.d.R.), facevano
per lo più delle indagini, inchieste. Jean-Michel
Guilcher inizia così, con delle ricerche. Poi,
a causa della sua formazione, decide di provare a rendere
più scientifico il suo lavoro e comincia dalla
sua terra, la Bretagna: ne viene fuori una ricerca pressoché
esaustiva su circa 340 paesi. E’ stata la ricerca
più ampia svolta sulla danza, qualcosa che comprendeva
anche la descrizione del contesto e tessuto sociale e
di tutto ciò che portava alla danza. Con questa
ricerca ottiene il proprio dottorato.
Tuttora, Jean-Michel Guilcher rimane per noi un punto
di riferimento. E’ ancora vivente e puoi andare
da lui e discutere di danza e ricerca.
Quando, intorno agli anni sessanta, ho iniziato a svolgere
delle ricerche, ero nella stessa situazione di questa
gente. Non avevo metodo, ma ben presto, leggendo i testi
di J-M. Guilcher e incontrandomi poi con Yvon,
il figlio, ho acquisito un metodo per la ricerca. L’incontro
con Yvon, anche lui ricercatore, è stato ed è
tuttora molto importante .
Credo di non potermi ancora definire “ricercatore”,
è un termine che penso di non meritare, ma la mia
visione sulla danza cambia e si arricchisce ogni volta
che posso incontrarmi con Jean-Michel e con Yvon.
D. Il Conservatorio
Occitano ha fatto delle ricerche?
R. Il Conservatorio ha
svolto molte “inchieste”.
L’inchiesta è quindi la prima parte della
ricerca. Noi abbiamo fatto delle indagini e abbiamo analizzato
successivamente quanto registrato. Al termine “ricerca”
io do una dimensione scientifica. Noi abbiamo raccolto
una memoria per quanto riguarda la danza, la musica e
il canto.
D. Su tutto il
territorio occitano?
R. No, è troppo
vasto! Abbiamo lavorato sul Sud-Ovest, la zona del Midi
Pyrénées, la Guascogna e il versante occidentale del
Massiccio Centrale, che è il sud-ovest dell’Auvergne.
Ma il nostro lavoro si concentra soprattutto sulla Guascogna,
il Béarn e i Pirenei occidentali.
La tradizione della Guascogna e del Sud-Ovest è
la stessa di dieci anni fa?
D. Avete cambiato
in questi anni il vostro modo di pensare la tradizione?
R. Gli occhi con cui si
guarda la tradizione possono cambiare nel tempo.
Non so se posso rispondere... Personalmente posso dire,
per esempio, di avere cambiato, evolvendolo, il mio concetto
di identità, un concetto che si avvicina a quello
di tradizione.
Posso dire che il mio sguardo sulla tradizione, anche
grazie all’incontro con Jean-Michel e Yvon, è,
oggi, più distaccato, più critico e meno
fantasmatico: siamo all’interno di un movimento
dove alcuni pensano che la tradizione non si sia mai interrotta,
che siamo ancora in una società tradizionale. Ma
noi, in realtà, non siamo in una società
tradizionale. La società tradizionale si è
sbriciolata e noi possiamo vederne solo alcuni aspetti.
Per esempio, in Auvergne
c’è ancora chi balla la bourrèe e
non c’è stata interruzione... ufficialmente!
Nella realtà, poi, non è così semplice,
è tutto più complicato.
L’unica cosa sicura è che i danzatori di
oggi non hanno il solo modello della loro società
d’origine, hanno anche altri modelli, la televisione
per esempio. C’è un ‘evoluzione forzata,
anche quello che viene considerato tradizionale non è
più tale, almeno nella misura in cui non si parla
più di qualche cosa che è nato lì,
che è cresciuto lì e che si è evoluto.
Qualcosa che comunque sia testimonianza del gruppo, che
abbia delle relazioni anche con altri gruppi ma senza
perdere il proprio modello, la propria identità.
Oggi i modelli si sono frantumati.
D. Prima dell’intervista
abbiamo parlato con Patxi Perez (insegnante di danze basche,
N.d.R.) che insisteva sul concetto di tradizione vivente...
R. Ma cosa è la
tradizione? La tradizione è, per definizione, trasmissione,
è quanto viene trasmesso. Una generazione trasmette
ad un’altra, c’è, dunque, sempre una
evoluzione anche all’interno di una tradizione.
Ma non ci devono essere modelli che interferiscono pesantemente
dall’esterno, tipo quelli che porta la televisione.
La tradizione, la sua difficoltà, è proprio
nella trasmissione, intesa come impregnazione. Tu sei
in un gruppo che ha una cultura e tu di questa non ne
hai coscienza, tu la ricevi e tu la respiri. La tradizione
è questo. Per me, anzi, ha senso parlare più
di cultura che di tradizione.
Oggi non c’è più impregnazione, non
siamo più nella società tradizionale dove
eri impregnato da mille cose.
Penso che siamo in una situazione mista: siamo portatori
di cose che noi abbiamo ricevuto nonostante andiamo, invece,
verso un altro tipo di società. Stiamo ancora ricevendo
e trasmettendo delle cose, che sono relative alla nostra
cultura, senza accorgercene.
Noi siamo portatori ancora di tracce d’identità
molto forti. E nello stesso tempo siamo portatori di altre
cose. Parlo di identità collettiva, non di identità
individuale.
Ho letto da poco un libro di un autore guascone che mi
ha fatto pensare. Sono d’accordo con le sue riflessioni
sul concetto di identità, in particolare sul tipo
più piccolo di identità collettiva, quella
del comune , del villaggio. Egli dice che l’identità
culturale una volta era qualcosa di donato, ora è
qualcosa di costruito, un progetto.
D. Parliamo ora
della tradizione guascone. Tu hai parlato di identità.
Le persone che abitano in Guascogna hanno consapevolezza
della loro identità guascone?
R. Oh, sì, sì.
Oggi le persone hanno questa consapevolezza e ti posso
fare un esempio tratto dalla mia esperienza personale.
Provengo da una famiglia guascone da parte di padre e
quando ero giovane, studente, ero molto arrabbiato perché
la parole “guascone” non figurava da nessuna
parte, tranne che sugli atlanti ad indicare il golfo di
Guascogna. Esisteva il golfo di Guascogna, ma non esisteva
la Guascogna!!
Ora, dopo circa trent’anni,
i guasconi hanno preso coscienza della propria identità
di guasconi, della propria storia. C’è gente
che ha lavorato sulla lingua, sulla musica, la danza e
il canto. Anche il mondo affaristico e politico ragiona
su questa identità. C’è una cucina
guascone, ci sono prodotti guasconi,...Ad esempio c’è
una catena di grandi magazzini (“Intermarché”,
N.d.R.) che ha come simbolo un moschettiere. Anche molti
giovani hanno avuto questa presa di coscienza.
Per cinquant’anni era stato tutto cancellato, completamente.
Questa vale non solo per la Guascogna, ma anche per altre
aree culturali che il vecchio centralismo francese aveva
cercato di cancellare. E ogni volta che si era spezzato
il territorio, si era fatta molta attenzione a non riprendere
i limiti culturali, creandone altri artificiali, per rinforzare
Il centralismo. Non bisogna distruggere i sentimenti regionali
locali per alimentare l’idea dello Stato. Se tu
guardi lo spezzettamento amministrativo francese è
raro trovare che coincida con aree culturali. L’unica
è la Corsica.
La Guascogna, dunque, è scomparsa dalle carte geografiche.
Una decisione radicale che ha diviso la Guascogna in diverse
aree amministrative: tuttora non c’è una
Guascogna, ma c’è, però, un sentimento
guascone.
D. Esistono generazioni
guasconi che hanno da sempre suonato e danzato, che hanno
continuato a farlo malgrado i cambiamenti nel tessuto
sociale?
R. No, questo si può
limitare solo per la Val
D'Ossau. Nella zona delle Grandes Landes abbiamo raccolto
dei rondeaux (rondò, N.d.R.) in catena. Quando
in un matrimonio si ha la fortuna di avere qualche suonatore
che conosce questi rondeaux allora vengono ballati, ma
nulla di più. Quando si dice “se si ha la
fortuna di...”, vuol dire che è finita, che
non c’è più una tradizione.
D. Ci sono persone
nuove che si avvicinano alla danza?
R. Sì, però
non molto i giovani. Se si paragona la nostra situazione
a Tolosa con la vicina situazione in Catalogna, in Spagna,
la regione di Barcellona, si possono trovare molte differenze.
Là sono veramente le giovani generazioni che si
avvicinano alla danza tradizionale. Da noi è diverso:
ci si avvicina alla danza dopo l’adolescenza, dopo
i vent’anni e si va verso i quaranta e non di più.
La maggior parte dei danzatori hanno tra i 25 e i 35 anni.
D. Possiamo dire
che rondeaux e congo (congò, N.d.R.) siano le danze
tipiche della Guascogna?
R. E’ una domanda
difficile. Non sappiamo ancora abbastanza cose per rispondere
in maniera precisa. Si pensa che i rondeaux appartengano
alla famiglia dei branles e i branles erano danzati in
tutta la Francia, dalla fine del Rinascimento al sedicesimo
secolo.
Ciò che c’è di specifico è
il movimento, il modo di muoversi, perché non si
balla in Guascogna come si balla da altre parti.
C’è ricerca sui rondeaux anche in altre regioni
culturali?
Sì, passando i confini della Guascogna verso Nord-Est
c’è una regione che è al di la della
Garonna, che non è più sul territorio linguistico
guascone che la Garonna delimita, una regione che va a
congiungersi con l’area delle bourrée. Ci
sono una quindicina di paesi in cui si balla sia i rondeaux
che la bourrée.
D. Quando parli
di rondeaux in catena li definisci antichi. Esistono anche
dei rondeaux “nuovi”?
R. No, non ci sono dei
rondeaux nuovi. E’ che la catena del rondeau si
è “spezzata” in diversi momenti della
storia. C’è solo una zona, quella delle Grandes
Landes dove la gente ha conservato la catena. La formazione
a catena è quella dei branle del Rinascimento,
ma forse riporta ad una disposizione ancora più
vecchia, quella delle carole del Medio Evo; carole che
sono poi, secondo Jean-Michel Guilcher, una continuazione
dei choros greci.
In tutta l’Europa del Sud esistono danze così,
ad esempio in Sardegna. E’ la stessa famiglia.
Le diverse mode hanno influenza sul repertorio dei rondeaux....
Per esempio l’arrivo delle contredanse, che sono
all’origine dei congo, porta figurazioni e formazioni
di ballo differenti. Nascono, ad esempio, rondeaux a quattro
ballerini...
Poi nel 19° secolo arrivano le danze di coppia e con
la loro influenza cominciano a rimanere e a diffondersi
le formazioni a due.
Ma una cosa è importante e mostra come si sia conservato
qualcosa dello spirito originario: quando si danza insieme
ci si mette comunque in rond (cerchio, N.d.R.).
Nessuno fa diversamente. E poi, comunque, si è
conservato anche il rondeau in catena.
D. In Guascogna
ci sono originali modi di ballare danze di coppia recenti,
come la mazurka e la scottish...
R. Sì, ci sono molti
modi, come, in fondo, in altri paesi. Quello che poi voi
(gli avevamo in precedenza fatto vedere il passo, N.d.R.)
ballate come mazurka guascone in realtà, almeno
secondo le indagini di alcune persone, si può trovare
anche all’esterno della Guascogna.
Che poi, anche attraverso l’inquinamento dei bal
folk, del revival, credo stia diventando quasi l’unico
modo di ballare la mazurka in Francia.
R. MARC CASTANET: Succede
che in certi momenti alcune forme abbiano il sopravvento
su altre. E’ successo così con i rondeaux.
Quando i rondeaux sono stati ripresi, riportati alla luce
negli stage e nei balli, si ballava per lo più
con la forma del Rondeau de Samatan. Poi questa forma
è stata abbandonata. Potrebbe essere anche il destino
di questo modo di ballare la mazurka...
D. Esiste in Guascogna
uno stile musicale originale?
R. MARC CASTANET: Non è
facile rispondere. In Guascogna ci sono paesi, regioni
dove esistono tecniche strumentali particolari. Ma sono
poche le tracce di queste tecniche.
E’ stato fatto un buon lavoro di ricerca sui violini,
ma già sull’organetto si hanno meno testimonianze.
Nel centro della Guascogna ci sono stati due organettisti
che hanno fatto scuola, che avevano una presenza musicale
particolare.
Ma penso si debba parlare di caratteristiche, non so se
si può parlare di uno stile, mancano testimonianze
sufficienti. E’ interessante quello che è
successo con la cornamusa, una cornamusa particolare guascone.
Non c’erano più suonatori...Mancavano testimonianze
dello stile, ma ugualmente era suonata nel revival. Poi
è stato trovato un documento sonoro, tra l’altro
sconosciuto, del 1939 che rovescia completamente il modo
di suonare revivalistico. C’è stata una interruzione
nell’evoluzione, nella trasmissione dello stile.
D. L’ultima
domanda è sul Conservatorio Occitano. In Italia
manca un collegamento costante tra la ricerca e il mondo
accademico. Ci interessa conoscere la storia di questa
istituzione, i suoi rapporti con gli enti locali e quelli
statali.
R. PIERRE CORBEFIN: Il
Conservatorio Occitano esiste dal 1970, inizialmente aveva
solo un finanziamento dalla città di Tolosa, poi
si sono aggiunti i finanziamenti dello stato, della regione,
del dipartimento. E’ un’associazione che ha
avuto momenti di caduta e di ripresa.
Sarebbe interessante approfondirne la storia e conoscerne
il lavoro: vedremo di riuscire a farlo in un futuro articolo.
Intanto, però, ci interessa sapere quale è
stato il ruolo nel passato e quale sarà il suo
futuro.
Noi siamo un’associazione senza scopo di lucro,
non una struttura istituzionale o privata e come tutte
le istituzioni culturali associative non abbiamo un futuro
assicurato.
La rilevanza, l’importanza di questa associazione
va vista in uno spirito di rete.
In Francia esistono numerose associazioni con carattere
anche non permanente che fanno un lavoro importante. La
mancanza anche di un solo tassello di questa rete potrebbe
far cadere tutti gli altri. L’esistenza del Conservatorio
Occitano non è più importante dell’esistenza
di altre associazioni che in Francia lavorano sulla cultura
tradizionale. Questa rete è molto sviluppata, continua
il suo sviluppo e c’è anche la volontà
comune di costruire.
Ci sono, ad esempio, associazioni in Aquitania, Limousine,
Provenza, Languedoc,... E tra queste associazioni c’è
molta solidarietà. C’era ad esempio un circolo
che si è chiuso in Aquitania e tutti stiamo ancora
vivendone le conseguenze.
Spesso sono piccole associazioni che si sono via via ingrandite.
MARC CASTANET: Io penso
che il passo successivo, per queste associazioni, sarà
quello di trovare nuove forme di collaborazione, altri
partner sul territorio che amplifichino questo nostro
lavoro. Per esempio l’associazione in cui io lavoro
da diversi anni collabora assieme all’amministrazione
comunale che ha un suo calendario culturale di iniziative.
Fino a poco tempo fa si faceva musica, teatro, danza,...Ma
niente di tradizionale. Ora, invece, da cinque anni, dopo
incontri vari, abbiamo diversi iniziative dedicate alla
tradizione. Questo è importante perché ci
permette di avere un pubblico nuovo, un pubblico che non
conosce il mondo della cultura tradizionale, che non legge
le riviste specializzate, ma che è fedele a questi
luoghi culturali comunali. Così si forma una rete
ancora più solida. Io credo che l’avvenire
sarà questo.